Alcuni appunti del sindacato per la ripartenza. E un consiglio al governo

Sono giorni decisivi: di ansia per i rischi di una nuova ondata di contagio per effetto del ritorno alla “normalità”, nonostante siano state mantenute alcune cautele nelle riaperture; e rispetto allo “sblocco” delle attività economiche. Vedremo presto quante ne mancheranno all’appello per mancanza di risorse, quante avranno successo, e ancora quante non troveranno un mercato pronto a riaccoglierle perché in questo lasso di tempo si è riorganizzato.

Ed ancora, cosa determinerà tutto ciò sul lavoro. Quante persone troveranno normalità dopo la cig, i bonus e tutto l’insieme degli strumenti di protezione sociale  finanziati in queste settimane di passione. Il giudizio sull’operato del governo verrà dato dalla emersione di questi problemi, gli unici che interessano il paese reale.

Di certo, questo metro di giudizio sarà quello delle ooss, del sindacato confederale. Ci siamo preoccupati prima di mettere in sicurezza i posti di lavoro con un accordo tra parti sociali e governo molto sofferto ma alla fine divenuto il perno della sicurezza di questa fase; e poi di garantire protezioni sociali ai lavoratori e finanziamenti alle imprese. Consapevoli che non siamo la Germania e, dunque, nonostante la sospensione del patto di stabilità, le risorse cui attingere sono limitate, comunque al di sotto delle esigenze del paese. Capite com’è diversa la visione se si osserva la società dal basso: a questa latitudine si spera di potere disporre del famoso “bazooka”, italiano o della UE, e di potere acquistare il denaro a costi accettabili.

Il dibattito sul Mes appare lontano quando si è consapevoli dell’ingente quantità di risorse necessarie da qui al ritorno alla normalità. Non è stato e non è facile trovare un punto di equilibrio nella comunità scientifica sul decorso della pandemia e sugli strumenti da adottare; al pari non è facile tenere insieme un governo che ha manifestamente pulsioni diverse, che sintetizzerei tra il ricorso permanente al famoso elicottero permanentemente in volo ed un più ragionato equilibrio tra trasferimenti a pioggia, necessari, e focalizzazione delle grandi domande di modernizzazione del paese. L’Italia non può permettersi di usare la spesa pubblica solo per assistenza, ma ha al contrario necessità di fare della spesa pubblica il volano dello sviluppo del paese.

Anche il clima tra le parti sociali ha risentito della fatica di questo tempo. Si avverte la necessità di essere all’altezza, tutti quanti, delle grandi responsabilità che richiederà il “governo” del paese nella fase che abbiamo davanti. Una responsabilità nazionale, una nuova coesione sociale che faccia degli interessi generali del paese la stella polare. Purtroppo, spiace dirlo, il dibattito al momento va in direzione diversa da quella auspicata.

Abbiamo apprezzato lo scudo giuridico aperto nei settori strategici ma non vediamo ragioni del perché le protezioni sociali non siano ancora denaro contante per le persone; vorremmo maggiore impegno nello sblocco dei canteri edili, mi permetto di dire innanzitutto nel Mezzogiorno; così come è interessante il famoso patrimonio destinato, perché mette in relazione gli aiuti all’impresa con una idea di sviluppo. Lo stesso vale per il fondo per le PMI. Insomma, se posso esemplificare, avvertiamo la necessità che lo Stato torni ad essere più forte del mercato.

Ovviamente abbiamo le nostre riserve sull’Irap, sostanzialmente perché la sospensione riguarderà sia chi è stato fermo in questi mesi che chi invece ha fatto utili. E poi, si sa, con l’Irap si finanzia il fondo sanitario, che è proprio quello che servirà irrobustire nei prossimi anni. Fuori dalle furbizie, il Mes sarà di fatto la stanza di compensazione del mancato gettito dell’Irap. Attenzione però: le risorse del fondo sanitario nazionale devono aumentare e non rimanere inalterate. Lo Stato deve riappropriarsi di funzioni che in questi anni sono state affidate al mercato proprio per la gestione di importanti funzioni sociali e sanitarie. Con questi risultati, verrebbe da dire.

In ultimo, si è aperto un dibattito disordinato, ma utile, sui trasferimenti alle imprese. E segnatamente FCA. Non mi sfugge che il dibattito viene alimentato anche perché è in corso una riorganizzazione profonda degli assetti societari di alcuni grandi players della carta stampata. Colpisce che un quotidiano come “Repubblica” sia stato rilevato dalla società di famiglia degli Agnelli/ Elkan. Non è cosa di poco conto. Credo sia necessario mettere ordine su questi temi anche se non mi illudo. Non solo della concentrazione di due grandi quotidiani, con annessi pianeti minori, sotto lo stesso padrone, ma del futuro della carta stampata, delle tv e degli stessi social. Ma temo che non sia nemmeno questo il tempo giusto per farla.

L’altro tema riguarda il fatto che il “capitale”, sempre, decide da sé dove farsi tassare. E qui entrano in campo temi importanti, che riguardano i trattati europei e la libertà di movimento dei capitali. Sono temi delicati cui é necessario dare la giusta attenzione. Continua a non destare scandalo se una società abbia la residenza fiscale alle Cayman piuttosto che nel Delaware, quando non in Olanda o Irlanda.

Altra cosa è la indispensabile attenzione alla grande filiera dell’automotive, in cui rappresentiamo una eccellenza in Europa. Oltre 300.000 persone, il cuore dell’innovazione e della digitalizzazione. Questa grande filiera è mossa “anche” da Fca, la quale è peraltro dentro un processo di riassetto delicatissimo. Devo dire che ho sentito dire poco e nulla su questo tema. Si stanno disegnando gli scenari della rivoluzione della mobilità e ci sarebbe bisogno di una classe dirigente che comprenda la partita in gioco. Penso che il governo debba chiedere ad Fca di mantenere stabilimenti e occupazione, così come credo che debba avere la garanzia che le risorse italiane richieste da Fca, che credo non possano essere negate, siano investite  esclusivamente in Italia. Credo sia legittimo dal momento in cui verranno dalle tasche dei contribuenti  italiani.

Un consiglio al governo in chiusura, anzi una suggestione: utilizzi questa fase, tra le più nere che abbiamo mai attraversato nella storia recente, per facilitare profondi cambiamenti di modello, di usi, degli stessi consumi, del modello economico che ci hanno accompagnato fin qui. È anche l’occasione per cambiare.


Emilio Miceli è segretario confederale della Cgil