Il dibattito inerente le misure da adottare per far fronte ad una crisi che coinvolge la comunità internazionale tutta impazza in ogni dove. Non esiste una ricetta vincente poiché si hanno solo dati statistici e proiezioni parziali. Ciò che è certo è che nulla sarà più come prima e che le soluzioni dovranno per forza di cose essere straordinarie.
Tutte le certezze di un passato statico ed impostato su di un modello socio-economico di stampo neoliberista saranno spazzate via. Occorre vedere le cose da una diversa prospettiva, le istituzioni sovranazionali create per gestire un certo modello diventato anacronistico già prima della pandemia mondiale devono essere ripensate.
L’Europa è chiamata oggi ad esercitare un ruolo guida nella creazione di misure straordinarie per fronteggiare una crisi non solo economica, ma anche e soprattutto sanitaria e sociale. E’ necessario in questo particolare momento storico, avere la percezione di quelle che sono le problematiche non solo contingenti ma storicamente ricorrenti.
Il problema è globale e richiede interventi congiunturali tempestivi da parte degli organismi internazionali. E’ assodato che la recessione non è solo determinata dalla caduta dell’offerta dovuta agli effetti della pandemia, ma è anche strettamente connessa alla forte riduzione della domanda che va supportata con adeguate politiche di incentivo della stessa creando reddito e lavoro. In questo momento sono quindi indispensabili stanziamenti urgenti a sostegno del sistema sanitario, delle famiglie e delle imprese di tutti i paesi europei tramite l’immissione di ingenti risorse per far fronte a questa gravissima emergenza economica e sociale.
Ma non basta, nel senso che occorre immaginare un futuro che non può più basarsi su istituzioni ancorate ad un mondo economico neoliberista che ha palesato nuovamente i propri limiti. Occorre rimettere al centro di ogni politica l’individuo, la persona umana, il patrimonio locale materiale ed immateriale di ogni micro-comunità. Lo sviluppo sostenibile non deve essere più una chimera, va trasformato in qualcosa di tangibile e concreto.
E possiamo farlo solo ripartendo dai territori, valorizzando al massimo quelle che sono le risorse di ogni comunità. Ripensare al concetto di giustizia sociale, di lavoro solidale, di economia circolare, di crescita che non sia più solo economica ma anche e soprattutto culturale. in poche parole, rispolverare un termine coniato negli anni ‘80 e messo da parte troppo precocemente: la Glocalizzazione.
Siamo convinti che la strada da percorrere sia quella di promuovere il prodotto locale per far si che si apra sempre più al mercato globale. La tipicità locale, infatti, è l’unica cosa che non è copiabile dai paesi in via di sviluppo non è replicabile dalle aziende delle aree forti: gli investimenti in tecnologia, per quanto ingenti, non consentono di ottenere un prodotto di tipo artigianale.
Grazie ad Internet possiamo rivolgerci al mercato globale nel quale ci sarà sempre domanda di fascia medio-alta sufficiente ad assorbire la nostra offerta. per questo occorre quindi azzerare il c.d. digital divide che ha fortemente penalizzato alcune aree del nostro territorio.
Su questo aspetto, peraltro, l’Italia ha un grosso vantaggio: la provenienza dei prodotti made in Italy sono considerati sempre più indice di elevata qualità, i prodotti italiani sono sempre più richiesti all’estero e la sensibilità al prezzo di fronte ai prodotti ad elevata tipicità locale provenienti dal nostro paese cala notevolmente. E questo è un patrimonio da non disperdere, nonostante l’inadeguatezza al momento delle legislazioni italiana e comunitaria.