Ritorno alla normalità: quali prospettive per lavoro e pensioni?

C’era una tabella di marcia da rispettare sui tavoli di lavoro di governo e sindacati prima della conclamata pandemia. C’era da discutere il tema delle pensioni di garanzia per i giovani, la rivalutazione degli assegni, la flessibilità in uscita dal lavoro, la previdenza complementare.

Quando si tornerà a parlare di ciò si dovrà tener conto di uno scenario economico e sociale profondamente diverso: un debito pubblico più alto (155,7% del Pil nel 2020 contro il 135% del Pil nel 2019), un livello di disoccupazione più alto (11,6% nel 2020 contro il 10% nel 2019), un uso più spinto delle tecnologie digitali.

Se prima del coronavirus il debito pubblico poteva essere il freno al pensionamento anticipato (a causa della forte attenzione sulla spesa pubblica, ovvero sulle uscite), nel dopo coronavirus potrà esserne invece l’acceleratore (perché l’attenzione dovrà spostarsi sulle entrate – Iva e imposte). E qui la parola chiave è “ricambio generazionale” e la formula, l’equazione alla base della ripresa economica, è “pensioni = lavoro” (intendendo con ciò che chi va in pensione lascia un posto libero che potrà essere occupato da un nuovo lavoratore, e un nuovo lavoratore finanzia con il versamento dei contributi la pensione di chi è uscito).

Il ricambio generazionale è divenuto una necessità dettata dall’accelerazione della digitalizzazione nel lavoro e nella scuola: smart working e didattica a distanza sono indicati per lavoratori e insegnanti giovani, che più degli anziani riescono ad accettare le nuove tecnologie e ad adattarsi ai nuovi modi di lavorare.

Il ricambio generazionale darà impulso ai consumi, che stimoleranno la produzione, gli investimenti e quindi l’occupazione. I trentenni hanno una propensione al consumo maggiore di quella dei sessantenni, perché hanno bisogno di nuove case, nuovi elettrodomestici, nuovi mobili, di cui i sessantenni non hanno bisogno perché li posseggono già. I maggiori consumi stimoleranno una maggiore produzione che genererà un maggiore reddito, e quindi maggiori entrate per lo Stato derivanti da Iva e da imposte sul reddito.

Il punto è come finanziare le nuove pensioni (in modo da impiegare nuovi lavoratori ed assorbire quelli che hanno perso lavoro) dovendo contare su minori contributi a causa dell’aumento della disoccupazione.

Lo Stato può introdurre la moneta digitale di Stato (per esempio la Lid – Lira italiana digitale), da far gestire alla Cassa depositi e prestiti. Assumendo il cambio 1 Lid = 1 euro, lo Stato potrà cominciare a pagare le pensioni, gli stipendi ed i fornitori parte in euro e parte in Lid, richiedendo allo stesso tempo che le imposte e le tasse vengano pagate in Lid. La Lid non sostituirebbe l’euro ma circolerebbe assieme all’euro e solo in Italia. Pagando in Lid, lo Stato italiano avrà meno bisogno di chiedere prestiti al mercato, cosa che gioverà soprattutto in vista di un debito pubblico in salita al 155% del Pil che lo esporrà al rischio di dover pagare maggiori interessi qualora i suoi titoli dovessero subire un declassamento da parte delle Agenzie di rating.

L’idea della moneta digitale di Stato si avvicina molto a quella della MMT (Teoria della Moneta Moderna) sulla quale l’economista e imprenditore Warren Mosler basa la sua ricetta per risanare l’economia italiana.

Anche l’ex presidente della Bce Mario Draghi sembra favorevole alla MMT, come si evince da uno dei suoi ultimi interventi pubblici del 23 settembre 2019: “alcune delle nuove idee a proposito della politica monetaria – come la MMT (Teoria della Moneta Moderna) e studi recenti presentati da vari autori tra cui il professor Fischer ed altri – suggeriscono diverse maniere di incanalare il denaro nell’economia. Queste sono oggettivamente idee piuttosto nuove. Non sono state discusse dal Consiglio Direttivo e quindi le dovremmo esaminare. Ma non sono nemmeno state testate e quando le guardi da vicino ti rendi conto che il compito di distribuire il denaro a un soggetto o ad un altro è tipicamente un compito fiscale. È una decisione del governo. Non è una decisione della banca centrale. E certamente non si vorrebbe che fosse la banca centrale a decidere chi deve ricevere il denaro”.

Draghi afferma che queste “idee piuttosto nuove non sono nemmeno state testate”. Invero, tali idee nuove possono oggi essere testate con esperimenti di economia in laboratorio basati su una tecnica innovativa.