Ora la transizione ecologica, se sbagliamo adesso sarà un errore micidiale

I motivi di preoccupazione determinati dalla pandemia non mancano. Se ne è parlato molto: dunque conviene saltarli e cominciare a preoccuparsi là dove tanti si sono rallegrati. L’aria più pulita, le acque di Venezia di nuovo limpide, la natura che ha preso forza durante il lockdown. Tutto ciò può essere interpretato come un segnale positivo?

Per rispondere sì bisogna porsi all’interno del quadro culturale che ha determinato il problema: la contrapposizione uomo-natura. Ovviamente dal punto di vista storico questa contrapposizione è un dato di fatto: la progressiva espansione dei sapiens è avvenuta a spese dell’equilibrio degli ecosistemi. L’intervento umano ha modificato significativamente il 75% delle terre emerse, ha distrutto l’85% delle zone umide, sta innescando la sesta estinzione di massa nella storia del pianeta e sta producendo un aumento della temperatura che, al ritmo attuale, porterà nel secolo in corso a una crescita di 3-4 gradi. Questa è la situazione che ha segnato il ventesimo secolo. E il neologismo antropocene dà la misura del segno impresso sul pianeta da un sistema economico basato sui combustibili fossili e su un’idea lineare e progressiva della crescita.

Oggi però la situazione è diversa. La comunità scientifica ha aumentato il pressing per bloccare le emissioni serra che hanno già iniziato a peggiorare la nostra vita facendo crescere vittime e danni causati da eventi estremi come alluvioni, siccità prolungate, incendi, uragani. I millennials dei Fridays for Future si sono presi le piazze di oltre cento Paesi chiarendo come la pensano i protagonisti di questo secolo. Il fronte delle associazioni, delle amministrazioni, delle istituzioni, delle imprese schierate a favore della sicurezza climatica si è allargato riuscendo a esercitare dal basso una pressione efficace anche in situazioni difficili come quelle che vivono gli Stati Uniti con Trump.

Papa Francesco, dall’enciclica Laudato sì al sinodo sull’Amazzonia, ha fatto della giustizia ambientale uno degli assi del suo pontificato, sottolineando il costo che pagano i più poveri e usando parole chiare per evidenziare le priorità: “E’ diventato urgente e impellente lo sviluppo di politiche affinché nei prossimi anni l’emissione di anidride carbonica e di altri gas altamente inquinanti si riduca drasticamente, ad esempio, sostituendo i combustibili fossili e sviluppando fonti di energia rinnovabile. Nel mondo c’è un livello esiguo di accesso alle energie pulite e rinnovabili. C’è ancora bisogno di sviluppare tecnologie adeguate di accumulazione”.

Dunque la drammatica accelerazione della crisi climatica ha dato forza all’idea di una transizione ecologica solidale, cioè di un modello capace di rimettere in discussione contemporaneamente gli equilibri ambientali e quelli politici. In questo contesto assegnare un valore positivo ai precari segnali di recupero della natura durante la pausa forzata prodotta dalla pandemia significa non aver colto due elementi fondamentali.

Il primo elemento è una minaccia. La decongestione dello smog avvenuta per caso può diventare un boomerang: una ripresa accelerata seguendo il vecchio modello può finire per peggiorare l’inquinamento dando un colpo micidiale allo stato di salute degli italiani (ci sono oltre 60 mila morti di “routine” per l’aria malata). Lo dimostrano i dati dell’ultima grande crisi finanziaria: nel 2009 un calo del PIL globale di circa l’1,7% si è tradotto in un calo delle emissioni dell’1,2%, ma già l’anno successivo con un PIL a +4,3% le emissioni sono rimbalzate a +5,8%” (rapporto “10 key trend sul clima”, realizzato da Italy for Climate, l’iniziativa della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile).

Il secondo elemento è una speranza. Il lockdown globale ha determinato un’interruzione di continuità nel meccanismo produttivo, una frattura che difficilmente potrà essere sanata tornando meccanicamente alla situazione pre pandemia. Si può arretrare, come suggerisce chi vuole fare un falò delle norme di protezione ambientale e tornare all’era del carbone e dell’economia lineare. Ma si può anche immaginare un’accelerazione positiva: gli ingenti fondi che verranno messi in campo per la ripresa ci danno la possibilità di cambiare marcia, di rilanciare. Di puntare a una sicurezza a tutto campo elaborando una difesa unica rispetto alle varie facce della crisi: economica, ambientale, climatica, sanitaria, sociale. Provare a dare una risposta separata a ognuno di questi problemi significherebbe prosciugare le casse pubbliche e rischiare di aggravare il quadro generale con risposte sbilanciate. Mentre il Green Deal è il percorso che può consentirci di migliorare la qualità dell’ambiente e quella della società. L’aria può tornare pulita a lungo grazie al lavoro umano, invece che per qualche mese grazie al fallimento sociale.


Antonio Cianciullo è un giornalista che si occupa di temi ambientali da quaratn’anni, autore del blog “L’EcoLogico” e vicepresidente di Tes, associazione per la Transizione ecologica solidale