Federazione europea, è il momento di ribaltare l’agenda

Il 9 maggio 2020 sarà diverso da qualsiasi altro.

Più triste senza dubbio. Ma la drammatica realtà di fronte alla quale ci pone questo virus imprevisto – ma non imprevedibile – ci rivela che una riforma dello strumento “Europa” è ormai non più rinviabile.

Oggi come 70 anni fa dobbiamo spezzare il gioco degli equilibri tra Stati vecchia maniera; sarà necessario mettere in campo molto di più che trilioni di euro; senza la volontà di affrontare subito i limiti evidenti della costruzione europea, a partire dal diritto di veto, sarà comunque impossibile riorientare le politiche della UE ed assicurare una risposta adeguata alla crisi che rischia di travolgere milioni di vite nelle prossime settimane.

Oggi come 70 anni fa le soluzioni esistono e risiedono in alcune parole chiave che furono quelle di Schuman: “mettere in comune” e “realizzazioni concrete che creino solidarietà di fatto”; anche la prospettiva è la stessa: una Federazione europea.

Dalle nostre case, tutti e tutte abbiamo visto come sia stato facile e repentino il passaggio a un mondo chiuso, silenzioso, in cui cosi tanti sono senza prospettive né risorse. La parola solidarietà ha acquistato per tutti un senso nuovo, fatto di piccoli e grandi gesti che pur avvicinandoci fra noi e rivelando il valore del sacrificio e del lavoro individuale, ha anche rivelato l’importanza di istituzioni, burocrazia e servizi pubblici che funzionano a tutti i livelli, dal(la) sindaco al(la) commissario UE, dal(la) consigliere locale, al(la) parlamentare nazionale ed europeo, all’addetto/a alle pulizie, all’amministrazione, alle Poste, alle Banche.

Ed è proprio su questa capacità di agire adesso che si gioca una parte importante della credibilità e del senso del processo di integrazione europeo. Cambiare è ancora più urgente a causa della triplice crisi che stiamo attraversando: crisi sanitaria, con un impatto economico e sociale devastante; crisi climatica; indebolimento della democrazia. Bisogna cambiare in fretta e andare verso un aumento decisivo del bilancio dell’UE con l’introduzione di risorse proprie, la fine dei sussidi ai fossili e del diritto di veto sulle scelte energetiche e fiscali, l’estensione delle competenze  in materia sociale, di istruzione, cultura e sanità.

Ma come arrivarci, viste le divisioni, le meschinità e le manipolazioni che ancora inquinano il dibattito pubblico che non riesce quasi mai ad uscire dai confini nazionali, a differenza del virus e del clima sregolato?

Credo sia necessario che coloro i quali cercano una uscita dalle ognuna delle tre crisi – i movimenti dei giovani e dei cittadini che si sono mobilitati sul clima, coloro che lavorano ad un nuovo patto sociale, chi costruisce una nuova economia verde, chi difende i diritti di tutti – convergano e riorientino la loro battaglia a favore di una riforma della UE, per spingere e guidare il dibattito pubblico. L’efficacia della pressione esercitata dai movimenti sociali e di opinione, cioè da grandi e piccole “lobby” ben organizzate, è ormai ben nota. È necessario che movimenti di opinione “potenti” aiutino a superare l’inerzia e i blocchi delle istituzioni e spingano i rappresentanti eletti e i governi, le istituzioni europee a muoversi.

Strumenti utili di questa azione possono essere la Conferenza sul Futuro dell’Europa e lo stesso Parlamento europeo, che deve tornare a essere il motore dell’iniziativa democratica europea. 

La Conferenza sul Futuro dell’Europa sarebbe dovuta iniziare oggi. Ma forse è meglio che non sia stato possibile. Ciò che si profilava come compromesso dei governi – discussioni formali sul piano di lavoro del Consiglio (!!) e divieto assoluto di parlare di riforme dei Trattati- sarebbe stato un costoso circo. Bisogna approfittare del tempo disponibile per ribaltarne composizione e agenda, con l’aiuto del PE e di un dibattito pubblico chiaro. Non ci serve un forum di discussione tra eletti o rappresentati di governo, ma un luogo di proposta e libera ricerca di soluzioni a problemi comuni; dovrebbe essere limitata a massimo 200 membri, di cui almeno 100 provenienti dall’estrazione a sorte cittadini europei secondo criteri precisi. E soprattutto, il risultato delle sue deliberazioni deve essere preso in piena considerazione da parte delle istituzioni nazionali ed europee. Altrimenti, sarebbe solo una ennesima presa in giro.

Questo 9 maggio non è perciò solo un giorno di ricordo di una iniziativa rivoluzionaria e generosa. È anche l’occasione per ricordarci la nostra responsabilità nel completarla.