Un nuovo sistema di garanzie e protezioni per conciliare famiglia e lavoro

L’emergenza Covid 19 costituisce uno stress test del sistema Italia, che ha fatto esplodere, aggravandoli, problemi di inefficienza e iniquità. L’obiettivo non può essere un puro e semplice ritorno alla normalità, a “come prima” dello scoppio dell’epidemia.

Anche se fosse un obiettivo praticabile, non sarebbe augurabile per molti e per la società nel suo insieme. Cito solo le questioni più importanti: le falle nel sistema sanitario, unite alla diversa performance dei sistemi sanitari regionali di fronte alla crisi; la grave impreparazione della scuola rispetto alla didattica on line e le ancora più gravi disuguaglianze nell’accesso ad essa, combinate con una storica incapacità di contrastare le disuguaglianze nell’istruzione e la povertà educativa; l’assenza di accesso non solo alla banda larga, ma allo stesso internet in molte zone del paese; la frammentazione, quando non l’assenza totale,  delle forme di protezione dalla perdita di lavoro e di reddito; la marginalità delle politiche per i disabili; l’irrisolta questione della regolarizzazione dei migranti; la presunzione che la famiglia debba farsi carico di tutte le falle e inefficienze del sistema. Sono caratteristiche strutturali del contesto in cui la crisi sanitaria è precipitata.

Nell’approntare le misure di fronteggiamento per l’immediato, occorre anche mettere le basi perché quelle caratteristiche non si cristallizzino ulteriormente ed invece si evolva verso una loro radicale riduzione. È a questo livello, a mio parere, che si colloca la sfida più difficile per la stessa tenuta democratica.

Non è possibile affrontare tutte le questioni sopra sommariamente indicate in poche righe. Ne tocco solo due, importanti anche per la loro trasversalità e interconnessione: la questione delle disuguaglianze e la necessità di pensare al sistema famiglia-lavoro-welfare (inclusa la scuola) in modo integrato, non solo per quanto riguarda il rapporto tra formazione scolastica e domande del mercato del lavoro, ma anche rispetto alla conciliazione, per i lavoratori e lavoratrici, tra domande del lavoro e domande della famiglia. 

La crisi occupazionale seguita al lockdown ha reso visibile l’inadeguatezza, non solo per gli ovvi problemi finanziari a fronte della massa di persone coinvolte, del sistema di protezione dalla perdita del lavoro, o di parte di reddito da lavoro, e le disuguaglianze che un sistema frammentato e pieno di buchi causa tra i lavoratori.  È emersa la troppo a lungo, anche dalla stessa categoria, trascurata questione della protezione degli autonomi. Ma sono emerse soprattutto la miriade di lavoratori che per caratteristiche contrattuali sono esclusi di fatto o di principio dalle protezioni esistenti.

Queste disuguaglianze rimangono e vengono persino in parte ribadite nel modo in cui si è proceduto all’allargamento della platea dei beneficiari delle misure esistenti e all’introduzione di misure ad hoc, garantendo di nuovo protezioni molto diverse per generosità e durata, e continuando a lasciare scoperte molte categorie di lavoratori. Nel programmare il processo di uscita dall’emergenza sarà opportuno da un lato riprendere il processo di omogeneizzazione delle forme di protezione dalla disoccupazione, tenendo presente la frammentazione dei rapporti di lavoro oggi esistenti.

Dall’altro sarà opportuno pensare ad una garanzia di reddito universale, se non nella forma di un reddito uguale dato a tutti a prescindere dall’esistenza di altri redditi, in quella di una garanzia facilmente e incondizionatamente esigibile da tutti a fronte della mancanza di reddito o di un reddito insufficiente a soddisfare i propri bisogni.

Anche la chiusura delle scuole e di nidi, scuole dell’infanzia, doposcuola, laboratori, palestre, ha fatto emergere con violenza le disuguaglianze. Come ha segnalato anche un comunicato dell’Alleanza per l’infanzia, una scuola già poco attrezzata (al di là di esempi al contrario) a rispondervi in tempi normali, lo si è rivelata ancora più nella nuova situazione e anzi, proprio con l’esigenza di didattica on line, quelle disuguaglianze le ha aggravate. Non si tratta solo di disuguaglianze materiali, ma anche di competenze proprie e dei familiari per utilizzarle, di spazi di studio, nel caso dei più piccoli anche di competenze dei genitori per fare fronte alla nuova funzione di “docente aggiunto”, quando non prioritario.

La povertà educativa, ignorata o inadeguatamente affrontata dalle policy prima della crisi sanitaria, ma ancor più quando questa ne ha aggravato le caratteristiche, rischia di ampliarsi e approfondirsi, gettando una lunga ombra sul futuro delle generazioni più giovani in condizione di svantaggio economico e sociale. Nel programmare la ripresa della scuola, ma anche nell’immediato, occorre mettere a punto azioni che abbiano al centro il contrasto alla povertà educativa, anche sviluppando in modo sistematico la collaborazione con le competenze ed esperienze maturate in questo campo con il terzo settore e le associazioni di società civile.

La chiusura delle scuole e di tutti i servizi educativi ha esplicitato in modo estremo anche quanto la famiglia sia considerata uno shock absorber di tutte le emergenze e priorità decise altrove, senza considerazione delle effettive possibilità e capacità di farlo. Ciò di fatto ha aggravato il peso del doppio lavoro per molte donne, con il rischio concreto di un arretramento sulla già precaria e largamente incompleta parità di genere. Un rischio che si aggraverà man mano che si procede con la riapertura delle attività produttive se contestualmente non si provvede a riaprire, nelle forme di sicurezza richieste, i servizi educativi per i bambini.

Sia in questa fase che per il futuro le questioni della conciliazione famiglia-lavoro in una prospettiva paritaria tra uomini e donne devono essere messe al centro delle politiche del lavoro.