Per ripartire davvero le donne devono contare di più

Siamo entrati nel vivo della Fase2 dell’emergenza coronavirus. Perché la ripartenza sia anche un’occasione di rinascita e di innovazione, un’opportunità per correggere quei limiti dell’economia e dell’organizzazione sociale che questa crisi straordinaria sta mettendo in evidenza, è assolutamente prioritario che le donne entrino nei luoghi delle decisioni e che comunque questi siano contaminati in modo virtuoso da un pensiero femminile e femminista, che ha già elaborato una prospettiva alternativa sui modelli di produzione e consumo e sui rapporti tra donne, uomini, economia e ambiente.

Le donne sono protagoniste in questa fase di emergenza, stanno lavorando i 2/3 delle occupate e in settori strategici. Il carico del lavoro di cura, aumentato in quarantena, è sulle spalle delle donne. Le donne sono ora più colpite dalla violenza maschile. Sappiamo che l’occupazione femminile genera ulteriori posti di lavoro, aumenta il Pil e la natalità, rende la società più equa e giovane, genera benessere e qualità della vita. Non possiamo più accantonare questi dati e tornare al già visto. Avevamo proposto che nella Cabina di regia e nel comitato tecnico scientifico entrassero donne portatrici di questa visione, così non è stato ma non possiamo arrenderci. Come è stato già detto in modo efficace in queste ore, per ogni organismo direttivo servirebbero norme antidiscriminatorie. Il modello della legge Golfo-Mosca ha funzionato per i Cda delle imprese. E non possono bastare luoghi paralleli di elaborazione al femminile, sempre preziosi ma insufficienti. Non possiamo aspettare il dopo, il momento è ora. Le diseguaglianze nel nostro Paese sono una zavorra che peserà anche sulla ricostruzione, sugli investimenti in ogni settore. Per questo vanno rimosse, a partire dalla prima tra tutte: quella tra uomini e donne. Per cambiare, le persone, così come le idee, ci sono già. Faccio alcune proposte concrete, riprendendo anche parte di quanto già chiesto da diverse donne autorevoli e competenti in questi giorni:

1) Combattere la violenza contro le donne significa liberare energie e risorse per la società nel suo insieme. La violenza di genere è un fenomeno strutturale legato alla cultura e all’organizzazione sociale. Per questo è una lente per leggere tutto il resto. Oltre a potenziare ancora le strutture e le misure di protezione, come abbiamo continuato a fare anche con il Cura Italia, occorre investire sui percorsi di autonomia delle donne. Riproponiamo di istituire un fondo ad hoc con 5 milioni. Bisogna imparare a valutare l’impatto sul genere di tutte le politiche, in modo trasversale, per arrivare ad una società più equa, sostenibile, virtuosa.

2) E’ essenziale, nel potenziamento del SSN, garantire subito sicurezza a tutti gli operatori sanitari e dare valore al lavoro delle donne, assicurando loro vere possibilità di carriera, anche attraverso quote negli organismi di vertice. E’ necessario dare seguito agli studi e alla ricerca sulla medicina di genere.

3) Serve un nuovo Patto per il lavoro e bisogna investire davvero sul valore sociale della maternità. L’esperienza forzata dello smart working va tradotta in una buona pratica ordinaria. Può contribuire finalmente alla reale condivisione del lavoro di cura e delle responsabilità familiari tra i genitori e a migliorare la conciliazione per tutti dei tempi di vita e di lavoro. Si può tradurre in maggiore efficienza, evitando invece che sia un carico più pesante solo per una metà del cielo. E’ necessario ridisegnare, da subito, i nuovi diritti delle lavoratrici e dei lavoratori nella fase di transizione. Va incentivato un nuovo protagonismo femminile nel mondo del lavoro, investendo davvero sull’occupazione delle donne soprattutto delle giovani.

4) La scuola non può perdere la sua funzione educativa e l’istruzione, la formazione e la ricerca devono essere il pilastro della società. Esiste un diritto all’inserimento nei percorsi educativi per i bimbi da 0 a 6 anni e comunque si deve pensare al benessere dei minori, in relazione alla socialità. Se la prospettiva più immediata resta, almeno in parte, l’homeschooling, ciò non può significare abbandonare bambini e ragazzi alla buona volontà degli insegnanti e a genitori (soprattutto madri) che dovranno tornare al lavoro. Occorre riorganizzare la scuola, coinvolgere anche il Servizio pubblico televisivo, pensare in modo innovativo anche per rispondere alle esigenze dei più piccoli.

5) Il nuovo Welfare dovrà partire dalla valorizzazione del lavoro di cura, anche con il coinvolgimento delle aziende. In questa fase di transizione, è necessario pensare a congedi parentali veri a stipendio pieno anche per chi è in smart working, a nuove forme di flessibilità, a contributi e premialità fiscali per aiuto domestico e babysitting, facendo in questo modo emergere molto lavoro nero. È forse arrivata l’ora di pensare a retribuire il lavoro domestico, anche in part time e condiviso tra uomini e donne.

6) Correggiamo la rotta anche sul fronte ambientale, premiamo l’innovazione, cogliamo l’occasione della digitalizzazione forzata. Semplifichiamo la vita delle persone e dei centri urbani. Puntiamo sullo sviluppo sostenibile e sull’economia circolare. Coinvolgiamo le ragazze e i ragazzi in questo progetto, da subito.
E’ un libro dei sogni e non ci sono le risorse? Molti punti che ho elencato in realtà richiedono sopratutto la riorganizzazione dell’esistente, la finalizzazione di risorse già stanziate o di quelle che stanzieremo, anche grazie all’Ue. E’ necessario operare delle scelte precise ed è per questo che serve finalmente un pensiero femminile e femminista.

Valeria Valente è senatrice e presidente della commissione di inchiesta del Senato sul Femminicidio