IL TUO CONTRIBUTO, IL TUO PROGETTO, LA TUA IDEA.

Contribuisci a immaginare il futuro
{"testimonial_characters_limit":"350","testimonial_read_more_text":"Leggi di pi\u00f9","testimonial_read_less_text":"Chiudi","testimonial_read_more_ellipsis":"..."}

Il diritto che istituisce stabilità e creatività nella democrazia

Al vuoto di fondamento proprio della democrazia, allo scontro originario insito in una società disordinata e divisa – scontro solo temporaneamente “frenato” dal potere pro tempore che si afferma – la deriva della politica totalitaria – alternativa sempre incombente sulla libertà – oppone la pienezza dell’Uno, la ricomposizione risolutiva del conflitto, la sterilizzazione violenta propria del dominio che occupa la casella del potere, che asserisce in maniera escludente l’idea salvifica, la purezza razziale, il destino della classe, l’insostituibilità del capo carismatico. In fondo però, ci dice Roberto Esposito – nel saggio Pensiero istituente. Tre paradigmi di ontologia politica, edito nel 2020 da Einaudi – questa ricomposizione è ingannevole e quel conflitto, invece, è benefico e davvero caratterizzante la modernità democratica. E ciò perché l’Uno ricomposto nel “corpo del re”, in realtà, è solo immaginario, ideologico, fantasmatico. La pretesa dell’occupazione reale della casella del dominio, l’incarnazione del potere, non annulla davvero il conflitto: il potere si sdoppia comunque, rispecchiandosi nella separazione del vertice dalla comunità che si pretende di rappresentare in toto e nella creazione del nemico da additare necessariamente quale hostis humani generis, feticcio funzionale alla narrazione securitaria. Il conflitto democratico, invece, irrisolto nell’alternanza del potere e dei poteri, imbrigliato dal diritto, è l’espressione simbolica di una dinamica feconda tra società e potere. Non c’è, infatti, una società prima del conflitto politico, né conflitto prima della società: sono co-originari. La società è istituita e ordinata nel potere e il potere è un prodotto della società in moto, attraverso lo svolgimento delle divisioni che la attraversano come differenza. Si compie in democrazia, quindi, una paradossale trascendenza immanente al sociale, un fuori-interno che nega l’auto rappresentazione autonomistica dei conflitti, evidenziando l’imprescindibile necessità della politica, di un ordine che si costituisce rendendosi contendibile. Senza questa cifra di trascendenza, senza il “fuori” che nega l’automatico divenire, l’esito dell’appiattimento sulla sfera dell’immanenza non genera vera politica ma sovrapposizione tra questa immanenza e l’essere, producendo un indubbio effetto straniante, l’eclissi stessa della spinta politica al cambiamento. In democrazia, ciò che si realizza è l’indeterminatezza del locus della sovranità, la sua alternanza di senso e pluralità incorporea, l’impossibile insediamento “reale” in una cornice simbolica che rende il posto del potere democratico un posto vuoto, privo si sostanza. In sintesi: un’analogia di forme secolarizzate contese nello scontro epocale sul campo aperto dei passaggi di ruolo, ordinati in istituzioni non solo statali. Istituzioni, quindi, organizzate nel diritto; un diritto che non si identifica solo con le norme del dover essere prodotto dallo stato ma che emerge, genealogicamente, come struttura o, meglio, come pluralità di strutture contingenti, provocate dalle necessità sociali interpretate come fonti involontarie. Ed ecco, quindi, il ruolo proprio del giuridico in democrazia: non il rottame metafisico, necromanzia del vecchio, ma l’origine del potere che istituisce: l’articolazione propriamente moderna tra ciò che si afferma come stabilità e durata e il diritto di avere diritti che impedisce l’arroccamento. Esposito nel suo importante saggio – che affronta un serrato confronto anche con Heidegger e Deleuze – trova, proprio sul punto dell’istituzione e, soprattutto, dell’istituire, un contatto teoretico tra Claude Lefort (il filosofo francese dell’incertezza democratica, emancipatosi dal marxismo grazie al conflittualismo insoluto di Machiavelli) e Santi Romano, il giurista dell’Istituzione e della crisi dello stato (già compresa agli inizi del Secolo Breve), a torto declassato a funzionario del fascismo. Il pensiero istituente, infatti, disarticola il diritto statuale, non più inteso come esclusivo e svela, di contro, il conflitto vivace delle istituzioni autonome, l’affermazione, dunque, di poteri che sono alternativamente in moto per dare forma alla società, al mondo. La dinamica dell’istituire democratico, quindi, nella libertà, supera ogni tentazione nichilistica, ogni cedimento impolitico all’essere o al divenire. Si contrappone, infatti, tanto all’inazione emergente da un essere che si svela velandosi nella differenza ontica (nell’abisso che separa verità e esistenza) e che provoca il rifugio nell’auto esilio attendista (Heidegger e il suo pensiero destituente), quanto al piano scatenato dell’immanenza che esclude, incorporandolo, il negativo, che ingloba senza crisi ogni opposizione fattiva, e accetta, accelerandolo, un essere interpretato come privo di differenza, coincidente con il divenire, pura affermatività ontologica che dissolve il politico nella coincidenza tra questo e l’essere, senza scarti di negativo e di senso legittimanti l’azione e una politica altra (Deleuze e il suo pensiero costituente). Contro tutto questo è la categoria di secolarizzazione, a mio parere, che riemerge e che merita il riconoscimento vivificante di una ragione non ideologica: perché teologia e politica, anche nel moderno, si mostrano connesse nell’originario della reciproca implicazione, senza una chiara legittimazione fondante, dunque, ma con un indubbio effetto creativo nel contesto delle res mixtae indecidibili, nell’ambito di quelle materie di confine che domandano rappresentazione istituente e che non possono essere soddisfatte dall’esilio nel puro teologico o, di contro, dall’accettazione affermativa dell’immanenza sfrenata, priva di alternative. Il passaggio di funzioni dal sacro al profano, quindi, non può essere facilmente rigettato ma riemerge – pur in assenza di una precisa fondazione – nella politica democratica e laica, come appello: una politica che, nell’insussistenza del moderno, trova il suo vero riscatto. La società, infatti, non si afferma da sé, necessita della politica perché il potere non si desume automaticamente dai rapporti di produzione e perché la struttura economica non determina il politico mentre è questo – nel conflitto sociale irredimibile – a vivificare le istituzioni nuove. I rapporti di produzione, infatti, diventano intelligibili solo in base all’articolazione istituzionale tra potere, sapere e legge. E ciò non è ideologia, tutt’altro, ma l’evidenza del simbolico, del pensiero e dell’azione. Attenzione, però, non c’è alcuna sicurezza in campo, nulla di garantito, nessuna rete di salvezza, solo possibilità. E ciò è un bene! È un bene che la sicurezza sacra o ctonia, trascendente o sostitutiva, che legittima l’evocazione incontrollabile del Leviatano – a discapito del pluralismo sociale e dei suoi conflitti originari e fecondi – venga stigmatizzato come la tentazione sempre incombente sulla democrazia e le sue incertezze. Questa tentazione – che ha trovato, purtroppo, diverse epifanie – ci aiuta a comprendere anche le miserie della filosofia occidentale, i cedimenti spirituali di molti grandi pensatori che non hanno retto al fascino perverso del nazifascismo o del comunismo liberticida. Si è trattato di un vero e proprio crollo etico, derivato dall’illusone che le scissioni sociali potessero essere ricomposte nello stato, attraverso una nuova sicurezza unitaria. L’ansia di ristabilire l’Uno, di abbattere l’ombra di ogni negatività, di rendere ancora più lontana e trascendente la trascendenza, si oppone e cozza con la sfida complessa della democrazia e del suo vuoto. Se Heidegger, quindi, conclude la sua parabola (im)politica affermando l’impossibile indeterminato secondo il quale solo un dio ci potrà salvare, l’autentico pensiero democratico, invece, sembra impegnato, di contro, affinché nessun “dio mortale” ci debba più salvare! E qui entra propriamente in gioco, nel denso saggio di Esposito, il richiamo a Santi Romano, al teorico dell’identità tra istituzione e diritto, al pensatore della crisi dello statalismo (il saggio Lo stato moderno e la sua crisi è del 1909 e il suo capolavoro, L’ordinamento giuridico, è del 1918) che considera il diritto, appunto, eccedente gli ambiti del solo diritto statuale e genealogicamente antecedente ogni norma positiva, imposta dalla Ragione o dal Sovrano. Il richiamo a questo pensiero giuridico che supera tanto il formalismo kelseniano (tutto chiuso sulla legittimazione autistica della Grundnorm – della norma fondamentale – insensibile ai fermenti della società) quanto il decisionismo che sacralizza il diritto positivo, serve a Esposito, nello snodo democratico del pensiero di Claude Lefort, per affermare il legame moderno tra diritti umani e potere. Il trono vuoto, l’assenza del re, l’apocalisse dell’Idea e dell’Uno, favorisce la forza istituente dei nuovi diritti che promanano dalla domanda sociale e dal conflitto, perché tale emersione contraddice non solo il potere costituito, troncandone gli aculei e l’istinto alla durata sine die, ma riporta in auge la dialettica tra legittimo e illegittimo, schiudendo i confini del diritto oltre i limiti della legislazione, attraverso il recupero “politico” della giustizia, di una giustizia lontana dallo status quo e, quindi, come tale, assenza e pensiero negativo che, nella coazione all’ordine nuovo, diviene – paradossalmente e senza garanzie trascendenti – forza affermativa di un processo istituente fecondo, aperto alla crisi sociale e alla crisi dello stato. Crisi cui solo la democrazia può porre rimedio senza il ricorso alla violenza soffocante. In democrazia, quindi, il posto del legislatore supremo non è occupato da alcuno e ciò, per fortuna, porta alla continua organizzazione di uno spazio pubblico di uguali, che è o spazio della parola, del dialogo, dell’azione non sottomessa. Uno spazio pubblico contingente, aperto all’eccezione, che è fonte involontaria del diritto, che schianta lo stato, il potere, sulla forza delle richieste dei nuovi soggetti collettivi, in concorso tra loro, per l’affermazione epocale delle istituzioni libere.
Enzo Musolino
4 Giu 2020

Più risorse a ricerca e innovazione

Gli ultimi decenni sono stati contraddistinti da una continua diminuzione dei fondi assegnati alla ricerca, tranne nella felice parentesi del Governo Gentiloni (2017-2018) quando ai poveri precari della ricerca fu aumentato, dopo moltissimi anni, il loro magro compenso. Ad oggi i dottorandi italiani guadagnano meno del costo della vita (1130€ contro 1200€) e hanno ben poche prospettive di stabilizzazione nel loro futuro. Certo, il governo Conte II ha stanziato 1,4 miliardi di euro nella ricerca, ma questo non ha cambiato le profonde ingiustizie della ricerca italiana: i dottorandi non sono stati aiutati durante l’emergenza, né si è pensato di modificare la tanto condannata riforma Gelmini nel campo universitario. Cosa può fare il centrosinistra in questa situazione? In realtà molto. Puntare alla ricerca, in tutte le sue branche, è un investimento destinato a rendere negli anni in maniera esponenziale. Attirare energie dall’estero, poi, permette di agevolare l’economia e lo sviluppo di uno stato tanto da avvantaggiarla rispetto agli altri. Dovremmo pensare all’università come a un albero appena piantato che renderà solo dopo anni. Saremo in grado di far fruttare l’enorme potenzialità di questo paese? Soprattutto adesso che siamo al governo?
Sasha Alessandro Volpi
4 Giu 2020

Comunicazione e propaganda politica

Ogni volta che scriviamo qualcosa sui Social Network ci assumiamo una grandissima responsabilità. La comunicazione oggi è immediata, priva di filtri e sempre più orizzontale. La mercificazione delle notizie spesso presenta dei problemi, poiché non sempre ne vengono verificate le fonti . Molto spesso diamo per scontato che si tratti di informazioni veritiere e certificate, che magari leggiamo sui profili di amici dei quali ci fidiamo. E’ pertanto necessario, oggi più che mai, ricordare quella che è la differenza fra Comunicazione Politica e Propaganda Politica. Se riusciamo a capire quelli che sono i meccanismi che stanno dietro il continuo proliferare di notizie, spesso false (le c.d. Fake News) e utilizziamo i social in maniera responsabile possiamo far si che la rete digitale diventi sempre più uno strumento al servizio della democrazia e della libertà di pensiero. In caso contrario, gli scenari si fanno cupi e c’è seriamente il rischio di indebolire quelle che sono le istituzioni a difesa degli ordinamenti democratici. Non dimentichiamoci mai che quello che usiamo chiamare “Stato” è, si, disciplinato da una Carta Costituzionale che lo legittima e lo preserva ma in primis è la massima espressione di tutte le individualità presenti in un determinato Paese. E che sta a noi tutti, in quanto parte di esso, salvaguardare la Sua e quindi la nostra esistenza. Quindi, cosa è la COMUNICAZIONE POLITICA e cosa invece la PROPAGANDA POLITICA. Partiamo dal presupposto che entrambi i tipi di comunicazione hanno come principio cardine la RETORICA. Per retorica si intende un discorso destinato a persuadere, convincere e commuovere il pubblico. E’ ricerca di empatia. La Retorica è quindi lo strumento di persuasione per eccellenza e viene insegnata con successo nelle scuole dall’antichità greco-romana fino all’epoca moderna. Le sue tecniche furono applicate principalmente alla politica. Si è soliti definire la Comunicazione Politica come lo scambio e il confronto dei contenuti di interesse pubblico-politico prodotti dal sistema politico, dal sistema dei media e dal cittadino elettore. Si distingue dalle altre sottospecie della comunicazione pubblica in quanto interviene su argomenti di interesse generale che sono però di carattere controverso e rispetto ai quali sostiene un particolare punto di vista. La Propaganda Politica, invece, è ben diversa. La propaganda è la diffusione di informazioni, vere o false, allo scopo di sostenere un’azione. Quando tali informazioni sono vere, possono essere tuttavia di parte o non fornire un quadro completo della situazione. La propaganda ha generalmente un culto politico o nazionalistico. In senso più stretto e più comune, con propaganda ci si riferisce a informazioni deliberatamente false o fuorvianti che sostengono una causa politica o gli interessi di un gruppo di potere. I propagandisti cercano di cambiare il modo in cui la gente comprende una questione o una situazione, allo scopo di cambiarne le azioni o le aspettative, in un modo che sia quello auspicato dal gruppo di interesse. In questo senso, la propaganda serve come corollario alla censura, nella quale lo stesso scopo viene raggiunto, non riempiendo la testa della gente di false informazioni, ma prevenendo la conoscenza di informazioni vere. Ciò che rende la propaganda differente da altre forme di controllo è la volontà del propagandista di cambiare l’orientamento delle persone, attraverso l’inganno e la confusione, piuttosto che tramite la persuasione e la comprensione. Quindi, possiamo facilmente capire cosa differenzia la propaganda dalla comunicazione politica: la volontà di cambiare il pensiero delle persone ricorrendo spesso a mezzi illeciti o semplicemente, nel mondo dei social Network, utilizzare un linguaggio aggressivo, violento e volto a demonizzare tutto ciò che rappresenta un ostacolo al raggiungimento dello scopo prefissato. Un sacco di studiosi hanno analizzato il modo di percepire la realtà quando si fa avanti quella che spesso chiamiamo coscienza collettiva. Nella folla la personalità cosciente svanisce, i sentimenti e le idee si orientano lungo una sola direzione, formando così una sorta di anima collettiva. L’anima della folla è formata da un substrato inconscio che accomuna tutti gli individui di una stessa razza o cultura, ma le loro individualità si annullano. Secondo alcune teorie, la folla è sempre intellettualmente inferiore all’uomo isolato, ha la spontaneità, la violenza, la ferocia, ed anche gli entusiasmi e gli eroismi degli esseri primitivi. Se ne deduce, seguendo questo ragionamento, che la maggior parte degli individui è incapace di auto-governarsi, quindi è da qui che nasce il culto del capo che fa loro da guida. La folla antepone l’istintività al giudizio, all’educazione e alla timidezza, pertanto il “capopopolo” deve presentarsi ad essa con un linguaggio adeguato alla recettività del destinatario. L’emblema dell’uso strategico della propaganda politica è ovviamente rappresentato dal Regime Nazista. Goebbels, forse il più geniale nonché diabolico oratore del secolo scorso capì subito il potenziale della Propaganda. Per renderla efficiente e aumentarne la potenza aveva bisogno di uno strumento per entrare nelle case di ogni cittadino. Nel periodo seguente la prima guerra mondiale, in un regime di totalitarismo, la comunicazione assume un carattere “industriale”, ne aumenta non solo la produzione, ma anche il “bacino di utenza”, il rapporto tra potere politico e comunicazione si fa sempre più stretto. Da qui la necessità di un mezzo di comunicazione semplice e innovativo che trasmetta notizie facilmente comprensibili al pubblico. La Radio era lo strumento più indicato, poiché era all’epoca il mezzo di comunicazione di massa, presente praticamente in ogni famiglia. Un po’ come agli Smartphone oggi che ci permettono di essere costantemente collegati a Internet ed attivi sui Social. Ancora oggi, con le dovute proporzioni, personaggi politici che hanno come obiettivo quello di cambiare il modo di pensare nonché la percezione di intendere gli eventi quotidiani, tempestano social di affermazioni ripetute in maniera martellante, spesso si tratta di discorsi contraddittori e di false verità con il solo obiettivo di far presa nell’elettorato. Alla luce di tutto questo, è quindi fondamentale che ognuno di noi presti attenzione alle notizie con le quali interagisce, in modo da capirne la provenienza e soprattutto le finalità. La libertà di pensiero è un diritto inalienabile di ogni essere umano. Proprio per far si che ognuno di noi lo possa palesare occorre salvaguardare la cultura, la conoscenza e soprattutto la correttezza delle informazioni che ci permettono di sviluppare le proprie opinioni e la propria personalità. False verità costruite artificialmente danno vita ad un costrutto irrazionale e ad una realtà che non è quella con cui abbiamo a che fare ma che artisti della demagogia vorrebbero far credere.
Fausto Bosco
3 Giu 2020

Serve un centrosinistra unito

Guardando alla difficile e per certi versi drammatica situazione attuale a mio giudizio, se ne esce con i valori Costituzionali come guida ossia il diritto alla salute art 32 Cost. ma anche art 41 Libera iniziativa economica e con le libertà individuali dall art 13 Cost. e seguenti. Se ne uscirà in autunno e gli anni a venire, con riforme coraggiose sociali (reddito per chi è senza) e fiscali; ma anche lotta senza quartiere alla evasione fiscale e corruzione nonché il famoso Green New Deal ossia sviluppo economico sostenibile. Se ne esce con un centrosinistra rafforzato e unito nei territori e in Parlamento odierno e futuro, con una coalizione di centrosinistra larga e unita senza movimento 5 stelle però, sulla base del modello emiliano romagnolo. E con un PD rinnovato senza rottamazione ma con discontinuità forte rispetto al passato e con un congresso aperto sui temi e persone per un nuovo PD e per un nuovo campo largo di centrosinistra dove di possano rivedere Verdi, Liberalsocialisti di Bonino e Calenda, Leu e renziani. Sarebbe utopico ora ma il centrosinistra diviso perde tutto come nel 2018 e invece vince come in Emilia Romagna se unito. Metterei ai voti a congresso l’alleanza più strutturata coi 5 stelle (io contrario). Se ne esce con l’unita del centrosinistra non con le divisioni e derive populiste ma proposte serie di sinistra dall’ambiente al lavoro sostenibile alla scuola e sanità pubblica nonché lotta alle disuguaglianze sociali. Nessuno deve rimanere indietro. Infine un piano di rilancio per il Sud Italia affinché possa finalmente mettersi in moto dal turismo alla cultura passando per un piano di infrastrutture e investimenti pubblici e privati importanti. Il mio impegno andrà alle Regionali del Veneto, mia casa il Polesine. E per rinnovare e cambiare il PD facendo un grande partito di centrosinistra inclusivo nelle alleanze senza guardare ai populismi. La strada è lunga e difficile ma anche stimolante e necessaria all Italia. Un saluto amiche e amici , compagne e compagni.
Matteo Santato
2 Giu 2020

Quale letteratura per la next generation?

Meeting live venerdì 29 Maggio.02 Esperti ed esperte del mondo della letteratura per ragazzi/e hanno dialogato con personaggi del contemporaneo: dal mondo de lavoro con Susanna Camusso, alla cultura digitale con Maria Pia Rossignaud, al tema degli spazi urbani con Francesca Perani, alle tematiche ambientali con Fabio Gugliemi, ai rappporti e le relazioni con Patrizia Fistesmaire. L’intento è stato quello di confrontarsi sulla necessità di un profondo cambiamento di scenari e di modelli di vita associata che il Covid 19 ha messo in discussione. Su questo sfondo di riflessione, anche la letteratura rivolta alla next generation è chiamata, con il suo linguaggio specifico, a recepire e veicolare le cose del mondo tramite il linguaggio delle emozioni, dell’onestà, della consapevolezza. Come overture dell’incontro, la testimonianza delle ragazze e ragazzi di un liceo romano che hanno portato la loro condizione di incertezza, di mancanza di punti di riferimento, ma anche la loro voglia di partecipare e di essere coinvolti. —————— Riprendendo volutamente la denominazione del Piano per la ripresa dalla crisi Covid-19, presentato al Parlamento europeo pochi giorni fa da Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione europea, ribattezzato: Next Generation EU, appare evidente quanto l’intento del meeting ne abbia ripreso la dicitura, sposandone in pieno la dimensione di investimento e assicurazione per il futuro. La necessità di investire e allocare, non solo risorse economiche verso i paesi colpiti dalla pandemia, ma soprattutto risorse intellettive e di pensiero per sollecitare le intelligenze di giovani e meno giovani, appare condizione indispensabile per una strategia di sviluppo complessivo, teso al miglioramento globale delle nostre comunità. Investire in risorse economiche deve voler dire unitamente, investire in cultura, in ricerca, in idee rinnovate che diano origine a scenari altri, a nuovi modelli di vita associata, pensati e proposti anche tramite copioni che raccontano ai più giovani le cose del mondo . Sono le idee, del resto che cambiano il mondo. Di questo forse hanno bisogno le prossime generazioni per assicurare una vita più umana, più rispettosa dei diritti, del benessere, dell’ambiente intorno a noi. La letteratura per la fascia giovanile con le sue storie, con il linguaggio che le è più naturale, quello delle emozioni, della bellezza, della passione, dell’immaginazione, potrà e dovrà attraversare potentemente il magma di queste istanze e renderlo ancora più vivido, autentico, vero. Numerose le osservazioni e le sollecitazioni pervenute dagli interventi. Si è scelto di far partire l’incontro con le parole di una ragazza e di un ragazzo del Liceo Montale di Roma, una scuola che ha dato vita nel periodo della quarantena, ad una Radioweb, grazie alla quale gli studenti hanno proposto musica, interviste, discussioni. Nelle loro espressioni traspariva disorientamento, incertezza sul futuro, mancanza di punti di riferimento. Ma si è colta anche insoddisfazione per quella didattica a distanza calata dall’alto, senza alcuna preoccupazione di coinvolgimento da parte di chi ne deve fruire, rispetto a modalità , contenuti, coinvolgimento effettivo. Nelle loro parole la voglia di contare di più, di essere interpellati e ascoltati : monito di cui far tesoro per quando a settembre riapriranno le scuole! Nella stessa direzione le parole di Patrizia Fistesmaire, Dirigente Psicologa presso il Consultorio Giovani di Lucca e che da anni lavora interfacciando i problemi dell’età evolutiva. L’attenzione è andata da parte sua alle risultanti di un’ interessante indagine territoriale svolta dal Consultorio della città toscana, utilizzando una campionatura di 100 ragazzi/e nel periodo di quarantena, e che indagava su come la fascia giovanile ha vissuto i contatti virtuali durante la quarantena. Anche nelle parole di FISTESMAIRE ritornano alcuni elementi già ascoltati: “impariamo da questi digital natives, aiutiamoli a creare per loro spazi di rappresentanza vera, in questo momento di forte incertezza per tutti, ci chiedono di essere coinvolti in modo concreto, di partecipare, di rendere veramente attivo sia l’apprendimento che l’insegnamento. Su questa condizione ha insistito fortemente anche Susanna Camusso nel suo intervento: “ I giovani saranno i più penalizzati nel prossimo futuro in quanto a occupazione e spesso non conoscono le dimensioni reali in cui si attua e si vive il lavoro. Questo perchè lo si descrive poco e non se ne mette bene in evidenza la valenza preziosa di progettualità personale che esso può innescare”. In particolare sono state tre le istanze che Susanna Camusso ha indicato per favorire una letteratura attenta alle dinamiche attuali: contrastare gli stereotipi tanto frequenti che relegano le donne in lavori considerati meno prestigiosi, ad es. quello della cura, pensata spesso come attività di scarsa rilevanza, e lavori da uomini, immaginati da sempre quelli più importanti, relegando spesso il lavoro di cura ad una marginalità, che la pandemia ha contraddetto e ricondotto al giusto valore; rendere effettive le condizioni di sicurezza e la tutela della salute in ogni forma di lavoro; difendere e riaffermare i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, denunciando ogni forma di sfruttamento. Occorre dunque – conclude Camusso- “far comprendere ai giovani come stare realmente nel mondo del lavoro”, in una società che si definisce avanzata. Un’altra forte notazione alla cura come dimensione prioritaria di riflessione, lo ha riservato Francesca Perani, architetta di Bergamo, attivista dell’Associazione europea RebelArchitette, quando il pensiero si sofferma a ripensare gli spazi urbani e privati, intorno a noi. “La cura della città diventa oggi più che mai un nuovo sistema valoriale con cui le nuove generazioni dovranno fare i conti”- osserva Perani. In tale sistema l’attenzione di chi progetta si deve spostare verso le fasce deboli e i loro bisogni, verso l’integrazione degli spazi in un ripensamento che include anche la revisione degli spazi intimi del soggetto all’interno delle proprie abitazioni. Luoghi talmente importanti questi ultimi, nel periodo della quarantena, come luoghi di protezione e di sosta prolungata, ma anche luoghi da adeguare e trasformare rispetto alle esigenze di chi li vive. Le suggestioni hanno continuato la loro esternazione grazie a Maria Pia Rossignaud, Direttrice della Rivista Media Duemila specializzata in cultura digitale che ha rivolto l’attenzione verso scenari comunicativi che hanno riconosciuto nel Covid 19, la “ tempesta perfetta”, in cui la comunicazione è diventata essa stessa “virale” sia che si trattasse di fake news o di informazioni attendibili, rinnovandone la condizione imprescindibile che essa rappresenta per ognuno, più che mai per la fascia giovanile. La comunicazione digitale è diventata in questa emergenza, nonostante i tanti problemi connessi, possibilità formativa (la didattica a distanza) ma ci impone anche una riflessione sugli scenari futuri di essa, circa l’impatto delle tecnologie tra cui l’intelligenza artificiale in primis su business e industria, ma anche sulla gestione della nostra vita quotidiana. Ebbene anche qui le prossime generazioni sono chiamate in causa con la loro intelligenza , creatività e soprattutto umanità tecnologica. Il proseguo dell’incontro si è orientato verso i lidi della letteratura per ragazzi che attraverso Giuseppe Vitale, grafico, scrittore ed educatore dell’infanzia, ha presentato il …. Covid 19 ! cioè a dire un nuovo personaggio pensato per i più piccoli che proprio Vitale ha disegnato e creato, dal nome sconvolgente di “TERRORINO”. Queste le parole di Giuseppe Vitale :“Il personaggio insolito è nato in un periodo in cui tanti di noi hanno avuto paura. Quando si parla e si crea per i bambini occorre essere onesti e non …barare al gioco e allora creare Terrorino per me, ha voluto significare dare una forma e un corpo alla paura stessa. Disegnare Terrorino significa provare a conoscerlo, e misurarsi con lui, sapere come comportarsi e dunque accettarlo. Quello di creare immagini infatti è il linguaggio con cui preferisco esprimermi”. Sempre sui temi della letteratura si è misurata la nota scrittrice per ragazzi, Annamaria Piccione soffermandosi sui temi della fragilità, della vulnerabilità come elementi portanti di questo periodo, da non dimenticare mai nel rapportarci ai ragazzi e alle ragazze. “La letteratura per i ragazzi- sostiene Annamaria Piccione- ha bisogno soprattutto di belle storie che non devono rimanere legate, quasi intrappolate nel voler veicolare messaggi prestabiliti a tutti i costi. Le belle storie devono riuscire ad emozionare, a far indignare, a scuotere le coscienze se necessario, magari a far innamorare ….” Sulla stessa linea l’intervento di Ilaria Tagliaferri, Direttrice della Rivista LIBER, esperta circa le tendenze attuali della letteratura per ragazzi. Anche per lei, oltre a mettere in evidenza il successo registrato in questi ultimi anni dal genere graphic novel sempre più ricco di proposte interessanti, nelle novità dei libri per ragazzi/e che ha elencato e mostrato: (dai 4 sino agli over 15 )Perché dovresti leggere libri per ragazzi anche se sei vecchio e saggio di K. Rundell (Rizzoli), Harold e la matita viola di C. Johnson (Einaudi Ragazzi), Clara e le ombre di A. Fontana (Il castoro), Ragazzo divora universo di T. Dalton (harper Collins Italia), vince sempre chi riesce a procurare emozione, sentimento, gioia, speranza, chi riesce potentemente a far battere il cuore, avvicinando empaticamente alle cose del mondo…. Anche Daniela Carucci, scrittrice e finalista Premio Strega 2020, con il testo Ruggiti (Sinnos editore) interviene con queste parole : “ I ragazzi/e hanno diritto a fruire di storie che parlano di qualsiasi cosa, purchè trattate con autenticità e onestà. L’atteggiamento di chi scrive deve essere quello di un adulto in ricerca, di chi non ha verità universali e messaggi inossidabili da fornire, ma accompagna e propone la voglia di trasformarsi, di essere flessibile per crescere e vivere nel mondo”. Di mondo e di natura ha trattato invece Fabio Gugliemi, esperto di ambiente e di educazione ambientale che sottolinea la curiosità di ogni bambino e bambina verso gli elementi e i contesti naturali che spesso proprio la famiglia può inconsapevolmente presentare pieni di pericoli in un‘ottica iperprotettiva. I giovani dimostrano naturalmente viva curiosità per ciò che è intorno a loro e ultimamente l’effetto Greta Thunberg li ha visti in moltissimi in piazza manifestare per le tante emergenze ambientali. Tuttavia, se un bel passo in avanti si è registrato come sensibilità e diffusione del messaggio, Guglielmi invita i ragazzi e le ragazze alla conoscenza scientifica dei tanti fenomeni naturali, proprio per poterne comprendere al meglio la possibilità di conservazione e salvaguardia. Come ultimo intervento, il mondo editoriale e le parole di Donatella Caione, Responsabile di MATILDA Editrice, una casa editrice coraggiosa che ha fatto di numerose battaglie di rivendicazione dei diritti delle donne la propria bandiera . Ecco le sue parole: “Il sessismo inteso come atteggiamento in tanto giornalismo e nella pressoché assenza delle donne nella task force di esperti, costituita dal governo per far fronte all’emergenza, hanno connotato nel nostro paese anche l’esperienza del Covid 19”. Tuttavia non dimentichiamo che sono state proprio le donne ad essere in prima linea negli ospedali, negli Istituti per anziani, nelle abitazioni intente a seguire i figli alle prese con una didattica a distanza che per i più piccoli è stato necessario sostenere da una presenza di “cura” quasi sempre materna, essenziale ancora una volta.” Dunque l’auspicio di Donatella Caione è che le narrazioni per la fascia giovanile rappresentino la realtà di questi temi e le evidenti contraddizioni che spesso manifestano . Tali temi, se presentati adeguatamente aiutano i/le giovani a crescere come persone rispettose dei diritti e delle identità altrui. Un accento positivo a chiusura dell’intervento è andato alle metodologie di incontro tramite piattaforme web, ormai collaudate che hanno permesso, in questo periodo di distanziamento obbligato, di mettere insieme soggetti provenienti da varie aree del territorio italiano, eliminando tempi e costi di spostamento. A chiusura del meeting, l’organizzatrice Maria Grazia Anatra, Presidente dell’Associazione Woman to be è intervenuta sottolineando il significato del Marchio NARRARE LA PARITA’, voluto dall’Associazione Woman to be di cui è presidente e cioè un contenitore di iniziative diverse di cui questo incontro è una esemplificazione. Concludendo Maria Grazia Anatra si è augurata che questo scambio di visioni e punti di vista possa continuare in forme diversificate, trasformandosi gradualmente ma concretamente in un progetto editoriale/multimediale che sta prendendo forma, alla ricerca di sostegno concreto e di attenzione.
Maria Grazia Anatr
2 Giu 2020

Un nuovo paradigma culturale

Cambiamento e innovazione sono oggi tematiche che stanno alla base di ogni azienda pubblico o privata che, per sopravvivere, devono adattarsi e costantemente mutare nelle proprie logiche. In molti, infatti, per stare al passo con lo sviluppo della Società e l’ambiente esterno cercano di continuo modi per incoraggiare tale visione. Il futuro non è prevedibile, ma è possibile provare ad anticiparlo. La scelta che la Pubblica Amministrazione italiana è chiamata a compiere, è tra la rigida stabilità di un passato già sperimentato e la flessibile mutevolezza di un futuro ancora da scoprire. Modelli di gestione burocratici e gerarchici da un lato, logiche di quasi mercato e orientamento al risultato, dall’altro. Tuttavia, data la sua natura e la sua essenza, la P.A. potrebbe sperimentare un modello ibrido basato sui criteri di flessibilità ed autonomia gestionale, al fine del raggiungimento di una vera separazione dei ruoli politici da quelli delle funzioni amministrative. Ciò si potrebbe rivelare strumento di progresso, capace, forse, di traghettare il settore pubblico verso i principi di efficienza, efficacia ed economicità. La pianificazione a lungo termine cede il passo a strategie volte a gestire al meglio le relazioni nel presente; la ricerca dell’eccellenza passa attraverso l’instabilità. Se, dunque, il futuro non è prevedibile, si può contribuire attivamente a generarlo, lavorando sulle capacità di fronteggiare l’incertezza, elaborando schemi e modelli nuovi per muoversi in una realtà che appare sempre più complessa, dove il cambiamento è ormai una dimensione strutturale del divenire piuttosto che un fenomeno occasionale ed eccezionale. Oggi il problema sta nel comprendere in che modo le organizzazioni e la P.A. siano in grado di apprendere, di mutare sé stesse e il loro modo di interazione con la Società. Il tema del cambiamento organizzativo è cruciale in quanto, proprio nel settore pubblico, appare anacronistica la persistenza di sistemi amministrativi logori da dinamiche vetuste e di una cultura rigidamente formale e burocratica, a fronte delle esigenze dei cittadini, in termini di offerta e qualità dei servizi. Il cambiamento appare al contempo necessario e impossibile: da un lato vi è la necessità di cambiare per evitare il blocco e la crisi del sistema, dall’altro l’incapacità di farlo, di trovare la dritta via. Nella P.A., da anni, è in atto un movimento irreversibile che spinge ogni singola Amministrazione a darsi un’identità, a valorizzare la propria specificità e il proprio ruolo, attuando processi di trasformazione e, l’ondata di riforme che dagli anni ’80 ha investito le Amministrazioni pubbliche in Italia, impone, oggi, una profonda riflessione relativa all’impatto e alla vera efficacia che questi cambiamenti organizzativi hanno prodotto. Alla base dei tentativi di riorganizzazione degli apparati dello Stato, diretti anche ad una gestione più razionale e parsimoniosa delle risorse, vi è il connubio tra le esigenze di risanamento finanziario e la diffusione dei paradigmi manageriali, da cui dipende il successo e la sopravvivenza dei sistemi organizzativi complessi, che si realizzano grazie alla capacità di attuare i cambiamenti necessari per fronteggiare, da un lato, l’evoluzione del contesto societario e normativo e, dall’altro, la domanda sempre più differenziata di servizi da parte dei cittadini. Il cambiamento è dunque la condizione essenziale per la sopravvivenza e l’evoluzione dell’Amministrazione pubblica, ed è proprio per questo che i processi di riorganizzazione, vanno gestiti e governati, soprattutto nelle componenti immateriali e valoriali che caratterizzano, nel profondo, il modo d’essere e di operare di un’organizzazione pubblica, costituendone il tratto distintivo. Quali elementi di fondo dovrebbero quindi caratterizzare il nostro settore pubblico, per saper meglio rispondere alle istanze dei suoi portatori di interesse e dei cittadini? Come abbiamo visto l’adeguamento strutturale e strategico all’evoluzione della Società risulta fondamentale, serve ricostruire il ritratto di una P.A. in continua evoluzione, emergente, con un respiro europeo, in grado di confrontarsi ed interagire con i livelli di governo sovranazionali e con le amministrazioni pubbliche degli altri paesi e propendere per una visione integrata dei problemi. Non meno si richiede affidabilità, competitività e progettualità, che permettano di esprimere idee innovative, aggregare soggetti e risorse, disegnare un futuro e darvi concreta attuazione. Inoltre bisognerebbe che godesse di “stima e affetto” e fosse consapevole dell’importanza del proprio ruolo. Serve che essa sia orientata a ripensare i propri processi amministrativi e produttivi in funzione, delle esigenze e delle aspettative degli utenti e, al tempo stesso, capace di promuovere l’integrità nell’uso delle risorse pubbliche. Una vera riforma – se vogliamo usare questo termine -, tuttavia, richiede la capacità di coniugare i tagli alla spesa con la capacità di investimento, a partire dal capitale umano che rappresenta, probabilmente, il fattore più importante. Tutto questo è possibile solo a condizione che si riesca a coniugare l’urgenza degli interventi indifferibili con la capacità di traguardare un orizzonte di medio lungo termine, operando un processo di trasformazione continua e dinamica che ci allinei alle migliori esperienze internazionali.
Daniele Moretti
2 Giu 2020

La nostra comunicazione con la bestia in ritirata. Un giornale-comunità è possibile?

Le ultime vicende dell’editoria italiana e dei gruppi economici e finanziari che la controllano hanno riaperto una ferita in chi, come me e molti altri, viene da anni di impegno e di appartenenza. La questione non è solo la mancanza, in questo momento così particolare, di strumenti che in altre epoche furono decisivi come gli organi di stampa di partito. C’è anche la difficile ricerca di idee efficaci su come essere presenti nel mondo digitale come forza politica; su come comunicare e informare, costruendo una comunità di persone, prima ancora che una community virtuale. Qualcosa si muove positivamente con il progetto inviato dall’organizzazione nazionale ai circoli nei giorni scorsi. Ma fino a oggi, ovunque, la sinistra ha vissuto alla giornata – c’è chi ha parlato della strategia dell’opossum – nella speranza di uscire politicamente vivi dalla pandemia e nella fondata convinzione che, in questo contesto mutato, si stia riducendo l’efficacia delle varie “bestie”, quelle macchine infernali di propaganda e mistificazione che hanno portato all’affermazione di Brexit, Trump e dei sovranismi (Salvini compreso) grazie ad anni di lavoro strutturato, scientifico e sotterraneo. Ancora una volta, ci stupiamo scoprendo che nel mondo la destra esiste, ha una lettura della realtà e si è pure dotata di strumenti molto efficaci, almeno fino a ieri. E ancora una volta ci ritroviamo, noi, con la necessità di dotarci di strategia e strumenti. Andando indietro nel passato di 10 o 20 anni e pensando a ciò che, allora, restava dei “nostri” giornali, va rilevata l’assenza di un disegno solido che si sarebbe potuto affidare fino in fondo alla ricchezza sociale, culturale e anche economica del mondo (o dei mondi) a cui appartenevano. Esisteva, infatti, un ambito di riferimento potenziale: un tessuto fatto di militanza politica diffusa, ma anche di associazioni, fondazioni, cooperative, professionisti, funzionari pubblici, sindacati, ong, comitati civici, pensatoi… Oggi tutto è cambiato, ma resta il bisogno di raccontare quei mondi e di ricevere da questi contributi e istanze. E si impone la necessità di uno strumento diverso che parli a un popolo che c’era e che ancora esiste, pur dentro le trasformazioni vorticose in cui siamo coinvolti. Immagino un giornale-comunità, digitale ma radicato nel reale e nella quotidianità; un giornale di pensiero, di approfondimento e di opinioni con tre caratteristiche: utile, ricco e unificante. Utile al lavoro e alla pratica quotidiana di amministratori locali, funzionari pubblici, sindacalisti, dirigenti cooperatori, piccole e grandi realtà sociali, portatori di interesse. Con la capacità di “entrare nel merito” (come fanno in campi diversi il Sole 24 Ore o Italia Oggi) con competenza e puntualità, guardando agli aspetti tecnici e ai meccanismi di cui sono fatte le organizzazioni e le istituzioni che, come gruppo dirigente a tutti i livelli, siamo chiamati a innervare e guidare. Ricco delle esperienze e dei punti di vista politici, sociali, economici, culturali e amministrativi di chi è impegnato nel campo largo del centrosinistra e della sinistra italiana. Unificante perché “tiene insieme” chi sente di appartenere e di poter dare un contributo a una storia che viene da lontano e che ha bisogno di una visione per costruire un futuro più giusto, aperto e sostenibile, per fare ciò per cui esiste la sinistra: dare voce e rappresentanza a chi non ne ha o non ne ha abbastanza.
Giulio Pierini
2 Giu 2020

È necessaria una sintesi tra “assistenti civici” e “reddito di cittadinanza”

Negli ultimi giorni si è fatto un gran parlare (sulla stampa e soprattutto sui social network) della proposta del Ministro Boccia e del Sindaco De Caro riguardo alla “chiamata” (non saprei quale altro termine usare, anche se il più indicato forse potrebbe essere “reclutamento”) di 60.000 “Assistenti Civici” che avranno il compito di aiutare e vigilare durante la Fase 2, coordinati dal sistema di Protezione Civile. La proposta, come è noto, ha suscitato non poche polemiche e molti dubbi; personalmente, sono tra coloro che hanno dimostrato scetticismo al riguardo. Da volontario del Servizio Civile Nazionale e della Protezione Civile, valuto più che positivamente l’impegno attivo e spontaneo dei cittadini in attività di affiancamento alle istituzioni (laddove possibile). Da un lato c’è il punto di vista pratico e immediato: sull’impegno dei volontari infatti si reggono in molti settori numerosissimi servizi: basti pensare alla Sanità e alla Cultura; dall’altro c’è il punto di vista ideologico, a mio parere ancor più importante: la partecipazione e la collaborazione dei cittadini ad attività che vanno a beneficio dell’intera comunità contribuisce moltissimo alla formazione del senso civico e di appartenenza. In questo complesso periodo, come già accaduto negli ultimi anni in molte situazioni di difficoltà per il nostro paese, il volontariato ha espresso tutto il proprio valore al massimo delle sue capacità all’interno del Sistema di Protezione Civile. Un sistema che è composto per lo più da una miriade di Associazioni e Gruppi Comunali che – ad esclusione dei periodi di “picco” nelle fasi emergenziali – fanno sempre più fatica a trovare volontari e persone disposte a impegnarsi per portare avanti le numerosissime attività che svolgono e di cui si occupano. Detto ciò, avrebbe molto più senso cercare una sintesi tra le due proposte, una in fieri e l’altra già esistente (“assistenti civici” e “reddito di cittadinanza”) allargando quanto più il numero di volontari selezionabili con i bandi del Servizio Civile, di modo tale da consentire a quante più persone di vivere un’esperienza fondamentale nella formazione personale, di cittadini e professionale, facendo conoscere a pieno le realtà dell’associazionismo e dell’impegno civico. Qualcuno, a cicli regolari, chiede il ripristino del servizio di leva: lo trovo sconcertante. Sostengono che possa servire ai giovani a formarsi, a imparare a rispettare le regole etc. Una vera buffonata. In una Democrazia sana le persone non devono imparare a smontare e rimontare un’arma, a marciare al passo dell’oca o a scattare sull’attenti; per di più, il rispetto delle regole e dei doveri minimi quotidiani (rifarsi il letto, lavarsi i denti etc) e – non ultimo – l’amore per il proprio paese, sono cose che vanno apprese a casa, in famiglia, e sui banchi di scuola. Appartengo a quella generazione (1991) che il servizio di leva se lo è evitato (e più che volentieri) e che è stata cresciuta da chi il militare lo ha fatto per coscrizione e non per libera scelta, ciò non mi ha impedito e non mi impedirà comunque di impegnarmi per la mia comunità e di rispettare le regole. L’associazionismo libero è un indicatore fondamentale dello stato di salute di una Democrazia e una Democrazia sana sostiene l’associazionismo e sostiene e incoraggia i cittadini – soprattutto i giovani – a essere partecipi all’impegno per la comunità, nei momenti di gioia come in quelli di difficoltà. Per questo motivo sarebbe opportuno destinare fondi alle associazioni e far sì che i Centri per l’Impiego e i Comuni facciano da tramite tra queste meravigliose realtà e i giovani, gli studenti, i disoccupati, i pensionati, i migranti e i richiedenti asilo che vorranno partecipare attivamente alla ripartenza del nostro paese da questa così detta Fase 2 in avanti.
Francesco Carfì
1 Giu 2020

Utilizzo dei fondi europei

I fondi messi a disposizione dell’Italia sono notevoli e se fossero tutti utilizzati potrebbero dare un grande aiuto per la ripresa economica. Preoccupa il fatto che l’Italia in passato non ha utilizzato tutti i normali aiuti europei. Se i normali canali istituzionali non avessero tutte le competenze e le capacità per eseguire i progetti necessari, lo Stato dovrebbe avvalersi di risorse esterne che in Italia ci sono. Pasquale Fortunio del circolo Angelo Vassallo di Bresso (MI)
Pasquale Fortunio
1 Giu 2020

Riforme. L’Italia deve fare le riforme

Bene, facciamole queste riforme. Però nessuno spiega chiaramente, punto per punto dove intervenire e con quali modalità debbano essere fatte. O forse è colpa mia, che non capisco. Generalmente, mi sembra che con il concetto “riforme che migliorino il sistema-Italia” tocchi solo i temi lavoro attivo ed età pensionabile, raramente però discutendo del potenziamento del potere d’acquisto di stipendi e pensioni (poco potere d’acquisto, poca domanda, poca produzione…). Quello che so per certo è che i lavoratori italiani (dipendenti, che giocoforza non evadono un centesimo; imprenditori piccoli e grandi compresi gli artigiani e le partite Iva in generale, che hanno più margine in ambito evasione, ma effettivamente subiscono anche diversi controlli) sono tra i più tartassati in Europa, forse addirittura i più colpiti in proporzione agli stipendi percepiti. In Italia poi c’è anche un alto numero di ore lavorate: il dipendente italiano, categoria alla quale appartengo, rimane in ufficio e in fabbrica mediamente più di un collega olandese o tedesco. E non ditemi che l’extra orario passato sul posto di lavoro è improduttivo o perdita di tempo, perché sarebbe offensivo verso la serietà dei lavoratori e verso l’intelligenza degli imprenditori (che non credo paghino stipendi a dipendenti che guardano la parete che hanno davanti agli occhi…). Il tanto bistrattato settore pubblico poi impiega in realtà molte meno persone, in assoluto e in rapporto al numero dei cittadini, rispetto a molti Paesi europei (fonte Forum Disuguaglianze Diversità). Quindi quando tra le riforme auspicate si parla di competitività, vorrei capire qual è il bersaglio dove indirizzare il dardo. La burocrazia certo, mi auguro però senza allentare le briglie riguardo alle regole sugli appalti (che dovrebbero essere sempre ben strette) mentre vengono mantenuti lacci e lacciuoli per chi apre un’attività o chiede i contributi spettanti per i danni causati dal Covid, giusto per fare un esempio. Si era intrapreso, qualche anno fa, un percorso di spending review: un discorso intelligente che non prevedesse un semplice e dannoso taglio lineare a qualunque voce di spesa, un tipo di taglio quello lineare che avrebbe mantenuto seppur riducendole le spese fortemente o totalmente inutili e che di contro avrebbe tolto ulteriori risorse a voci che magari avrebbero dovuto essere potenziate (se qualcuno pensa alla sanità non è fuori strada…). Finito in nulla. Gentiloni, molto giustamente, qualche giorno fa ha detto “è il momento di fare la torta, non di spartirsela”. Non potrei essere più d’accordo, mi sembra un concetto molto appropriato espresso con uno slogan valido ieri ma oggi ancora maggiormente calzante. I finanziamenti in arrivo dall’Europa siano un’occasione di ripartenza, di rinascita e non l’ennesima occasione persa. Si: ripartiamo, razionalizziamo, riformiamo, Qualcuno però, seriamente, mi dica dove intervenire e con quali modalità.
Francesco Terzoli
1 Giu 2020

Maturità, t’avessi preso prima

Mai come quest’anno la maturità sarà un evento epocale, unico, non soltanto per le modalità ma anche per i contenuti e per le persone. Sarebbe lapalissiano dire che i maturandi 2020 arriveranno con consapevolezze ed esperienze diverse, già il non vivere gli ultimi momenti che separano l’adolescenza dall’età adulta, non poter condividere le risate e i pianti con i propri compagni di classe, non poter festeggiare con i propri docenti cantando a squarcia gola “notte prima degli esami”, vedendosi passare davanti ai loro occhi ogni istante degli ultimi cinque anni in quella classe tanto odiata e amata allo stesso tempo, rimpianta da quel esatto momento in cui si renderanno conto che questo esame rappresenta per loro il bivio. In verità “esame di maturità” è solo un modo diverso e più aulico per dire che si è troppo grandi per restare a scuola e troppo giovani per affrontare la vita. L’esame di Stato con tutte le sue anni, la sua notte prima degli esami, te lo porti per sempre con te. I maturandi di quest’anno lo leggeranno sui libri di storia, ricordando tutto quello che è successo da marzo ad oggi. Infondo i ricordi sono un po’ la nostra macchina del tempo, la Delorian che ti riporta in un preciso momento e per i nostri studenti sarà la loro maturità. Dovremmo essere orgogliosi di questi ragazzi che non si sono lasciati andare alla paura e alla disperazione, perché hanno dimostrato grande coraggio e responsabilità, doti che sovente sono richieste dalla vita per essere veramente vissuta a pieno. Cari ragazzi, questo virus vi ha tolto tanto, non solo momenti goliardici, ma anche la bellezza del timore, la vicinanza degli amici con cui per cinque anni hai condiviso tutto, dalla tua prima “crush” alla prima delusione amorosa. Tutto. Il Covid-19 si è preso tanti momenti che meritavate di vivere insieme ai vostri compagni di classe, vi ha tolto il tempo, facendo si che questa maturità fosse atipica anche nelle sensazioni. Cari maturandi, il 17 giugno, tutto quello che vi è stato tolto, riprendetevelo con gli interessi.
Francesco Miragliuolo
1 Giu 2020
  • 1
  • 2