Incontriamo Emma Bonino per Immagina tramite una videocall, come si usa al tempo del Covid. Una modalità che ci consente, mentre parliamo con questa donna piccola e gentile, di scorgere nell’espressione del volto, oltre che nella voce, una energia calma ma decisa da cui i più giovani avrebbero molto da imparare.
Emma Bonino è stata nella sua vita molte cose, tra cui ministra degli Esteri (la prima donna nella storia della Repubblica) e commissaria europea dal 1995 al 1999. Oggi è senatrice, oltre che leader, di +Europa.
Tra le personalità europeiste più in vista che l’Italia può vantare, è con lei che ragioniamo, nel giorno della Festa dell’Europa, su quale destino attende il nostro continente dopo la tempesta del virus.
Senatrice, nel corso di questa crisi i sentimenti verso l’Europa sono stati contrastanti. Dalla consapevolezza di un destino comune, alle critiche per quello che è stato percepito come un ritardo negli aiuti. Come stanno le cose?
Al netto delle critiche, rimane il fatto che tra Banca Centrale, Bei, Sure e altre importanti misure, se non ci fosse stata l’Europa oggi saremmo già con le gambe all’aria. L’Europa è stata la nostra ciambella di salvataggio, dobbiamo dircelo. Ora viene il difficile, ossia utilizzare bene i fondi che arriveranno. Penso sia questo che aveva considerato Schuman nella sua dichiarazione del 9 maggio del 1950, nel discorso che metterà i semi per la Comunità europea del carbone e l’acciaio. E nel 1952 sempre lui fece un grande discorso in cui chiedeva che anche la sanità fosse materia comune, dunque la discussione che affrontiamo oggi appartiene a una visione che viene da lontano.
Una visione che affonda le sue radici nelle ferite della Seconda Guerra Mondiale.
Sono due gli anniversari importanti e ravvicinati: il 7 maggio la fine della guerra e di un disastro, nel 1945, e appena 5 anni dopo, il 9 maggio 1950, la visione della ripresa contenuta della dichiarazione di Schuman. Una settimana importante.
L’Europa è però a volte vissuta come una matrigna. Come riavvicinare i cittadini all’idea e ai valori dell’Unione europea?
I passi in questa direzione spettano alle classi dirigenti italiane, polacche, francesi e così via, non può essere Bruxelles da sola a fare campagne pro-Europa. Perché se lo sport nazionale diventa dare addosso all’Europa, allora diventa difficile e la risposta di Bruxelles in 27 lingue è complicata. È responsabilità delle classi dirigenti di ogni singolo Paese assumere su di sé questa parte di informazione. Sui limiti certo, ma anche sulle grandi opportunità e senza nascondere i benefici ricevuti dai cittadini in 50 anni. Siamo partiti da un disastro e grazie a questa visione l’Europa, piaccia o non piaccia, è diventata il continente più vivibile e più ricco al mondo, non solo per il Pil ma anche per la qualità dell’ambiente, la sicurezza alimentare e via dicendo. Perché l’Europa, per i poteri comunitari che ha, funziona. Dove non funziona? Nelle competenze che i governi si sono tenute ben strette e sulle quali decidono all’unanimità nel Consiglio.
Passiamo all’attualità. In questi giorni lei è stata tra le protagoniste, insieme ad altre parlamentari, della campagna ‘Dateci voce’ per chiedere l’inserimento delle donne nelle task force. Conte ha riposto positivamente, ma a quando gli innesti?
Immagino che il Presidente, dopo aver chiamato Colao, sia adesso in fase di consultazione per scegliere i nomi. Ma Conte ha anche detto che avrebbe chiamato tutti i comitati, dai nazionali a scendere. Dopo l’impegno pubblico, non credo abbia interesse a perdere la faccia e a rimangiarsi una promessa. In più, le competenze femminili si trovano, io sul dito potrei fare 3 o 4 nomi con competenze trasversali.
Ma com’è possibile che serva addirittura una mobilitazione per una cosa che sembrerebbe ovvia?
In effetti sono stupefatta che nel 2020 bisogna fare un cancan per far notare una banalità, e cioè che c‘è un Paese in emergenza e che questo Paese è fatto di uomini e donne con competenze distribuite. È anche vero che poi gli uomini sono sempre stupefatti loro per primi, e la mia impressione è che ciò sia dovuto a due motivazioni: la prima è che il potere crea grande dipendenza, chi ce l’ha se lo tiene ben stretto; la seconda è una specie di pilota automatico, per cui una volta deciso che si fanno le task force e la presidenza va guarda caso a un uomo, ognuno si guarda intorno e riconosce quelli più vicini, insomma gli old men group. È sconfortante che le donne, sempre elogiate nei convegni del sabato e della domenica, poi dal lunedì al venerdì vengano dimenticate quando si tratta di formare un gruppo che si deve occupare di come far uscire il Paese dall’emergenza. Ma io non mi scoraggio, né mi arrendo, forte di tutto quello che abbiamo ottenuto. È una strada in salita, ma abbiamo la prima presidente del Senato e la prima presidente della Corte Costituzionale. Dunque è tanto il cammino che abbiamo fatto, con tanto sforzo.
Passiamo a un altro tema su cui si è sentita la sua voce i questi giorni: la regolarizzazione dei lavoratori stranieri.
È patetico che questo Paese, invece che affrontare i problemi veri, viva di conflitti infiniti su cose inesistenti. Tre settimane fa sembrava che il Mes ci venisse imposto dai nipotini di Hitler, oggi si litiga su questo. Per me, che con i radicali porto avanti da anni le stesse proposte oggi più che mai attuali, la questione è lampante per tre ordini di motivi: l’umanità, la legalità aiuta la sicurezza, e il terzo è che ne abbiamo bisogno. Non discuto le motivazioni dell’uno e dell’altro, ma come dice la ministra Lamorgese, nei campi chi ci mandiamo? Dobbiamo dire ai pomodori di aspettare a maturare per Crimi? In più tra il 2000 e il 2008 il governo di destra ha fatto le due più grandi sanatorie in Europa, legalizzando oltre 800mila persone. All’epoca non ho visto manifestazioni né proteste, dunque è evidente che la motivazione è solo il consenso. Non c’è alcuna motivazione né tecnica né giuridica per opporsi alla regolarizzazione e oggi sono tutti schierati a favore, da Confindustria ai sindacati.
Chiudiamo ancora sull’Europa. Come ne uscirà dal virus?
L’Europa dimostra che quando si arriva al baratro ha sempre la capacità di fare due passi indietro. Queste quattro settimane hanno visto fare all’Europa dei progressi sorprendenti, sia istituzionalmente che finanziariamente, dunque vediamo di non darli per scontati. L’Europa è il nostro presente e il nostro destino; sta a noi spingere in avanti, o distruggere quello che i nostri nonni hanno costruito con tanta fatica