E’ iniziata una nuova era della comunicazione politica
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Il Covid-19 lascia in eredità alla comunicazione politica il riscoperto valore della realtà. Il pregiudizio ideologico di una comunicazione politica in grado di manipolare le opinioni di individui rappresentati come ignare e sprovvedute marionette assoggettate alle «Bestie» del digitale sovranista, ovvero di efficienti dispositivi di comunicazione digitale, ha finalmente lasciato il campo al potere della realtà. La fede nella disintermediazione tecnologica come soluzione taumaturgica a leadership politiche fragili ha lasciato il campo al recupero funzionale della reintermediazione informativa. Quella fatta dai professionisti che selezionano e danno voce agli esperti.

Insomma, l’epidemia ha fatto scoppiare la bolla della comunicazione digitale onnipotente, quella che ad ogni inizio di secolo incensa di zolfo l’innovazione comunicativa in via di affermazione. Toccò ai media di massa nel secolo scorso, stavolta è toccato alle piattaforme collaborative e ai social network. I nuovi paradigmi portano sempre con sé inquietudini e semplificazioni ascientifiche.

In piena crisi sanitaria, per esempio, la pagina Facebook di Salvini ha sensibilmente ridotto la sua capacità di produrre engagement. Il contesto critico richiedeva utilità informativa piuttosto che vacuo sprone emotivo. Per contrasto, si è registrata l’esplosione della pagina del Presidente del Consiglio Conte. Non solo in quanto a perimetro della fanbase: anche l’interazione con i post, infatti, è cresciuta per Conte – dal primo giorno di crisi ad aprile – del 245%, mentre quella di Salvini appena del 58%. Salvini, sempre quello della «Bestia», mantiene un tasso di engagement solo di poco più alto di quello di Conte: 11% vs 9%. Sebbene la realtà abbia bussato anche alla porta di Conte. Egli, interpretando il ruolo del «comandante in capo», ha inciampato proprio quando ha anteposto le dirette Facebook alle conferenze stampa tradizionali alla presenza – seppur a distanza – dei giornalisti. Le istituzioni sociali sono reali e perciò non possono essere ignorate.

Anche il presidente Trump, teorizzatore per bocca di Kellyanne Conway del concetto di «fatto alternativo» – con il quale voleva indicare lo status di legittimità che la menzogna avrebbe nella comunicazione del leader – ha dovuto fare i conti, per la prima volta, con la fredda realtà. Twitter ha sfidato uno dei suoi utenti più affezionati segnalando due tweet perché contenevano informazioni false o comunque bisognose di fact checking. Prontamente reso disponibile dalla piattaforma. Non su un tema qualsiasi, ma sulle modalità del voto per corrispondenza, con tanto di dileggio del governatore della California Gavin Newsom. È la prima volta che una piattaforma entra in aperto conflitto con Trump sul valore dell’informazione, ovvero sul disvalore della disinformazione, ribadendo il potere della realtà sulla sua trasfigurazione. Finora i baluardi della realtà sono stati i media tradizionali: le autorevoli testate giornalistiche – Washington Post e New York Times – e i canali televisivi come Cnn e NBS. La piattaforma di Jack Dorsey, in questi giorni di dimostrazioni e scontri seguiti all’uccisione di George Floyd, ha servito a Trump anche la segnalazione di un terzo tweet per violazione degli standard sulla incitazione alla violenza.

Forse occorre attendere l’evoluzione delle tendenze qui richiamate, prima di generalizzare; tuttavia sembra si sia inaugurata una fase nuova nella comunicazione politica. Questa coinciderebbe, pur in modo diverso in contesti differenti, con l’affermazione del dato di realtà (un virus ed i suoi morti, un fact checking inconsueto, gravi scontri di piazza) su un doping comunicativo dell’iperrealtà, che può aver dato i suoi risultati in un contesto di normalità. Ma che non sembra confermare le sue potenzialità nei frangenti di eccezionalità. Le Presidenziali americane sono vicine, lì troveremo smentita o conferma.

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