Per sfruttare appieno il potenziale occupazionale della transizione ad economie più rispettose dell’ambiente, è necessario sviluppare nuove competenze professionali. Questo è quanto veniva evidenziato, nel rapporto del 2011 “Skills for Green Jobs: A Global View” dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro – ILO. Ad oggi, purtroppo, le politiche in materia di competenze e le politiche ambientali sono ancora troppo spesso trattate separatamente e, anziché incoraggiare la formazione dei futuri lavoratori e la riqualificazione dei lavoratori di imprese cosiddette “brown”, si è preteso solo il mantenimento dei livelli occupazionali.
Vero che un cambiamento del profilo delle competenze delle professioni esistenti richiede sforzi significativi per quanto riguarda la revisione dei piani di studio, delle qualifiche accademiche e dei programmi di formazione esistenti, a tutti i livelli di istruzione e formazione, ma nella fase di ricostruzione di un’economia necessariamente orientata alla sostenibilità, è uno sforzo dovuto, altrimenti la carenza di competenze ostacolerebbe la ormai urgente transizione energetica.
Tra la rivoluzione industriale 4.0 e quella 5.0 deve esserci una rivoluzione ambientale, sociale ed ecologica volta a garantire una giusta transizione sia in relazione all’adeguamento dei sistemi di formazione e di istruzione, sia in tema di investimenti di politiche attive volte alla riqualificazione e alla creazione di nuovi posti di lavoro.
Oggi più che mai, dove le conseguenze di questa pandemia sono devastanti, dobbiamo utilizzare in modo ecologicamente resiliente i vantaggi di una riconversione energetica. Per sfruttare al meglio le opportunità create dal processo di de-carbonizzazione è necessario ripensare in chiave integrata e inclusiva una nuova organizzazione e cultura del lavoro. Potenzialmente, tutti i lavori possono essere più verdi e possono perseguire come valore comune la sicurezza e la salute dei lavoratori ma anche il benessere ambientale.
L’integrazione dello sviluppo sostenibile e la consapevolezza sulle tematiche ambientali a tutti i livelli dell’istruzione e della formazione – a partire dalla prima infanzia – contribuirà a modificare il comportamento dei consumatori e spingerà le forze del mercato a portare avanti piani sempre più sostenibilmente ambiziosi. Allo stesso tempo, però, le imprese devono investire e poter attingere alle competenze necessarie per lo sviluppo dei propri modelli economici, in quanto la possibilità di reclutare una forza lavoro qualificata costituisce una condizione chiave per l’innovazione e la competitività.
È necessario promuovere lo sviluppo di strategie di formazione nazionali sulla base di politiche industriali miranti alla riduzione delle emissioni a livello nazionale ed europeo; negoziare accordi per anticipare i bisogni di competenze specialmente nei settori e nelle loro filiere maggiormente interessati (edilizia, trasporti, automobilistico, manifatturiero ed energia); utilizzare i meccanismi di informazione e consultazione all’interno delle imprese, sia a livello nazionale che europeo, al fine di anticipare al meglio i cambiamenti strategici, economici e tecnologici e i relativi impatti su abilità e competenze; prevedere di includere nei rapporti di Responsabilità Sociale delle Imprese quanto compiuto in materia di formazione o riqualificazione dei lavoratori relativamente alle politiche climatiche ed energetiche. In poche parole: prevedere le competenze per rafforzare l’occupabilità.
Angelo Colombini è segretario Confederale della Cisl