Alla fine ha deciso di sospendersi in via temporanea dal lavoro l’infermiera di Anzio che si era vista sottrarre la custodia dei suoi figli, affidati all’ex compagno, perché a rischio contagio Covid 19. Pur di non rinunciare ai figli ha sacrificato il lavoro. Eccola l’altra faccia della vita delle donne in prima linea.
In queste settimane ne abbiamo viste tante. Sono donne le ricercatrici che all’ospedale Spallanzani di Roma hanno isolato il virus. Sono donne le tantissime dottoresse e infermiere che hanno messo a disposizione di tutta la comunità energie e competenze oltremisura – rappresentano i due terzi del personale del Servizio Sanitario Nazionale. Sono donne le tantissime addette dei supermercati che hanno consentito a tutti e tutte di poter regolarmente fare la spesa. Sono donne le moltissime addette alle pulizie che continuano a sanificare i luoghi di lavoro.
Essenziali, anche se in Italia ancora troppo poche. Siamo il paese che ha il tasso di occupazione femminile tra i più bassi nell’Unione Europea. Non possiamo permetterci che le donne escano ulteriormente dal mondo del lavoro a causa della recessione che si prospetta, la più grave dal dopoguerra, ma anche del modo in cui si rischia di programmare la ripartenza. Il lavoro delle donne richiede un cambiamento sociale profondo, che l’Italia non è mai riuscita a fare.
Anche adesso, che la pandemia ci scopre tutte e tutti fragili di fronte al rischio di ammalarsi, abbiamo visto come il distanziamento sociale non cancelli le disuguaglianze, tutt’altro. Ognuna/o è inchiodata/o alla sua condizione, di cui la propria casa è uno specchio. Lo spazio è socialmente determinato, così come lo è l’uso del tempo, ancora troppo diverso tra uomini e donne. Le fotografie prima dell’emergenza ci dicevano che mentre per gli uomini il 62,4% del tempo di lavoro totale è assorbito dal lavoro retribuito e il 37,6% da quello non retribuito, la situazione è più che capovolta per le donne, che concentrano il 75% del loro monte ore di lavoro quotidiano sul lavoro non retribuito. Del resto tra le donne tra i 25 e i 49 anni con figli minorenni, più di 4 su 10 non hanno un lavoro, mentre più del 40% delle madri con almeno un figlio preferisce il part-time pur di continuare a mantenere un’occupazione.
Eppure la compressione nello spazio delle nostre attività ha però reso più acuta la consapevolezza della cura necessaria a mandare avanti la vita. E’ diventato chiaro che siamo tutte e tutti legati – non monadi autosufficienti. E’ diventata evidente l’importanza che hanno la cura per la vita e per il corpo, la rilevanza dei gesti quotidiani. L’emergenza ha illuminato la sfera privata. Non sappiamo cosa sia cambiato nelle famiglie in queste settimane. E’ possibile che nello stravolgimento delle abitudini e dei comportamenti, ci siano famiglie in cui, a fronte dell’impegno professionale delle donne, alcuni uomini siano stati obbligati a ripensare il loro ruolo fra le mura domestiche, dove sono anche loro rinchiusi.
Sono cambiamenti che però hanno bisogno di trovare sostegno nelle politiche pubbliche. L’Italia resta tra i paesi europei con il congedo di paternità più breve. Una questione faticosamente messa all’ordine del giorno prima della pandemia, insieme alla proposta dell’Assegno unico per assorbire in un solo strumento semplificato gli aiuti previsti per i nuclei familiari con figli a carico. Tutte riforme ancora da fare. Sarebbe tempo di lavorare a una Legge quadro per la parità e contro le discriminazioni di genere in cui declinare un pacchetto importante di misure a sostegno delle donne fornendo una cornice legislativa forte e coerente che tenga insieme le politiche per l’educazione, per l’inclusione lavorativa e la parità di carriera e retribuzione, di contrasto alla violenza, di parità nei mezzi di comunicazione, di partecipazione alla vita politica.
Si tratta di un cambiamento culturale complesso. Nella pancia del Paese, nella vita quotidiana delle persone, permane una cultura e un’organizzazione patriarcale. La spia di questo è nella sottovalutazione dell’importanza della presenza delle donne nei luoghi delle decisioni, resasi manifesta anche in questi giorni. La permanenza in tanti settori di un potere quasi interamente nelle mani degli uomini. Ma davvero pensiamo di ripartire senza la competenza e l’esperienza femminile e femminista?
Con 63 punti su 100, l’Istituto europeo per la parità di genere (Eige) qualche mese fa collocava l’Italia al quattordicesimo posto tra i 29 paesi Ue (fatta eccezione per la sanità dove l’Italia raggiunge il punteggio più alto). Le disuguaglianze di genere, sono più accentuate nei luoghi di potere (47,6 punti), nella divisione del tempo (59,3 punti) e sul lavoro (63,1 punti) dove l’Italia ha il punteggio più basso.
Potere, tempo, lavoro. Ecco i tre nodi da aggredire, che questa emergenza rende ancor più evidenti. Possono essere nominate task force interamente maschili, mentre lo stare a casa per tante può significare un sovraccarico di lavoro o un’esposizione alla violenza domestica e l’emergenza può significare la perdita del posto.
Non torneremo a come eravamo prima, si dice. Aggiungerei che proprio non dobbiamo farlo, per tanti motivi. “Pensavamo di rimanere sani in un mondo malato”, le parole del papa rimarranno scolpite. E il pianeta sembra respirare, mentre noi ci ammaliamo. Viviamo una crisi globale, questo accelera i cambiamenti, con conseguenze forse a lungo termine. Il cambiamento può prodursi per necessità, ma l’esito non è scontato, sta a noi decidere di orientarlo. Il cambiamento può riguardare anche l’ordine patriarcale, ma anche qui l’esito non è scontato.
Potere, tempo, lavoro. Scompaginiamo le carte.
Non ci sono solo tetti di cristallo da rompere, ma basi sociali da ricostruire, un nuovo umanesimo da affermare. E le cose vanno insieme, perché i soffitti crollano davvero quando non hanno più basi su cui poggiare. E’ necessario riconoscere il valore del lavoro di cura. Un impegno faticoso, essenziale per le nostre vite e per le nostre relazioni, che occupa tanto tempo prezioso. Come racconta l’Appello per una democrazia della cura la situazione lavorativa delle sue professioniste è molto fragile e va urgentemente ripensata con interventi mirati, ne ha scritto Livia Turco.
La ripartenza ci impone di essere vigili sul processo di costruzione di una democrazia paritaria di fatto e non solo nominalmente, che non può prescindere da una maggiore condivisone del lavoro di cura fra uomini e donne. Non è tema che può rimandarsi ad un “dopo” meno emergenziale, il primo passo della ripresa ne determinerà la direzione.
Le persone che lavorano hanno una vita da programmare e organizzare, che garantisce la riproduzione delle condizioni di vita loro e, se ci sono, dei figli o dei genitori anziani fragili. Un piano per le bambine e i bambini, di cui finalmente si parla, sarebbe innanzitutto il riconoscimento del loro diritto alla socialità e alla conoscenza, ma anche un pezzo essenziale dell’organizzazione sociale che consente di rimettere in moto il Paese.
La posta in gioco è un cambio di civiltà. Redistribuire il tempo tra uomini e donne, promuovere condivisione, liberare energie femminili, riconoscere l’autorevolezza e il contributo della generalità delle donne, contrastare il divario retributivo, promuovere l’occupazione femminile.
Possiamo intervenire e orientare il cambiamento che già sta avvenendo per necessità sotto i nostri occhi, con conseguenze forse a lungo termine. Facciamo in modo che rimanga viva la consapevolezza che ci è data oggi. Mai come in questo momento le decisioni pubbliche intervengono nella nostra vita quotidiana, ci richiamano ad una responsabilità collettiva, all’appartenenza alla comunità politica umana.
Sappiamo che contano i gesti di ognuna e ognuno di noi. Del resto anche lavarsi le mani è stata una rivoluzione.
Per ricostruire è tempo adesso di farne altre.