Siamo il partito dalla parte delle persone, noi unica garanzia del cambiamento

Pubblichiamo la relazione integrale del segretario del Partito Democratico Nicola Zingaretti pronunciata in apertura della riunione della Direzione nazionale


Carissimi, carissime,

siamo all’apertura dell’anno politico e mi concentrerò su punti che riguardano la vita del Paese e la funzione che il Partito Democratico può esercitare in questo snodo fondamentale della storia italiana.

Viviamo una fase molto intensa e delicata, con un Paese ancora tramortito dal trauma Covid, ma desideroso di reagire e ripartire, e con una serie di impegni e appuntamenti politici di grande rilevanza.

C’è innanzitutto l’urgenza di una risposta adeguata alla violenta crisi socio-economica scatenata dal Coronavirus. In particolare, attraverso un utilizzo virtuoso del Recovery Fund e delle altre risorse messe a disposizione dall’Europa a cominciare dal Mes e di quelle derivanti dalle nostre manovre economiche e finanziare.

L’Europa ha risposto con un dinamismo che molti non si aspettavano. Anzi, alcuni, anche in Italia, le destre sovraniste in primo luogo avevano sperato nella tempesta perfetta per dare un colpo definitivo. Invece c’è stata una svolta fondamentale per chi ha a cuore il progetto europeo e, di conseguenza, per l’Italia. Una svolta che ha visto protagonista il nostro partito e che ora dovrà impegnarci con ancora più energia sul fronte dei progetti da realizzare e dell’apertura dei cantieri su cui concentrare le risorse. Ora è il momento delle idee, dei programmi, delle soluzioni. Questo chiede il PD, e noi stiamo facendo la nostra parte.

C’è poi l’importante tornata elettorale del 20 e 21 settembre. Con il voto in sette Regioni e la scelta di 1.184 sindaci e assemblee comunali. E infine, il referendum costituzionale confermativo del taglio dei parlamentari.

Abbiamo dunque davanti a noi giornate cruciali che dovremo affrontare insieme, per dare le risposte più utili al Paese. Servono allora visione, concretezza e realismo. Dobbiamo andare alla sostanza delle questioni che abbiamo di fronte. Immergerci nella realtà della vita delle persone, consapevoli che le nostre scelte e la nostra capacità di azione peseranno sull’avvenire dei nostri figli.

Grazie a chi in queste ore sta combattendo, nei territori una cruciale battaglia politica. Migliaia di candidate e candidati, militanti, elettori che ovunque si pongono come la più credibile e forte alternativa alla destra.

Dalla Valle d’Aosta alla Sicilia c’è il nostro Partito Democratico non da solo ma immerso in coalizioni e alleanze civiche, con amministratori, associazioni, partiti ealleati.

Come primo punto, quindi, vorrei brevemente condividere con voi uno sguardo sull’Italia che riemerge dai mesi di paura.

L’Italia è un paese che da tanti anni non cresce. Negli ultimi vent’anni siamo il Paese che è cresciuto meno nell’ambito dell’Unione Europea dopo la Grecia (il PIL dal 2000 al 2019 è cresciuto in Italia del 3,8%; mentre la Media UE27 è stata di +30,4%). Con la contrazione del PIL prevista quest’anno saremo l’unico Paese europeo (insieme alla Grecia) ad avere un PIL inferiore a quello di inizio secolo.

L’italia da anni non riesce a esprimere il suo potenziale, con un serio problema di produttività, al quale il Covid ha dato un ulteriore colpo micidiale.

Non solo ha indebolito il nostro tessuto produttivo, ma ha fatto esplodere in maniera drammatica le disuguaglianze:

–          nell’accesso all’istruzione tra chi aveva connessioni veloci e strumenti digitali per coprire le esigenze di tutta la famiglia e chi no;

–          nell’accesso al lavoro dove i lavoratori più fragili (stagionali, precari, lavoratori in nero) sono stati i primi ad essere espulsi, in molti casi anche senza alcuna tutela;

–          nella partecipazione delle donne al mondo del lavoro dove è aumentato il rischio della fuoriuscita delle lavoratrici madri;

–          nell’accesso alla casa dove si sono rese evidenti le difficoltà abitative di molte famiglie e la mancanza di spazi adeguati per poter gestire le esigenze di lavoro e di formazione

  •  nella possibilità per tante imprese di produrre o meno a causa del loro dimensionamento   o connessione.

L’emergenza sanitaria, che dobbiamo ancora superare, ci lascia insomma enormi questioni, che richiedono un impegno totale e collettivo del PD, coraggio, capacità d’innovazione e di proposta politica.

Ecco il senso della nostra presenza e il cuore dell’azione a cui siamo chiamati.

Il PD, in questo scenario così denso di rischi, ma anche così ricco di nuove opportunità, è al governo. Al di là di una polemica che riguarda spesso più i giornali e gli spin politici, siamo percepiti come forza seria, che dà stabilità e affidabilità all’Italia. Dentro e fuori il Paese. A maggior ragione, quindi, oggi difendo la scelta di aver dato vita a questo governo. Una decisione sofferta, anche da me per primo, ma che si è rivelata giusta e lungimirante.

Pesano e non vanno nascoste le difficoltà, le contraddizioni e anche il prezzo che noi abbiamo dovuto pagare in nome della salvezza della Repubblica. Ma una cosa è certa: senza questo governo, non avremmo potuto fronteggiare l’impatto devastante della pandemia

Con i sovranisti al potere, l’Italia avrebbe gestito l’emergenza sanitaria e le sue conseguenze in una drammatica solitudine.  Anche nelle politiche basta guardare ad altri Paesi del mondo, il populismo, il nazionalismo una volta andato al governo genera problemi invece che soluzioni.  Il rapporto conflittuale dei populisti illiberali con l’Europa non avrebbe permesso di ottenere in questi mesi i risultati raggiunti, in termini di risorse economiche e anche di prospettive politiche. Oggi abbiamo un orizzonte diverso rispetto a un anno fa. L’Italia è tornata ad avere una voce e una centralità in Europa. Dall’altra parte c’è chi lavorava per un’Italexit che avrebbe avuto conseguenze disastrose. Loro, i sovranisti, sono i grandi sconfitti in questo tornante della storia. Ma attenzione, c’è un consenso roccioso come sappaiamo basato non sulle proposte, idee e visioni, ma sulla classiaca attidutine a cavalcare, malessere e solitudini. Per questo urgono risposte, e un impegno per ricostruire fiducia intorno a un’idea di Paese nel quale riconoscersi.

E’ ancora dura, durissima, per chi lavora e per chi produce, nelle imprese, nelle industrie, nel commercio e nell’artigianato ma come ha ricordato ieri Roberto Gualtieri l’economia da i primi segnali di ripresa  e ora non dobbiamo essere pigri.

E’ stato questo Governo e il Pd a salvare l’Italia ora occorre serietà, visione, velocità e politiche nuove.

Come ho detto in apertura, la filiera istituzionale del PD – dal commissario europeo Gentiloni ai ministri Gualtieri e Amendola, Sassoli – è un pilastro della nuova Europa che sta nascendo. Una comunità – oggi la possiamo davvero chiamare così – capace di rompere con le politiche di austerità, con gli egoismi e i veti del passato, per aprirsi finalmente alla cooperazione, al rischio comune, alla solidarietà. Non era scontato. Senza di noi non sarebbe stato possibile.

Il Piano europeo per il post-Covid rappresenta probabilmente la novità politica più rilevante degli ultimi anni. Per l’Italia, questa svolta si traduce nell’opportunità di usufruire di 209 miliardi di euro: siamo il principale beneficiario delle nuove risorse. Abbiamo un’occasione storica per modernizzare il Paese e superare i problemi strutturali che hanno frenato per anni le nostre potenzialità. Se tutto questo è stato possibile, è anche perché noi – il PD – abbiamo agito con tutte le nostre forze per questo risultato. Non dimentichiamo che tra gli euroscettici c’era, fino all’altro ieri, anche il M5S. Averli ora dentro un progetto europeo è una nostra vittoria. Altro che forza politica inerte o al rimorchio di altri!

Iniziamo quindi da qui. Dal lavoro fatto. E a partire dai risultati raggiunti e dalle opportunità che si sono aperte, pensiamo alle prove che ci attendono. Sapendo che non possiamo sbagliare. Perché attenzione: non è in gioco un’alleanza di governo né il destino del PD, ma la tenuta della nazione nei prossimi anni.

A cosa serve il PD? Quale è la sua identità?

Il Pd è il partito che intende guidare la transizione ad un’altra Italia. È il partito che risolve i problemi in uno spirito riformatore e realistico. Noi siamo il motore affinché le cose cambino, e cambino in meglio. A noi non basta citare il cambiamento nei tweet vogliamo realizzarlo nella società e nelle condizioni date dalla storia. Perché il compito che abbiamo di fronte non è quello di restaurare l’Italia, ma di ripensarla. Ora abbiamo gli strumenti e le risorse per farlo davvero.

Ecco perché dopo l’emergenza, nella fase della ricostruzione, spetta anche a noi, soprattutto a noi, indicare con chiarezza, nella coalizione di governo, i fronti che riteniamo prioritari. Nell’immediato e per il futuro.

Questa, quindi, è la prima e la più importante delle sfide che dovrà vederci protagonisti: un grande progetto per riedificare il Paese.

Con la consapevolezza che questo grande trauma globale non finirà con il vaccino e che non viviamo una “normale” crisi economica. La pandemia ha accelerato processi che già esistevano – pensiamo solo alla digitalizzazione – e prodotto cambiamenti profondi, che si snoderanno nel corso degli anni e a cui sta proprio a noi dare un governo, una direzione. Se non lo faremo, saranno a rischio le basi fondamentali delle nostre vite: il lavoro, il benessere economico, persino la libertà e la democrazia.

Perché a vecchie diseguaglianze se ne aggiungano di nuove.

Le risorse del Recovery fund vanno utilizzate su progetti credibili, concreti e di valore strategico per rafforzare il tessuto produttivo e del lavoro, la green economy, l’innovazione e la conoscenza, la ricerca e l’università, l’economia della cura, le infrastrutture di trasporto e digitali, quelle sociali e ambientali. E, contemporaneamente, per migliorare la pubblica amministrazione e la giustizia, senza le quali sarà impossibile trasformare questi impegni in realtà.

Per rimettere al centro del nostro modello Paese le donne, la loro forza, il loro ruolo e creatività: non solo evitare nuove discriminazioni ma renderle parte protagonista di una nuova stagione italiana.

Siamo stati gli unici sabato scorso a presentare una prima bozza di contributo per le idee guida del PD sul Recovery Fund. Un documento con le nostre idee e proposte per avviare subito nel Paese la discussione con le forze produttive, sociali ed economiche, sindaci e amministratori in modo da arrivare già a ottobre con l’invio della prima bozza alla Commissione di un quadro chiaro delle scelte che si intendono compiere.

Pochi e chiari obbiettivi strategici per favorire il riscatto dell’Italia con una prospettiva chiara: non dobbiamo tamponare l’emergenza e disperdere in mille rivoli le risorse, ma accompagnare il Paese nel futuro e rendere l’Italia più giusta, giovane, verde e connessa.

La realizzazione di queste azioni ha bisogno di un prerequisito. Per rendere concreta la nostra visione dell’Italia di domani, per realizzare i cambiamenti che vogliamo, dobbiamo cambiare lo Stato. Vogliamo una pubblica amministrazione che dia e chieda più responsabilità, che sia più veloce ed efficace. A cominciare proprio dalla capacità di spesa delle risorse disponibili. Per spenderle presto e bene.

Dobbiamo disboscare la selva normativa che stritola l’Italia, rafforzare la capacità della PA centrale e territoriale di progettare, realizzare e monitorare, accelerare le procedure e garantire tempi certi nel rapporto con lo Stato per chi investe e chi fa impresa.

Dobbiamo favorire un balzo in avanti del nostro sistema produttivo per liberare tutto il suo potenziale e far ripartire gli investimenti. Le risorse europee sono l’occasione per farlo. Per questo dobbiamo indirizzarle con precisione, lavorando insieme al mondo dell’impresa, del lavoro e dell’Università, attraendo investitori nazionali ed esteri, portando dentro la strategia di crescita i grandi attori dell’economia a partecipazione pubblica.

La nostra prima sfida è costruire “ecosistemi industriali” capaci di aumentare la competitività dell’impresa italiana nel mondo. Per farlo va aggredito il nodo del trasferimento tecnologico e della digitalizzazione delle nostre imprese.

Bisogna inoltre favorire la transizione verde delle imprese e investire maggiormente nella formazione continua con un piano straordinario di investimenti per la formazione professionale e i servizi per il lavoro.

Serve una riforma del sistema fiscale per renderlo più snello e più giusto. Stiamo lavorando a una riforma generale dell’Irpef per abbassare le tasse, semplificare gli adempimenti e per eliminare alcune inefficienze. Penso ad esempio al superamento del sistema degli acconti e dei saldi per le partite IVA, un meccanismo che non rispecchia l’effettivo andamento dell’attività economica e non favorisce gli investimenti di questa componente fondamentale del tessuto produttivo italiano. Una strada può essere, ad esempio, prevedere un sistema basato sulla liquidazione periodica delle imposte sui redditi agganciato all’andamento reale dei ricavi.

Occorre su questo una svolta dei democratici: quattro milioni e mezzo di partite Iva non nascondono gli evasori italiani, ma sono piuttosto una grande risorsa che può aiutare a far crescere l’economia, l’occupazione, un micro indotto che è una condizione fondamentale per ricostruire il ceto medio italiano. Questo è il modo anche più diretto ed efficace per aiutare il nord, così colpito dal Covid.

Abbiamo bisogno di infrastrutture moderne, il nostro è ancora un Paese poco unito. Qualità delle reti di trasporto e digitali e disuguaglianze economiche sono direttamente legate. Ecco perché le risorse del Recovery Plan devono aiutarci anche a superare questa situazione.

E così, se la rete ad Alta Velocità ha unito, come mai prima, il Centro ed il Nord Italia, ora va portata nel Mezzogiorno e, in parallelo, vanno rafforzati i corridoi strategici per ‘attraversare’ l’Italia e le infrastrutture digitali.

Dobbiamo supportare lo sviluppo di infrastrutture TLC a cominciare dalla banda ultra larga e 5g in grado di connettere tutti i cittadini. Con una particolare sensibilità per le modalità di utilizzo e la sicurezza dei dati affermando un principio di territorialità anche nel mondo virtuale.

E poi ascoltare i Sindaci i territori gli amministratori. Serve un programma specificamente dedicato al collegamento delle aree interne, che costituiscono una risorsa enorme del nostro Paese; abbandonate per decenni, depauperate, desertificate. Per queste realtà, per intere aree del Paese, a partire dal Meridione, la sfida della rete unica sarà una spinta fondamentale per la rinascita.

Dobbiamo avviare una nuova stagione per la cura del territorio, delle risorse naturali e soprattutto idriche. Questa estate sono tornate le immagini drammatiche un film che in Italia abbiamo visto già altre mille volte: nel varesotto, a Maccagno, un torrente esondato ha ucciso un uomo. Sono esondati l’Isarco e l’Adige, minacciando luoghi abitati e portando alla chiusura dell’Autobrennero. Un mese fa è toccato al foggiano. Ad inizio agosto anche al messinese… Le conseguenze dei cambiamenti climatici sono fenomeni sempre più frequenti con cui dobbiamo fare i conti e contrastare sul serio. La lotta al dissesto idrogeologico e, insieme, il potenziamento delle reti idriche del nostro Paese sono una priorità assoluta.

E poi la scuola e il sapere. Per noi è il primo e il più importante degli impegni. Sono ormai mesi, che ogni giorno battiamo su questo tasto della riapertura del 14.

 Oggi siamo lontanissimi da un sistema formativo avanzato. L’Università italiana è ancora ‘a macchia di leopardo’, le eccellenze dei nostri centri di ricerca non sono in grado di esprimere tutto il loro potenziale. Il Recovery Plan è l’occasione per un investimento che cambi le cose, che modernizzi questo perno essenziale dell’essere cittadini e della competitività italiana.

Il programma per la Scuola deve comprendere iniziative per valorizzare il ruolo dei docenti e del personale amministrativo. Per potenziare le infrastrutture tecnologiche e digitali. Per ammodernare, mettere in sicurezza, digitalizzare e rendere efficienti dal punto di vista energetico gli edifici scolastici. Per combattere la povertà educativa l’obiettivo di cui il PD si fa portatore nel Governo è azzerare i costi dell’istruzione a tutte le famiglie con redditi medio/bassi, rendendo mensa scolastica, trasporto pubblico, tasse universitarie e libri di testo gratuiti, per ridurre le diseguaglianze di partenza e favorire un processo di apprendimento continuo.

Non dimentichiamolo: al Recovery Fund è stato dato non a caso il nome di Next Generation EU. Questa è la necessità più impellente di questo tempo: ridare una speranza e un futuro ai giovani di oggi e di domani. L’Italia deve investire di più sui giovani. Per questo il PD anche qui unico partito che ha proposto un Patto giovani con alcune idee per dare una concreta possibilità di emancipazione alle ragazze e ai ragazzi italiani:

–          decontribuzione per i primi 3 anni di lavoro per avere stipendi più alti,

–          prestiti a tasso zero per sostenere i loro percorsi formativi, professionali e imprenditoriali.

–          un grande Piano per il diritto alla casa dei giovani, che preveda per l’affitto il coinvolgimento delle Ater e per l’acquisto, garanzie statali fino all’80% per il finanziamento dei mutui sulla prima casa, per i giovani con contratti a tempo determinato. Lo abbiamo fatto per i prestiti alle imprese perché non farlo anche per l’acquisto della prima casa? Perché un ragazzo che vuole comprare una casa deve per forza piegarsi alla richiesta, anche umiliante, di chiedere la firma ai genitori che a loro volta magari devono scegliere tra due figli quale aiutare e quale no?

Queste proposte le porteremo in Parlamento e dovranno essere un pilastro del progetto del PD per la nuova Italia.

Dovremo impegnarci, inoltre, per la costruzione di una nuova sanità. Lo dobbiamo, in primo luogo, alle migliaia di lavoratori del sistema sanitario nazionale che in questi mesi ci hanno messo anima, fatica fisica e competenze per salvare la salute degli italiani. Il servizio sanitario ha mostrato nell’emergenza COVID tutto il potenziale umano che ha dentro. E la sua importanza per i cittadini. Il Programma per la Sanità ha priorità chiare. Una rete ospedaliera più forte. Le risorse devono essere utilizzate per investire nel potenziamento e nell’ammodernamento del nostro sistema sanitario: ospedali, ma anche tecnologie digitali, rilancio strategico della presenza sui territori, prevenzione, ricerca, creazione di posti letto strutturali, anche in terapia intensiva.

Il progresso tecnologico deve diventare parte sempre più essenziale del servizio sanitario, mettendo in rete tutti i poli sociosanitari per la trasmissione di dati e per la telemedicina, la televisita e il telemonitoraggio. Monitorare a distanza, ed intervenire in caso di scompensi. Questi investimenti devono rafforzare i servizi di prevenzione e integrare le politiche sanitarie e quelle sociali. Il rafforzamento della resilienza del settore sanitario ha al suo centro le persone. Per questo il programma vede tra le sue priorità azioni di valorizzazione del personale sanitario. Ecco i motivi per cui l’Italia deve utilizzare il Mes. Una linea di credito molto vantaggiosa per finanziare la sanità che è uno dei pilastri, non un costo, della rinascita italiana.

Dal Recovery Fund, dal Sure, dal MES, dalla nuova Europa, quindi, nuove opportunità per l’Italia. E un grande impulso per il rilancio del progetto comunitario che dovrà vederci ancora impegnati nei prossimi mesi. Consapevoli che i pericoli per l’Europa sono ancora molti, sia dal punto di vista geopolitico che da quello economico. Il PD continuerà con Paolo, con Enzo, con Roberto, con i suoi dirigenti, ma anche con i suoi amministratori, presidenti di Regione, sindaci, a combattere per l’Europa unita, giusta e solidale.

Ma il nostro sguardo non può essere puntato solo verso Bruxelles.

Abbiamo anche il dovere di farci portatori, nel Paese e proprio in sede comunitaria, di soluzioni per affrontare quel mare in tempesta che è diventato il Mediterraneo. Un grande spazio geopolitico attraversato da conflitti, disordini permanenti e dal dramma umano dei flussi migratori che rischiano di diventare difficilmente gestibili. Diciamocelo: la presenza italiana è allo stato attua si è troppo indebolita. Ma questo è il nostro mare, e non possiamo permetterci di precipitare in un cono d’ombra o rischiare di diventare semplici spettatori. O abbandonare alla solitudine chi dall’altra parte del mare lotta per la libertà e i diritti umani, magari pagando addirittura con la vita.

Stare di più nel Mediterraneo significa sviluppare forti relazioni culturali e interreligiose. Aumentare la nostra capacità negli scambi commerciali, stabilire intese bilaterali di reciproca convenienza non solo economica, ma anche nel campo della ricerca, dell’università, del rinnovamento delle tecnologie. E infine starci di più significa riprendere il filo di una coerente politica estera nei confronti di questi paesi così in difficoltà, a partire dalla Libia, e dalla Tunisia, che vive una delle più gravi crisi economiche e politiche della sua storia. Realtà e drammi dei quali non possiamo continuare ad accorgerci solo quando sbarcano migranti a Lampedusa. Perché è naturale che sia l’Italia la prima terra che hanno di fronte gli Stati che si affacciano nel sud del Mediterraneo. Il nostro Mezzogiorno è il loro primo approdo, una sorta di grande banchina verso l’Europa e verso un futuro qualunque ma, certamente, migliore del loro presente. Il PD è la forza politica in Italia che può dare un impulso significativo al pieno coinvolgimento dell’Europa per un nuovo equilibrio mediterraneo che torni a fare politica in Africa, a pretendere il rispetto dei diritti umani, a investire in sviluppo e a rimuovere alcune delle ragioni che spingono migliaia di uomini, donne e bambini a consegnarsi ai trafficanti di vite senza scrupoli.

Affrontare queste sfide significa dare significato e identità al Pd tenendolo lontano dalla sola tattica o manovra politica, spesso ripetitiva e confusa. Quello che vogliamo è un PD impegnato, al contrario, nei processi reali dai quali trarre, sulla base dei propri valori, il suo profilo e la sua forza.

Ecco perché in tutta Italia, dalla Valle d’Aosta alla Sicilia con orgoglio possiamo dire che il PD è di nuovo il pilastro principale con le sue alleanze dell’alternativa più credibile alle destre.

Noi abbiamo lottato per costruire ovunque e non nelle ultime settimane, alleanze rivolgendoci anche alle forze che sono con noi al Governo. Lo abbiamo fatto perché pensiamo che se c’è un governo politico a livello nazionale, sia naturale riproporlo anche nei territori. Non dico sempre, ad ogni costo, ovunque, perché le specificità le abbiamo sempre sapute valutare. Tuttavia, è paradossale che delle forze che affrontano insieme la sfida del governo o una prova enorme come l’emergenza Covid poi escludano di unirsi nei territori. Come se le battaglie da affrontare non fossero le medesime. Come se il punto di caduta di tutte le azioni che stiamo lanciando al livello nazionale ed europeo non fosse proprio la vita delle persone nelle regioni e nelle città italiane. Noi pensiamo che un progetto politico, per funzionare, debba essere coeso e coerente. Per questo le alleanze.

Il dibattito su aggettivi come strutturale, strategico è ridicolo e nasconde contraddizioni logiche non nostre.

E’ fin troppo ovvio che ogni scelta per il Pd viene presa dai territori. E questo gruppo dirigente nazionale si è messo sempre e solo al servizio delle richieste che venivano dai Comuni e dai candidati Presidente e non da ora. Ma in molti territori l’alleanza non si è voluta fare, non certo per nostra responsabilità. E lo voglio ribadire, questa scelta è stata un errore. Questo significa che noi dovremo essere unitari due volte. Per noi e per gli altri.

Noi ci siamo. Non ci fermiamo. Non abbiamo paura. Il PD è l’unica forza di maggioranza che compete su tutto il territorio nazionale. Siamo noi, ovunque, i portatori di un progetto riformista e l’unica alternativa possibile alle destre. Sui risultati inutile azzardare previsioni. Quello che invece già oggi è evidente, tuttavia, è che ogni altra candidatura al di fuori di queste alleanze è velleitaria: nessun candidato fuori dalle alleanze che abbiamo costruito ha la minima possibilità di affermarsi. Per questo ora è importante unire le persone, un elettorato che diviso perde se si unisce può vincere. Io sono comunque fiducioso, per la qualità dei nostri candidati e perché, come è successo con la mia elezione nel Lazio o in Emilia-Romagna a gennaio, le persone sanno scegliere, anche esercitando la possibilità del voto disgiunto e “utile”. Attenzione, si definiscono di “centrodestra” ma in realtà in molte regioni c’è stato un mutamento dell’asse politico e sono in campo progetti e programmi della destra estrema.

Siamo presenti ovunque, anche nei comuni, con i nostri candidati sindaci e alle assemblee comunali, con i nostri militanti che stanno combattendo strada per strada, piazza per piazza. Queste donne e questi uomini del Partito Democratico sono una forza civile, calma e determinata, a cui dobbiamo gratitudine e rispetto. Donne e uomini, ragazze e ragazzi che andranno ripagati con una maggiore rappresentanza nel nostro partito.

Lo dico con l’esperienza e la consapevolezza di tanti anni da amministratore. In questo momento, e soprattutto dopo l’esperienza del Covid, promuovere ed affermare le realtà locali è vitale. Molta della forza del Pd viene da questa rete di amministratori in prima linea, che lavorano spesso in condizioni di grande difficoltà finanziaria, ma con la passione civile di chi crede di poter essere utile e con un impegno quotidiano straordinario. Loro sono il principale baluardo contro la ventata populista e antidemocratica che ha soffiato in questi ultimi anni.

L’affermazione di questa rete straordinaria di persone nelle città italiane deve essere una spinta fondamentale per il futuro del nostro partito.

Ora però faccio un appello, per le prossime due settimane, ripulite le agende da impegni personali, riunioni a volte inutili o che si possono rimandare. Tutto il gruppo dirigente sia coprotagonista al fianco delle candidate e dei candidati nelle Regioni nei territori.

Ieri ho letto che un esponente della destra ha detto deve finire 7 a zero. Il Pd con le sue alleanze lo impedirà chiamando le persone gli elettori a combattere uniti perché il nostro elettorato è già molto più unito dei suoi vertici.

In Italia e nel mondo, fatemi esprimere la  nostra vicinanza agli oltre 6 milioni di cittadini italiani residenti nel mondo e che in maniera particolare nel continente americano stanno affrontando situazioni difficilissime a causa della pandemia anche in vista della necessità di partecipare al prossimo voto e siano certi faremo di tutto affinchè sia garantita anche in futuro un adeguata rappresentanza dei nostri concittadini e vengano rafforzati i loro organi di rappresentanza, dando seguito alle proposte già elaborate dal nostro partito all’estero.

Il 20 e il 21 si voterà anche per la consultazione referendaria sul taglio dei parlamentari. Su questo punto si è aperto un dibattito nel nostro partito, molto acceso e a volte  con qualche pretestuosità. Non sono stato io a porre il tema del taglio dei parlamentari, e la contestualitàdi operare un processo di riforma e provvedimenti a tutela della rappresentanza e funzionalità delle istituzioni. Siamo stati noi, il Pd unito a dire SI e poi l’intera maggioranza che lo hanno voluto inserire nel patto per dare vita al governo.

Il Partito Democratico è una forza leale e sta rispettando l’accordo di governo nato con il favore di tutti gli alleati solo un anno fa. L’obiettivo era quello di far ripartire un’azione riformatrice nel Paese e di salvare l’Italia da una destra estremista e irresponsabile. Ci siamo tutti convinti nel settembre 2019 e, a maggior ragione, dovremmo esserlo anche nel settembre del 2020. A molti osservatori esterni dico troppo facile riconoscere i meriti della ricollocazione in Europa, della conquista del Recovery Plan e della gestione positiva del COVID per poi nascondersi quando si devono fare scelte più difficili, cercando di scaricare i limiti sull’unico partito che è vero argine alla destra in ogni area del Paese.

La proposta di legge elettorale depositata dalla maggioranza è in questo senso un buon testo, figlio di mesi di lavoro. Dobbiamo ripartire da lì. Ascoltando le opposizioni, ma anche le forze sociali e i territori, a cominciare dai sindaci e dai presidenti di province e regioni. Possiamo garantire rappresentanza e governabilità.

Certamente il tema posto dal referendum è molto complesso.

Credo tuttavia che la prima cosa importante da fare è concentrarsi sul “testo” e non sul “contesto” come ha suggerito in modo autorevole Michele Ainis.

C’è un sovraccarico di politicizzazione che, da una parte e dall’altra, prevedono scenari catastrofici.

Per chiarezza.

Certo che problemi ci sarebbero ma non sono affatto convinto che se dovesse prevalere il No cadrebbe il governo o peggio che i tutti i suoi sostenitori si nasconda questo obiettivo. Parliamo di diversi livelli che debbono mantenere una loro autonomia.

Così come mi pare generico ed anche un pò strumentale prevedere che dalla vittoria del Si scaturirebbe un vento inarrestabile di demagogia, populismo e anti parlamentarismo.  Un pericolo per la democrazia. Non credo sia cosi’.

E se abbiamo un ruolo è anche quello di ricondurre la questione entro i suoi confini naturali.

La discussione sul numero dei parlamentari è del tutto legittima.

Se ne è discusso durante la costituente. E la discussione è stata condotta con argomenti diversi, in modo ragionevole.

In sé il numero dei parlamentari non testimonia maggiore o minore democraticità delle istituzioni del Paese.

Molti paesi europei, nel mentre in Italia c’è il referendum, stanno discutendo la riduzione del numero dei propri parlamentari.

Sappiamo  anche che il pd è stato tradizionalmente per la riduzione dei membri del parlamento, il tema è il processo di riforma che lo accompagna.

Ci sono questioni che riguardano la funzionalità, un più pieno coinvolgimento dei singoli deputati all’attività legislativa, una maggiore rapidità dei lavori parlamentari.

Naturalmente tante preoccupazioni che giungono anche dentro il Pd, da coloro che sostengono il No, sono perfettamente legittime e segnalano preoccupazioni reali.

La prima riguarda un possibile cedimento ad una intollerabile campagna di delegittimazione della rappresentanza democratica che da anni è in atto.  In tutta la mia vita, da amministratore, non ho mai ceduto, anche perdendo battaglie alla incultura dell’antipolitica.

Purtroppo a volte invece in passato dei cedimenti ci sono stati. Ricordo alcune argomentazioni nel referendum che perdemmo, che apertamente richiamavano alla necessità di ridurre i politici.  Ma anche leggi che noi in passato abbiamo approvato e che io non ho mai condiviso e alle quali dovremo rimettere mano come quella che vieta ad un amministratore solo perché ha fatto l’assessore, per anni di non poter avere una nomina  pubblica quasi fosse una colpa servire lo Stato.

Ora invece è il momento in cui la politica deve risollevare il capo, deve tornare il motore delle decisioni, deve regolare, attutire e umanizzare uno sviluppo, che come ricorda ripetutamente Papa Francesco, rischia di dimenticare gli ultimi, i più deboli, le famiglie più esposte.

Ecco perché mentre indico nell’organismo dirigente l’opzione di votare Si al referendum, so che dovremo farlo  respingendo le argomentazioni banali e pericolose di chi motiva tale scelta perché essa farebbe risparmiare soldi allo Stato. Le risorse risparmiate sono minime e comunque, per quanto ci riguarda, non sono l’elemento preponderante della nostra scelta. Si, per riaprire una stagione di riforme , sempre bloccate.

La ragione risiede nel fatto che questo primo atto di riforma si collega ad altri che si debbono realizzare subito e sviluppare nel futuro della legislatura.

Se si tagliano i parlamentari come io credo sia giusto, occorre un riequilibrio nella rappresentanza. Che va garantito, lo abbiamo spiegato tante volte, con una nuova legge elettorale proporzionale e con uno sbarramento che la corregga in senso maggioritario, con il voto ai diciottenni per camera e senato, con il ridisegno dei collegi, con la diminuzione dei rappresentanti delle regioni nell’assemblea che elegge il presidente della Repubblica ed infine con una serie di riforme dei regolamenti che vanno adeguati, appunto, ad un parlamento ridotto.

In questi mesi abbiamo spinto in tutti i modi perché camminassero insieme il “Sì” al referendum con un processo riformatore più ampio e riequilibrante. Non è stato facile. Ma seppure in tempi più lunghi di quelli che noi auspicavamo, finalmente nella commissione parlamentare competente si sono decisi alcuni impegni con estrema chiarezza.

Il processo riformatore anche grazie alla nostra iniziativa è ripartito: martedi 8 gennaio è fissato il voto alla Camera sul testo base della legge elettorale. Il ddl Fornaro sarà votato alla Camera il 25 gennaio contenente il cambiamento della base di elezione del Senato per tutelare il pluralismo e il riequilibrio dei delegati reginali nell’elezione del Capo dello Stato. Giovedi ci sarà in aula al Senato la seconda votazione sulla base elettorale  degli aventi diritto al voto.  E’ ripreso l’impegno verso un processo di riforma che prevede intorno al sistema del cancellierato  strumenti come la sfiducia costruttiva.

 E sufficiente? Dipenderà dalla forza della battaglia politica. Per questo faccio mia e vi propongo l’iniziativa,  l’idea lanciata oggi da Luciano Violante di accompagnare alla campagna per il referendum con una raccolta di firme  per una proposta di inziativa popolare per il bicameralismo differenziato.

Sarà sicuramente un modo, pur con scelte diverse che ci saranno, di unire il Pd in una proposta di riforma e di spiegare e dare forza al nostro profilo.

Quindi io propongo alla direzione del partito di assumere l’orientamento del Si, circoscrivendo la portata della scelta al “testo” sottoposto agli elettori e integrando nella nostra battaglia tante delle preoccupazioni, dei suggerimenti, delle sollecitazioni che nel dibattito interno al partito tra i sostenitori del No e quelli del Si sono emerse. Arricchendo, per certi aspetti, l’approfondimento dei problemi e, per la maggior parte dei casi,  salvaguardando quella solidarietà che in questi mesi è stata così ampia nei nostri gruppi dirigenti e che ha portato ad un’azione  unitaria che ritengo un nostro bene prezioso. Potranno esserci scelte diverse, ma noi democratici, tutti difendiamo la Democrazia.

Si può obiettare, è stato fatto pubblicamente che questi sono solo impegni, promesse, parole. E che quindi per precauzione dovremmo sostanzialmente respingerle e votare No.

Ma la politica è anche fatta di tutto questo. E se la maggioranza unitariamente determina degli obbiettivi, non siamo più nella fase iniziale di questo governo dove per certi aspetti era più semplice da parte dei nostri alleati rimandare o anche contraddire apertamente i patti stabiliti all’avvio del governo Conte due. Oggi siamo ad una stretta più generale che riguarda la sopravvivenza stessa dell’esecutivo.

E tutti hanno responsabilità molto più gravi e grandi.

Ricordiamo: noi stiamo al governo finché questo governo fa cose utili. Perché se si dovesse arrivare al punto nel quale troppi quesiti restano ancora aperti e la situazione della Repubblica dovesse drammaticamente peggiorare, allora un nostro ulteriore impegno sarebbe inutile, e ne dovremmo prenderne atto con le necessarie conseguenze.

Ma non siamo a questo. Anzi io avverto che con le sfide nuove che abbiamo si può aprire una fase nuova e di rilancio dell’alleanza politica che sostiene Conte.

La fase nuova consiste esattamente in questo: prendere il meglio da tutte le forze politiche, costruire maggiore dialogo e fiducia fra di esse, lavorare sui punti di incontro affinché essi si realizzino in un programma di cose da fare preciso e attuabile rapidamente.

È l’esatto contrario di una visione rinunciataria sul ruolo del PD.

Lo voglio dire con la massima chiarezza. Questo non significa affatto che il Partito democratico rinunci a una sua vocazione maggioritaria, nel senso di una proposta larga, unitaria, aperta agli italiani. Semmai il contrario. Significa prendere atto che il cammino di una nostra ripresa è lungo e che per non soffocare la vocazione maggioritaria in un isolamento borioso e stizzito occorre saperla esprimere, in un processo, seppure tumultuoso, che si realizza nel paese, che conta, influenza e allarga.

Quando si dice che questa linea sarebbe la rinuncia ad una grande forza democratica e riformatrice e la subalternità agli altri, si dice una cosa non vera. Evidentemente non vera. Noi cresceremo solo se la nostra proposta politica al paese potrà marciare, anche con mille difficoltà, ma nella dimensione reale. Che allo stato attuale presuppone, non l’isolamento, piuttosto la sfida unitaria con gli altri.

È stato un anno difficile ma con importanti risultati. Le difficoltà ci sono, certo. Ma io continuo a credere al dialogo, alla battaglia delle idee, alla sfida delle intelligenze.

Io sento una responsabilità enorme e fino all’ultimo terreno su cui si può esercitare il cambiamento, sono per non distruggere ma per tentare, e ancora tentare di costruire.

Alla fine la scelta fondamentale è molto semplice: vogliamo continuare a combattere per superare le difficoltà dentro ai processi reali di governo della società italiana? Vogliamo esprimere la nostra vocazione maggioritaria non nell’isolamento ma nell’azione concreta che l’Italia ci chiede? Vogliamo continuare ad essere un punto di riferimento di stabilità e rinnovamento della nazione? Oppure consideriamo la partita persa.

Aprendo la strada così alla elezioni politiche anticipate o ad un governo di tutti, che umilierebbe ancora una volta inevitabilmente la politica e i nostri più sinceri ideali di cambiamento.

Credo che dobbiamo tentare ancora. E ancora tentare.

Come stiamo facendo nella nostra battaglia prioritaria per la conquista del governo delle regioni.

Vacillare in questo momento non aiuterebbe le forze democratiche in campo. Creerebbe uno sbandamento. Seminare dubbi quando si sta in trincea è la premessa di ogni Caporetto.

Tenere, consapevole delle difficoltà, la barra dritta è il modo migliore per combattere la nostra partita. E quando dico nostra non intendo quella del Pd ma quella della parte migliore della Repubblica che non si vuole piegare ad un declino anti europeo, di intolleranza e di populismo autoritario.

Tutti siamo d’accordo che la grande missione di questo tempo è garantire un futuro ai ragazzi e alle ragazze italiane. Nelle condizioni date non dobbiamo cedere il passo per il raggiungimento di questo obiettivo. Avverrà nella lotta politica quotidiana ma li dobbiamo stare per correggere e condizionare gli eventi, per questo cominciamo a dare fastidio a molti perché siamo la garanzia del cambiamento, perché siamo il partito dalla parte delle persone.