Si stima che tre miliardi di persone nel mondo saranno a maggior rischio povertà dopo la pandemia. Sono numeri che rendono l’idea di come il diritto al cibo e alla sicurezza alimentare siano un’emergenza nell’emergenza. Viviamo anche in Italia una situazione delicata: il blocco delle attività ha aumentato la spesa per il cibo a casa delle famiglie, ma al tempo stesso troppe persone sono entrate in difficoltà e devono essere sostenute per sfamarsi.
Il virus ha messo in crisi filiere come il settore ittico, parte di quello lattiero-caseario e zootecnico, le raccolte di frutta e verdura, gli agriturismi. Vanno offerti supporti immediati: al reddito e alla liquidità, usando anche le risorse ancora disponibili nella politica agricola europea con pagamenti diretti alle aziende, azioni per una gestione migliore dei magazzini e degli stoccaggi, piani per promozione e tutela.
L’Organizzazione mondiale del commercio stima una riduzione del 32% degli scambi nel 2020. Un altro mondo. Paesi come la Giordania hanno chiuso le loro esportazioni per la preoccupazione di dover gestire pesanti tensioni sociali interne. Russia e Kazakistan hanno ridotto le esportazioni di grano facendo schizzare i prezzi del 10%. Anche il riso, l’alimento più importante del pianeta, ha subito restrizioni da Cina, Vietnam e India. Abbiamo avuto un assaggio di quello che potrebbe essere il mondo dei porti chiusi, anche in uscita. Tutto ciò deve imporre una nuova strategia per il modello agroalimentare italiano ed europeo. Siamo un paese trasformatore ed esportatore e non possiamo farci cogliere impreparati. Da una parte, un modello molto orientato alle esportazioni come il nostro, può rischiare di non essere pienamente resiliente. Dall’altra, sarebbe miope rifugiarsi nel ritorno a teorie autarchiche per un paese con le nostre vocazioni e con 60 milioni di abitanti. Questo non significa affatto, tuttavia, non porsi il sacrosanto tema di come essere più autosufficienti su materie prime essenziali. In particolare su alcune produzioni come grano, soia, latte, carni. Importiamo 5 miliardi di euro di cereali, 6,5 miliardi di carni e animali, 6 miliardi di prodotti ittici, 3,3 miliardi di oli, quasi un miliardo di latte.
Bisogna spingere il più possibile in alto l’organizzazione dell’offerta agricola nazionale, insistendo su strumenti come le filiere e i progetti cooperativi per avere massa critica. Torna di grande attualità lo spirito mutualistico. Il rapporto stesso tra persone e cibo prenderà nuove vie: muterà il tempo a disposizione per scegliere un prodotto allo scaffale in un negozio ed è prevedibile che avremo processi di concentrazione dell’offerta. Aumenterà la preferenza per prodotti conservati rispetto ai freschi, aumenterà il commercio on line, le vendite al banco assistito si potrebbero ridurre a vantaggio dei prodotti confezionati.
In questo quadro, il nostro tradizionale punto di forza nel sistema delle produzioni di origine certificata andrà supportato prima di tutto nel mercato nazionale. Dunque: più organizzazione dell’offerta agricola nazionale, investimenti sul sistema delle qualità a partire dal mercato interno, tracciabilità delle produzioni e massima valorizzazione del requisito essenziale della sicurezza delle produzioni. E legalità totale nel lavoro anche con la regolarizzazione dei lavoratori migranti stagionali con permessi rinnovabili per chi può avere un contratto.
Quando l’Italia ha avviato le misure anti virus, alcuni Stati europei hanno chiuso le frontiere e impedito le esportazioni chiedendo folli certificazioni. Questi episodi sono il sintomo di una fragilità di tutto il sistema alimentare europeo. Bisogna agire per assicurare a tutti cibo sano, sicuro, sufficiente e sostenibile. Anche nelle crisi. E solo con una vera politica alimentare comune si può pensare di affrontare questo snodo. Con l’Unione europea garante degli approvvigionamenti necessari, pronta a intervenire per assicurare gli spostamenti di merci e lavoratori.
Bisogna passare dalla vecchia politica agricola a una nuova strategia agricola e alimentare che assicuri piena sostenibilità, un’equa distribuzione del valore e la fine delle pratiche sleali ancora presenti. La globalizzazione senza regole ha fallito, il mondo nuovo non potrà essere quello degli egoismi e dei nazionalismi. Bisogna andare oltre. Il totem della neutralità dello Stato nel mercato, del mito del cittadino-consumatore arbitro e del prezzo come unico criterio di scelta vanno rivisti. Sono i fatti a dircelo.
“Ci troviamo in una situazione senza precedenti e le regole normali non si applicano più. Non possiamo ricorrere ai soliti strumenti in tempi così insoliti”. Sono le parole di Antonio Guterres. Tradurre queste parole in azioni è la vera sfida.