La crisi è di sistema, cosa succederà dipende da noi

Per effetto della crisi sanitaria, economica e sociale determinata dalla pandemia del Covid 19 “nulla sarà più come prima”. Questo concetto è affermato sempre più spesso e molto perentoriamente in tutte le sedi: politiche, scientifiche, editoriali. Ma come e cosa dovrà cambiare? Con quali priorità? Con quali risorse? Per andare in quale direzione?

Proseguendo la riflessione avviata con un post del 3 maggio scorso, provo a fissare un paio di punti di partenza di un ragionamento.

Punto primo. La dimensione dei problemi è talmente grande da rendere del tutto evidente che se qualche unità statale (Cina, USA, Russia, e via elencando) ha il potere, sotto molti aspetti, di aggravare la situazione, non ha da sola il potere di indicare e realizzare soluzioni. Purtroppo oggi assistiamo a comportamenti di singoli stati, e ascoltiamo affermazioni di alti rappresentanti istituzionali di grande peso politico, che vanno in direzione del tutto opposta: egoismo nazionale e competizione sfrenata. Invece dovrebbe essere chiaro a tutti che soltanto sistemi di cooperazione e di governo di dimensione continentale e mondiale possono disegnare una strategia che abbia il respiro, la capacità, le risorse e il consenso necessari.

Punto secondo. Abbiamo capito che non è possibile vivere sani, curare efficacemente la nostra salute, individuale e collettiva, se l’ambiente in cui viviamo è, per effetto dei nostri comportamenti, sempre più malato, sempre più ostile al nostro organismo?

Se l’aria che respiriamo è inquinata, se l’acqua dei fiumi e dei mari è colma di agenti chimici e di rifiuti nocivi, se il suolo è sempre più contaminato da fertilizzanti, antiparassitari e fanghi industriali, che a loro volta inquinano le falde acquifere, come possiamo pensare che il nostro corpo non ne risenta, non produca gravi patologie e non riduca le difese immunitarie?

Gli effetti del riscaldamento globale e dei cambiamenti climatici sono in costante crescita. Lo scioglimento dei ghiacci polari viaggia ad un ritmo sei volte più veloce di quello che si registrava soltanto 30 anni fa. Aumenta l’estensione delle aree desertificate e si accentuano fenomeni migratori prodotti dall’impossibilità di coltivare i terreni e di dissetarsi.

In tutto il mondo la popolazione tende a concentrarsi negli spazi sempre più ristretti delle megalopoli. In un recente articolo Salvatore Settis ha documentato come a metà dell‘800 soltanto il 3% della popolazione mondiale viveva in città; oggi siamo circa al 56% e si prevede di superare il 70% entro i prossimi 20 anni. E megalopoli non vuol dire soltanto grandi centri urbanizzati, ma vuol dire anche periferie sempre più lontane, sempre più anonime, degradate, pericolose. Si stima che già oggi un miliardo di persone vivano in baraccopoli sorte all’esterno delle periferie e prive delle minime condizioni igieniche.

Ovviamente particolarmente colpite sono le persone più fragili, i bambini, gli anziani, i non autosufficienti, gli esclusi dall’assistenza sanitaria.

L’emergenza quindi non è soltanto sanitaria, ma è la somma e l’intreccio di crisi ambientale, economica, sociale e sanitaria, che vanno affrontate come crisi di un unico sistema interconnesso e non più sostenibile.


Giancarlo Ricci, PD Donna Olimpia