La giustizia climatica, una rivoluzione culturale e generazionale

“Quando le generazioni future giudicheranno coloro che sono venuti prima sulle questioni ambientali, potranno arrivare alla conclusione che questi ‘non sapevano’. Accertiamoci di non passare alla storia come la generazione che sapeva, ma non si è mai preoccupata”. Con questa affermazione, l’allora presidente dell’URSS Michail Gorbačëv poneva la questione ambientale all’attenzione del mondo con un punto di vista nuovo, quello della responsabilità generazionale, ovvero della responsabilità collettiva.

La sfida più grande

A quasi 30 anni di distanza una generazione sta facendo sua questa massima. È così che nasce il movimento dei Fridays For Future: un movimento ecologista, trasversale, generazionale. Un movimento nato e cresciuto grazie ad una generazione di giovanissimi che per troppo tempo è stata accusata di lassismo e di ignavia, ma che nonostante questo, si sta caricando sulle spalle la battaglia più grande di tutte, quella della giustizia climatica.

Una società sostenibile è una società equa

Il concetto di giustizia climatica è una rivoluzione culturale. La questione ambientale non suona più come un tema a sé stante, la sostenibilità non è più trattata come un compartimento stagno: l’ambiente diventa una chiave di lettura dei fenomeni e dei processi sociali. Perchè una società ecologicamente insostenibile non danneggia soltanto la Terra, ma anche e soprattutto i suoi abitanti. E lo fa sotto ogni punto di vista: sociale, economico, politico, culturale. Ce lo dimostrano il fenomeno dei migranti climatici (di cui tratta anche il Global Compact) o la forte correlazione tra sfruttamento delle risorse disponibili e dei lavoratori che avviene in molte industrie.
In questi giorni ne abbiamo una dimostrazione tutta made in Italy: i migranti che giungono in Italia stagionalmente per lavorare, sfruttati e sottopagati, nella filiera agroalimentare. Un settore più che mai indispensabile per la sicurezza alimentare della cittadinanza e la tenuta sociale, ma che troppo spesso è lasciato in mano a chi sfrutta le risorse del nostro territorio senza offre alcun tipo di garanzia ai suoi lavoratori. Come ormai è tristemente risaputo, le condizioni dei braccianti che oggi raccolgono i prodotti destinati alle nostre tavole sono spesso inaccettabili: le baraccopoli in cui sono costretti a vivere sono luoghi, nell’ ordinario, insalubri e totalmente inadatti al garantire i diritti fondamentali delle persone che vi risiedono. Sembra quasi scontato sottolineare che sotto l’imperversare di questa pandemia, i risvolti potrebbero essere assai peggiori.

Una società non sostenibile genera disuguaglianze, è per questo che la politica, a tutti i livelli, può e deve intervenire con fermezza. Ed è compito di quel campo progressista cui tutti noi facciamo riferimento, ridurre quelle disuguaglianze, dare voce a quelle persone, offrire a tutti la possibilità di godere dei propri diritti, di vivere una vita dignitosa. E da progressista lancio quindi un appello: battiamoci per queste persone! Abbiamo la possibilità di farlo, abbiamo il dovere di farlo.

Le risposte del campo progressista: se non ora, quando?

Questo è uno dei tanti temi che necessitano di una risposta chiara da parte della politica, una risposta che alla luce dell’attuale situazione dettata dall’epidemia da Covid-19, non è più prorogabile. Se da un lato questo evento è tanto epocale quanto nefasto, dall’altro ci pone davanti un’occasione enorme, l’occasione di cambiare rotta. Abbiamo l’opportunità di ripensare il modo in cui mangiamo, il modo in cui ci spostiamo, il modo in cui ci interfacciamo agli altri e alla natura, il modo in cui viviamo. Se non ora, quando?

Centinaia di migliaia di ragazzi in tutta Italia (e milioni in tutto il mondo) lo stanno gridando ad alta voce: cambiamo, e facciamolo ora, perchè domani potrebbe essere già troppo tardi.

“Accertiamoci di non passare alla storia come la generazione che sapeva, ma che non si è mai preoccupata”.


Valerio Renzoni è uno studente di biologia e rappresentante degli studenti a Roma Tre