“Il lavoro in sicurezza per costruire il futuro” è lo slogan che Cgil, Cisl, Uil hanno scelto per questo Primo Maggio: un messaggio di impegno sociale, di solidarietà e, soprattutto, di speranza per tutto il mondo del lavoro.
Oggi non ci saranno cortei, manifestazioni, comizi nelle nostre città, come è già accaduto il 25 aprile. Anche la grande Piazza di San Giovanni a Roma sarà
deserta e silenziosa, senza la musica del tradizionale Concerto che ogni anno unisce migliaia di giovani. Ma non mancheranno le testimonianze, gli esempi concreti di solidarietà, lo sforzo di unità che sta facendo il nostro paese in queste settimane terribili, costellate purtroppo da lutti e dolore per migliaia di famiglie.
E’ un momento difficile, sicuramente il più tragico dalla fine della guerra, quello stiamo vivendo, con conseguenze gravissime sul piano economico e sociale. Sappiamo bene che nulla sarà come prima dopo questa pandemìa.
Il sindacato è stato in campo in queste settimane attraverso la nostra grande rete confederale solidaristica, le nostre sedi nei territori, le categorie, i nostri enti di servizio, di tutela e di assistenza per i lavoratori ed ai cittadini, come abbiamo fatto in altri momenti drammatici della storia del nostro Paese. Abbiamo avuto un confronto
stringente e collaborativo con il Governo, a cui abbiamo chiesto di sostenere il reddito di tutti i lavoratori con gli ammortizzati sociali e le altre forme di sussidio, lavorando insieme ad un Protocollo nazionale per la sicurezza in modo collaborativo e responsabile, ascoltando i consigli dell’Inail, della comunità scientifica e delle istituzioni sanitarie. Questo è il metodo giusto per affrontare i problemi del paese.
Ora si è aperta la fase due. Tutti vogliamo che si ricominci con le necessarie garanzie per la salute, in tutti i luoghi di lavoro, nei territori, nelle città.
Nessuno può farcela da solo. Dobbiamo mettere da parte gli egoismi nazionali e garantire a tutti i paesi europei risorse straordinarie per sostenere le imprese, l’occupazione, gli investimenti in grado di risollevare le condizioni economiche di milioni di persone. Nel nostro Manifesto per l’Europa solidale, la Cisl ha fatto proposte
precise, alcune delle quali hanno fatto breccia nella linea della Commissione Europea: aumentare in maniera consistente il debito pubblico; varare un piano di eurobond per almeno tremila miliardi per finanziare gli investimenti nella sanità, nelle infrastrutture, innovazione, ricerca, formazione, assunzioni nei servizi pubblici;
garantire liquidità immediata alle imprese per evitare il fallimento e la perdita del lavoro di milioni di persone; concordare con le parti sociali una manovra in Italia di almeno 80-100 miliardi con al centro un taglio drastico della pressione fiscale ad imprese, lavoratori e pensionati; arrivare ad un unico bilancio europeo ed
aprire una fase costituente per gli Stati Uniti d’Europa. Alle persone non interessano le formule finanziarie o le dispute politiche.
Se i cittadini dovessero vedere una Europa cieca, sorda, rinchiusa in se stessa, assisteremo alla fine del sogno europeo.
Vogliamo e ci batteremo per un’Europa nuova, solidale, orgogliosa della sua dimensione sociale, capace, con i suoi valori di libertà, accoglienza e democrazia, di competere ed essere punto di riferimento nel mondo. Come ha ricordato Papa Francesco oggi non e’ il tempo dell’indifferenza. Chi sta soffrendo attende risposte concrete e solidali dall’Europa e dai Governi.
Noi pensiamo che il nostro paese, come é avvenuto in altri momenti della sua storia, abbia le capacità economiche, sociali, tecnologiche ed anche culturali per ripartire. Questo naturalmente andrà fatto gradualmente e applicando tutte le procedure per
garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori. Bisogna ascoltare i consigli della comunità scientifica ed applicare i protocolli molto precisi e dettagliati che abbiamo siglato a livello nazionale e nelle aziende per tutelare la salute di chi tornerà al lavoro. Lo stesso andrà fatto nella scuola, nei servizi pubblici, in tutti i settori produttivi coinvolgendo le Regioni e gli enti locali. Questa è oggi la nostra priorità.
Bisogna cogliere questa occasione per cambiare in meglio il nostro modello di sviluppo e ricostruire profondamente il nostro Paese che non vogliamo più sia quello di prima. Dobbiamo modificare radicalmente il modo di produrre in ambienti più salubri, cambiare l’organizzazione del lavoro, i turni, l’orario, diffondere lo smart working, utilizzare le nuove tecnologie in tutti i settori per salvaguardare la salute delle persone, senza danneggiare la qualità e la produttività.
Occorre ripensare anche il nostro modello dei servizi ai cittadini, dei
trasporti pubblici, i tempi e lo stile della nostra vita. Per questo abbiamo bisogno di più partecipazione alle decisioni, più coinvolgimento dei lavoratori nelle scelte produttive delle aziende.
Dobbiamo essere pronti a ripartire, facendo leva sul valore sociale del lavoro, della sua sicurezza, della dignità della persona. Noi vogliamo un Paese che sappia ridisegnare l’economia sulla sostenibilità ambientale, sulle nuove infrastrutture, sul riassetto del territorio, sull’innovazione, la scuola, la formazione, la ricerca. Bisogna subito sbloccare i 130 miliardi per le opere pubbliche, senza per questo abbassare la guardia sulla trasparenza e la sicurezza degli appalti. Ci batteremo per un Paese che ricominci ad investire sul sistema sanitario pubblico, sulla qualità dei servizi sociali per gli anziani, per le famiglie, per le donne, per i giovani.
Che l’Italia non fosse preparata a una epidemia virale, lo dimostra il fatto che mancano circa 46 mila operatori sanitari, tra cui 8 mila medici, mentre nel frattempo il 15 per cento dei nuovi medici specialisti italiani se ne va ogni anno dal nostro paese, perché all’estero guadagnano di più e sono molto più valorizzati. Questa
è la triste realtà. La nostra sanità pubblica è stata falcidiata dai tagli negli ultimi venti anni da una politica fredda e miope. Oggi ne paghiamo le conseguenze. I medici e gli infermieri giustamente non vogliono essere considerati eroi e non vogliono nemmeno morire da eroi. Vogliono risposte concrete, urgenti dalla politica e dalle istituzioni, per continuare a fare il proprio dovere, con la giusta considerazione e rispetto. Ecco perché l’emergenza sanitaria, da cui lentamente stiamo uscendo, potrebbe
davvero rappresentare l’occasione per invertire la rotta.
Deve diventare un momento di presa di coscienza istituzionale e collettiva per riparare subito ai danni che sono stati fatti. Questo è il modo migliore per rispondere all’appello del Presidente, Sergio Mattarella. Bisogna uscirne,insomma, tutti insieme, con una rinascita morale e culturale, mettendo al centro il lavoro, la sua
sicurezza e la centralità della persona, valori che ritroviamo nella nostra Costituzione e su cui si fonda la nostra Repubblica. Non crediamo che bisogna uscire da questa pandemia rinchiudendoci nei nostri confini. Sarebbe un errore grave. Bisognerà ritrovare un ordine mondiale dopo questa tragedia, riscrivendo le regole della
competizione internazionale e del commercio, con equilibrio e lungimiranza. Occorrono strategie sistemiche, convergenti, coordinate poiché l’attacco è stato totale, alla vita ed alle forme di vita, alle strutture economiche, sociali, culturali del mondo, già messe a dura prova dall’emergenza ambientale, dalla caduta demografica in molti Paesi avanzati, dalla transizione dell’economia digitale e dell’intelligenza artificiale. Bisogna uscirne tutti insieme con una risposta collettiva, con una collaborazione virtuosa e responsabile tra Governo centrale, forze politiche, parti sociali, regioni, enti locali.
Se faremo questo, potremo ripartire più forti da questa grave crisi economica e sociale, con la speranza di costruire un paese più moderno, con più lavoro per i giovani, più equità, più giustizia sociale.
Annamaria Furlan è la segretaria generale della Cisl