sabato 9 Dicembre 2023

Il metodo Chevron

Pubblichiamo in esclusiva l’articolo scritto per Immagina da Jody Williams, premio Nobel per la pace nel 1997. A difesa di Steven Dozinger e delle popolazioni indigene dell’Amazzonia ecuadoriana


Lo scorso 17 aprile, 29 premi Nobel di varie categorie hanno rilasciato una dichiarazione a supporto della sentenza che ha condannato la compagnia energetica Chevron a pagare 9,5 miliardi di dollari per aver inquinato l’Amazzonia ecuadoriana. Un’iniziativa di cui sono stato il primo promotore.

Abbiamo anche chiesto al Dipartimento di Giustizia americano di indagare sulle azioni messe in atto dalla compagnia da quando è iniziata la controversia, incluse quelle mirate a “demonizzare e silenziare Steven Dozinger”, il principale avvocato dell’accusa nel caso Chevron.​

Per l’occasione, con l’attore Alce Baldwin, il musicista Roger Waters e l’avvocato Dozinger abbiamo tenuto una conferenza virtuale per parlare della vicenda, e del perché 29 Premi Nobel abbiano scelto di schierarsi con il popolo dell’Ecuador e con Dozinger. Ed è stato in qualche modo simbolico che, a causa della pandemia da coronavirus,  la conferenza si sia potuta tenere solo virtualmente. Se il mondo non lo ha compreso prima, la pandemia ha messo in evidenza che ciò che colpisce uno, colpisce tutti noi.

Le azioni perpetrate contro l’ambiente, ovunque siano messe in atto, ci colpiscono tutti, ovunque.

Ciò che è accaduto in Ecuador è piuttosto semplice. Tra il 1964 e il 1990, la Texaco oil ha deliberatamente sversato circa 17 milioni di galloni di petrolio greggio, scaricato 16 miliardi di galloni di acque reflue tossiche in fiumi e torrenti, e scavato centinaia di pozzi aperti nella foresta Amazzonica, per smaltirvi rifiuti pericolosi. La decimazione dell’ambiente che ne è conseguita è nota come “la Chernobyl dell’Amazzonia”, e le persone che vivono lì ne subiscono da allora le conseguenze.

Nel 2001, la Chevron ha comprato la Texaco, diventando così la proprietaria del disastro tossico – sia letteralmente che legalmente. Il gigante dei combustibili fossili ha combattuto quattro anni perché la causa si tenesse in Ecuador, piuttosto che negli Stati Uniti, dove la compagnia ha sede. Avevano dichiarato che il sistema giudiziario dell’Ecuador fosse equo e accettato di attenersi alla giurisdizione del Paese. In seguito la Chevron ha parlato dell’Ecuador come di un Paese con un sistema giudiziario da “Repubblica delle banane”, è dunque lecito supporre che in precedenza avesse pensato di poter vincere facilmente una causa in quel Paese. Ma non è così che è andata e nel 2011 la Chevron è stata ritenuta responsabile e condannata a pagare 9,5 miliardi di dollari per ripulire l’ambiente contaminato. Ovviamente la compagnia ha fatto appello, ma tutti i tribunali ecuadoriani, inclusa la Corte Suprema e la Corte Costituzionale,  hanno confermato la sentenza.

La risposta della Chevron è stata vendere le sue quote, fuggire dal Paese e rifiutarsi di pagare. La compagnia ha giurato di intentare cause “fino a che l’inferno non si congelerà”, e promesso alle vittime una “vita di contenziosi”. La Chevron si è anche ripromessa di “demonizzare” Steven Dozinger, che si è rifiutato di rinunciare alla battaglia legale. Da allora, quello che sembrava un semplice caso in Ecuador, si è trasformato in quello che è stato definito un incubo “dickensiano” per Dozinger negli Stati Uniti.

​Non sorprende che la Chevron abbia intentato causa a New York per impedire agli ecuadoriani di portare il contenzioso negli Stati Uniti. Una causa che ha portato all’orchestrazione di un processo che ha ignorato tutte le prove dei crimini in Ecuador. La Chevron ha ingaggiato 2000 avvocati da decine di studi legali, detective privati e curato le pubbliche relazioni per perseguitare Dozinger e sottrarsi dalle proprie responsabilità per l’inquinamento tossico in Ecuador. Ma la cosa più grave è che abbia trovato un giudice federale ben disposto verso la compagnia, Lewis A. Kaplan. Attraverso astuzie legali senza precedenti, Kaplan ha preso nelle sue mani il destino della vicenda ecuadoriana, così come quello di Steven Dozinger.

I retroscena del caso sono molti e complicati da svelare, ma possono minare la fiducia nel sistema legale americano. Nel 2014, le manovre di Kaplan e della Chevron hanno  portato il giudice a ritenere la compagnia non responsabile, a causa di una frode presumibilmente ordita da Dozinger. Una decisione basata sulle prove fornite da un singolo testimone, pagato dalla Chevron per la testimonianza e che ha “provato” la testimonianza molte volte. Lo stesso testimone ha in seguito ammesso di aver mentito alla Corte.

Kaplan ha anche accusato Donziger di oltraggio alla corte per aver rifiutato di consegnare dei documenti privati e protetti riguardanti il caso. Da allora Donziger è stato sospeso e non può lavorare, gli è stato tolto il passaporto, e alla fine di aprile avrà trascorso nove mesi agli arresti domiciliari con l’accusa di oltraggio.

​I grandi sconfitti in questa storia sono gli ecuadoriani che hanno intentato causa, che non hanno avuto giustizia e che continuano a vivere nell’inferno tossico della Chevron. E le implicazioni di questa vicenda sono più grandi ancora.

Si stima che nello sforzo di evitare di pagare il risarcimento da 9,5 miliardi di dollari in Ecuador, la Chevron, compagnia che vale oltre 200 miliardi, abbia già speso, per ritorsione, 2 miliardi di dollari. Una domanda logica è: perché non pagare semplicemente i 9,5 miliardi di dollari e finirla lì? È semplice, perché quello contro cui la Chevron sta lottando è un precedente legale, che la renderebbe responsabile dei danni che provoca. Come diciamo nella nostra lettera, “il punto non è, dunque, la cifra da pagare; il punto per la Chevron è intimidire e schiacciare coloro che cercano giustizia e risarcimento per il degrado causato dall’azienda ai loro ambienti”.

Guardando attraverso lo specchio di Alice, il “metodo Chevron” si può comprendere leggendo sul loro sito web. Scrivono: “Le fondamenta della nostra compagnia sono costruite sui nostri valori, che ci distinguono e guidano le nostre azioni per ottenere risultati. Conduciamo i nostri affari in una maniera socialmente responsabile e rispettosa dell’ambiente, rispettando la legge e i diritti umani universali a beneficio delle comunità in cui lavoriamo”. Ebbene, è giunto il tempo per la compagnia di dare seguito alle proprie parole.

​Nella lotta per salvare l’ambiente, non è sufficiente fermare l’estrazione e la contaminazione da nuovi combustibili fossili; è imperativo ripulire i disastri che le compagnie come la Chevron hanno lasciato in giro per il mondo. Azioni legali e di altra natura messe in atto per intimidire coloro che lavorano per inchiodare la Chevron e altre compagnie alle proprie responsabilità, non devono essere tollerate.


29 Premi Nobel chiedono che Chevron affronti la giustizia per l’inquinamento dell’Amazzonia e richiedono la Libertà per il difensore dei Diritti Umani Steven Donzinger

Noi, sottoscritti 29 Premi Nobel,

sosteniamo Steven Donziger, la popolazione indigena e le comunità locali dell’Ecuador nella loro decennale lotta per ottenere giustizia per l’inquinamento causato dalla Chevron. Chiediamo la fine degli gli attacchi giudiziari orchestrati dalla Chevron contro Donziger e della continua diffamazione della sua persona.

Mentre la pandemia da coronavirus ha giustamente catturato l’attenzione del mondo, non possiamo perdere di vista l’importanza di proteggere i difensori dell’ambiente e del pianeta. Le persone che hanno difeso l’ambiente hanno dovuto sempre fronteggiate gravi rischi personali. Negli anni recenti, si sono moltiplicati gli attacchi più vari contro chi ha difeso l’ambiente, incluso aggressioni e assassinii, campagne di diffamazione, minacce alla sicurezza digitale, e l’abuso del sistema giudiziario da parte delle compagnie. Una delle campagne più eclatanti di diffamazione e molestia giudiziaria è la battaglia legale della Chevron contro Steven Donziger e i suoi colleghi ecuadoriani.

Dal 1964 al 1990, la compagnia petrolifera Texaco ha inquinato consapevolmente e intenzionalmente l’Amazzonia ecuadoriana. Durante tale periodo, la compagnia ha deliberatamente scaricato circa 16 miliardi di galloni di acque reflue tossiche, sversato 17 milioni di galloni di petrolio greggio e scaricato rifiuti tossici in centinaia di pozzi a cielo aperto scavati nella foresta.

Quando la Chevron ha accettato di acquisire la Texaco nel 2000, è diventata anche proprietaria della “Chernobyl amazzonica” creata da quella compagnia. In una causa del 1993 contro la Texaco, qualcosa come 30mila indigeni e campesinos hanno chiesto un risarcimento alla compagnia. Nel timore di un processo negli USA, Chevron, la nuova proprietà, ha chiesto che il caso fosse trattato in Ecuador. Contrariamente alle aspettative, la Chevron è stata giudicata colpevole con un sentenza del 2011 e in tutti i successivi ricorsi alla Corte Suprema ecuadoriana, che nel 2013 ha confermato le precedenti sentenze. La Chevron è stata condannata a pagare 9,5 miliardi di dollari per riparare al disastro.

Ma piuttosto che farlo, la Chevron ha venduto i propri asset ecuadoriani, ha lasciato il Paese e cominciato un attacco massiccio contro le vittime e contro uno dei loro avvocati, Steven Donziger. Assumendo intere squadre per le pubbliche relazioni e circa 2.000 avvocati, compresi quelli della “squadra di soccorso” di Gibson Dunn, la Chevron ha minacciato le comunità delle vittime con “una vita di contenziosi” e giurato di combattere contro la sentenza “finché l’inferno non congelerà, e anche allora di combattere sul ghiaccio”.

Nel caso dell’avvocato Donziger, che si è rifiutato di rinunciare a battersi per ottenere giustizia nel nome delle vittime dell’Amazzonia, la Chevron e un alleato nel sistema giudiziario, il giudice distrettuale statunitense Lewis A. Kaplan, hanno costruito un’accusa di “oltraggio” nei suoi confronti, principalmente per essersi rifiutato di obbedire a un ordine senza precedenti del giudice, che avrebbe consentito alla  Chevron di accedere alle comunicazioni riservate di Donziger sul suo computer e sul suo telefono.

Per l’accusa di oltraggio, trattata come un delitto, Donziger è stato messo agli arresti domiciliari prima del processo per un incredibile periodo di otto mesi – molto più lungo della più lunga condanna mai comminata a un avvocato di New York per l’accusa di oltraggio – riducendo quasi all’indigenza lui e la sua famiglia a causa dei continui attacchi da parte della Chevron.

Secondo una delle società di PR assunte dalla compagnia petrolifera, la strategia a lungo termine della Chevron è quella di “demonizzare Donziger”. Chevron, che vale oltre 200 miliardi di dollari, ha già speso circa 2 miliardi di dollari per combattere la sentenza ecuadoriana. Più che l’entità della sentenza, il punto per la Chevron è intimidire e schiacciare coloro che cercano giustizia e risarcimento per  la rovina delle loro terre ancestrali. Ma a leggere il “Metodo Chevron ” sul sito della società, si potrebbe pensare di stare leggendo decisamente di qualcun altro.

Uno dei valori sposati dal “Metodo” Chevron recita: “Le fondamenta della nostra azienda si basano sui nostri valori, che ci distinguono e che guidano le nostre azioni per ottenere risultati. Conduciamo le nostre attività in modo socialmente responsabile e rispettoso dell’ambiente, rispettando la legge e i diritti umani a beneficio delle comunità in cui lavoriamo “. Detto con chiarezza, queste parole non sono indicative dei valori della Chevron. Non hanno nulla a che vedere con il trattamento che invece Chevron ha riservato alle decine di migliaia di ecuadoriani che vivono nel “caos tossico“ da essa causato, né con quello riservato  all’avvocato che cerca di proteggere il diritto di quelle persone a vivere in un ambiente sano. L’attivismo ambientale in molti Paesi provoca uccisioni. La strategia della Chevron è provocare la morte con mille ferite inferte grazie alla manipolazione del sistema giudiziario, che sono riusciti a portare dalla loro parte.  L’obiettivo della compagnia  è intimidire e privare di potere sia le vittime dell’inquinamento, che un avvocato che ha lavorato per loro per decenni. Mentre Greta Thunberg e i milioni di persone in tutto il mondo che protestano insieme a lei, cercano di sensibilizzare sullo stato del pianeta e chiedono il diritto di vivere in un mondo con un futuro ecologicamente sostenibile, dobbiamo anche schierarci e parlare di chi conduce battaglie in prima linea.

Chiediamo a tutti coloro che lottano per salvare il nostro pianeta di unirsi a noi per far crescere la consapevolezza e il sostegno nei confronti dei querelanti ecuadoriani e del loro avvocato, Steven Donziger.

Vi chiediamo di andare sul sito makechevroncleanup.com  per richiedere al Dipartimento americano di Giustizia e ai membri del Congresso degli Stati Uniti di prendere provvedimenti.

NOBEL PER LA PACE:  Shirin Ebadi, Iran (2003) Adolfo Perez Esquivel, Argentina (1980) Leymah Gbowee, Liberia (2011) President Jose Ramos Horta, Timor Est (1996) Tawakkol Karman, Yemen (2011) Mairead Maguire, Irlanda del Nord (1976) Rigoberta Menchu Tum, Guatemala (1992) Kailash Satyarthi, India (2014) Jody Williams, USA (1997

NOBEL PER L’ECONOMIA: Finn Kydland, Norvegia (2004) PHYSICS Philip W. Anderson, USA (1977) Barry C. Barish, USA (2017) Sheldon Glashow, USA (1979) Michael Mayor, Svizzera (2019) Frank Wilczek, USA (2004) Robert W. Wilson, USA (1978)

NOBEL PER LA LETTERATURA:  John M. Coetzee, Sud Africa (2003) Elfriede Jelinek, Austria (2004) Alice Munro, Canada (2013)

NOBEL PER LA MEDICINA Louis Ignarro, USA(1998) Richard Roberts, Regno Unito (1993) CHEMISTRY Joachim Frank, tedesco-americano  (2017) Dudley Herschbach, USA (1986) Roald Hoffman, polacco-americano (1981) Roger D. Kornburg, USA (2006) William E. Moerner, USA (2014) John Polanyi, ungaro-canadese (1987) George P. Smith, USA (2018) John E. Walker, Regno Unito (1997)