Affrontare la crisi con un nuovo capitalismo, l’analisi di Francesca Masiero

Quale deve essere la vocazione del capitalismo contemporaneo per essere sostenibile e non generare emergenze sociali? Quale modello di impresa dobbiamo immaginare nel futuro?

Si tratta di due questioni di fondamentale importanza per ripensare il modello di economia con cui affrontare la profonda crisi nella quale ci stiamo immergendo. Due aspetti strettamente connessi sui quali Francesca Masiero, amministratrice delegata di Pba, pone lā€™accento in questo secondo appuntamento del ciclo formativoĀ ā€œQuale Poiā€, una serie di lezioni-incontro con personalitĆ  del mondo dellā€™economia, della cultura, della scienza, del giornalismo.

Maserio, nella sua lucida analisi, mette a fuoco i limiti della globalizzazione, della delocalizzazione, parlando del concetto di humanitas di Terenzio, citando il ā€œClub di Romaā€ di Aurelio Peccei. Fino ad arrivare al modo con il quale oggi, a suo giudizio, dovrebbe essere redistribuita la ricchezza.

Si parte dal modo in cui le disuguaglianze – predominanti e irruenti nelle crisi ā€“ possano sfociare in maniera inevitabile nello scontro sociale. ā€œQuanta filantropia, quanta sostenibilitĆ  e umanesimo ĆØ necessario mettere nel capitalismo contemporaneo ā€“ si chiede lā€™imprenditrice filosofa ā€“ affinchĆ© il mondo possa reggere senza scontri sociali. Oggi la volontĆ  di un mondo in salute e in pace non ĆØ piĆ¹ una scelta tra piĆ¹ opzioni o una scelta morale, ma ĆØ lā€™unica modalitĆ  possibile affinchĆ© tutto il sistema regga”.

E analizzando il concetto di humanitas di Terenzio, quel sentirsi partecipi di un cammino comune, sottolinea come oggi lā€™economia reale debba ā€œrimettere il denaro al suo posto nel mondo, riconducendolo a strumento per il fareā€, al servizio, quindi, del bene comune o non dellā€™individualismo.

ā€œFare le cose per bene non deve essere meno redditizio che farle sfruttando qualcosa o qualcunoā€, sottolinea poi lā€™imprenditrice invitando tutti a guardare ā€œquanta marginalitĆ  abbiamo lasciato sulle strade della delocalizzazioneā€. E ancora: ā€œProvate a guardare oltre il bilancio annuale di una societĆ  e vedrete quanto strutturato intellegibile abbiamo perso, regalando tecnologie e know how preziosissimo. Abbiamo accettato ad esempio di avere soci stranieri senza conoscerne la loro cultura. E cosƬ facendo abbiamo distrutto quasi completamente la potenza della suggestione che il made in Italy era in grado di imporre al mondoā€.

Lā€™analisi di Maserio ĆØ netta nel sottolineare gli errori della delocalizzazione, ā€œspostare altrove la nostra differenza specifica ci ha fatto diventare fragiliā€, al punto, aggiunge, da mettere in discussione anche il futuro delle prossime generazioni: ā€œIn nome del profitto immediato abbiamo disertato la responsabilitĆ  di partecipare alla costruzione di un piano per il futuroā€.

La ricetta di Maserio ĆØ lineare e al tempo stesso complicata da realizzare: fare in modo che i limiti della ricchezza del singolo diventino i diritti dellā€™altro. ā€œPuoi diventare ricco quanto vuoi – sottolinea – ma devi farlo nella misura in cui nessuno debba essere trattato da servo, da terra di conquista, da uomo spazzaturaā€. E lā€™approdo di questo concetto non puĆ² essere che un nuovo modo con cui redistribuire la ricchezza, ovvero secondo una sorta di auto-regolamentazione di chi la produce, partendo quindi “dal percorso che crea la ricchezza stessa”.

Guarda la lezione-incontro.


Quale poi ĆØ un percorso di formazione in rete promosso dalla Fondazione Costituente presieduta da Gianni Cuperlo e svolto in collaborazione con Immagina.