Rafforzare l’Atlantismo dopo la pandemia

La crisi totalmente inedita scatenata dal Covid-19 rende ancora più complessa ogni considerazione sugli equilibri geopolitici, economici, ambientali e valoriali in cui vivremo e lavoreremo nel prossimo periodo. In solo venti anni abbiamo assistito ad altri due grandi stravolgimenti: la primavera araba e la crisi finanziaria iniziata nel 2008, ma nessuno dei due è paragonabile all’aver chiuso in casa quasi metà della popolazione mondiale senza certezze su tempi e modi per uscire dall’emergenza. La tragedia sanitaria non è ancora risolta, vediamo i primi pesanti effetti della crisi economica e dobbiamo provare a immaginare un nuovo futuro.

Molti paragonano la pandemia a una guerra, utilizzando terminologia e metafore mutuate da contesti bellici; volendo rifarsi alla storia postbellica, la comunità atlantica costruita nel secondo dopoguerra si basava su tre pilastri fondamentali: l’economia, la sicurezza e l’identità politica, culturale ed ideologica. Una comunità a trazione statunitense, plasmata dal modello liberale e a gestione multilaterale, che ha garantito da un lato stabilità e pace tra gli stessi Paesi europei che avevano combattuto su diversi fronti e dall’altro un ciclo di crescita economico straordinario per circa trent’anni. Il tutto in una cornice, quella della Guerra fredda, che cristallizzava l’alleanza euro-atlantica entro parametri definiti dal mondo bipolare. Con il crollo dell’Unione Sovietica, l’egemonia mondiale statunitense – culturale tanto quanto economica – sembrava ancor meno che in passato soggetta a minacce di ridimensionamento da parte di altri Paesi.

La partnership con l’Europa restava solida, in una fase di rinnovata crescita economica e rilancio della globalizzazione che rimaneva, comunque, trainata dagli Stati Uniti. La collaborazione politica non si è mai interrotta, nemmeno dopo la crisi economico-finanziaria del 2008-2009. Il biennio fu, anzi, l’occasione per l’amministrazione in carica di ribadire la volontà di assumere la leadership nella fase della ricostruzione, tanto dal punto di vista politico quanto dal punto di vista economico, con la Federal Reserve che assunse su di sé, in quel frangente, un compito globale.

Negli ultimi settant’anni di storia, pur nella loro dinamica, i rapporti tra Stati Uniti ed Europa sono stati segnati dalla continuità e dalla collaborazione. Nonostante l’analisi dell’orientamento della popolazione italiana (vedi la ricerca SWG presentata nel webinar del Centro Studi Americani su “infodemia e opinioni degli italiani”) sembri proporre uno sguardo favorevole verso Cina e Russia a scapito dell’alleato storico e identitario, non è pensabile che vengano messe in discussione sia la convenienza che il significato dell’alleanza transatlantica basata su tre pilastri: democrazia, libertà e stato di diritto, dati valoriali ma anche molto concreti misurati sull’export italiano verso gli Stati Uniti.

È difficile dare un senso ai segnali che ci arrivano oggi dall’analisi della propensione degli italiani in geopolitica. È come se la crisi Covid-19 sgretoli ogni nostra certezza e ogni nostro punto fermo. È anche contro-intuitivo che in un periodo di grandi insicurezze non ci si rivolga agli amici consolidati. Da notare che, per quanto lo shock della pandemia sia devastante e confusivo, comunque alcuni valori fondamentali non vengano mai messi in dubbio e gli Stati Uniti rimangano un punto di riferimento per democrazia, efficienza, qualità della vita e della ricerca.

Sarà necessario focalizzare le idee su questi pilastri irrinunciabili, in attesa di poter dichiarare l’emergenza sanitaria superata. La pandemia, pur mettendo a dura prova i sistemi democratici riuniti nell’alleanza atlantica, ha evidenziato ancora una volta il valore comune e imprescindibile dell’informazione libera e trasparente, mettendone in luce il ruolo fondamentale anche per la salute umana a livello globale.

In questo senso i valori occidentali sono elemento chiave di garanzia in un periodo complicatissimo in cui i governi hanno naturalmente un potere limitato nell’imporre i tempi della comunità scientifica, impegnata nella ricerca di cure e nella sperimentazione del vaccino. A queste incertezze si aggiunge il fatto che la crisi sanitaria e la conseguente crisi economica si sono verificate in modo diacronico, con tempi diversi nei diversi paesi. Qualcuno si riprenderà prima, qualcuno dopo, con tutte le conseguenze sulle aziende e sulla disoccupazione. Tema particolarmente sensibile negli Stati Uniti nell’anno delle presidenziali, per cui la pandemia ha cambiato radicalmente i contenuti della campagna elettorale.

E poi c’è l’Europa, che già prima dello scoppio della pandemia di Covid-19 non viveva un momento facile. La clamorosa uscita dall’Unione da parte della Gran Bretagna del 2016, ancora in fase di negoziazione, la lunga crisi dell’immigrazione e l’affermazione di partiti anti-europei in alcuni Paesi hanno dimostrato la fragilità di un’unione che si pensava imprescindibile fino a pochi anni fa.

Quando è scoppiata l’emergenza sanitaria, la reazione iniziale dei governi europei e degli Stati Uniti non è stata quella di proiettarsi all’esterno ma, al contrario, di chiusura. Successivamente si è riattivata una collaborazione internazionale coordinata dalle istituzioni sovranazionali superando, almeno in parte, la scissione tra interesse nazionale e cooperazione.

Guardare oltre le priorità locali sarà fondamentale nella gestione della partita economica. Gli effetti devastanti della sospensione delle attività produttive e dei consumi si stanno facendo sentire ovunque. Le proporzioni della recessione globale in arrivo sono ancora ignote ma quel che è certo è che il recupero non sarà facile. La riconquista della “normalità” sarà un processo doloroso anche per gli Stati Uniti che sono impegnati, per ora, in una strategia di tamponamento interna al Paese attraverso misure di stimolo all’economia e aumento della circolazione di moneta.

Non è semplice prevedere cosa possa accadere di qui al prossimo futuro ma è ragionevole credere che i governi alle due sponde dell’Atlantico continueranno a collaborare strettamente nell’affrontare le pesanti conseguenze della pandemia. È auspicabile che si colga l’occasione per lavorare sulle criticità capitalizzando il patrimonio comune di valori e idee alla base dell’atlantismo. Dopotutto, se è vero che l’Europa non deve essere schiacciata dalla dialettica bilaterale tra Washington e Pechino, deve altresì non arretrare nel suo ruolo strategico per le decisioni che guideranno il destino dell’economia globale. Il nostro continente rimane infatti il primo partner commerciale degli Stati Uniti e il fondamento della comunità atlantica è sempre saldamente ancorato ad un modello politico e culturale condiviso che rende pressoché impossibile immaginarne la rottura. Cuore e portafoglio mai così vicini per garantire il futuro.

Carlotta Ventura è Direttore del Centro Studi Americani