A fase 2 ormai inoltrata, come accade dopo le tempeste cominciano a sedimentare le molte cose che, nel turbine, hanno girato in maniera tanto veloce e inaspettata da travolgerci.
È il caso del fenomeno delle fake news, che nei tre mesi di attacco della pandemia ha conosciuto una recrudescenza senza precedenti.
Una impennata che ha fatto drizzare le antenne a cittadini, istituzioni e giganti dei social network, che hanno reagito, ognuno per suo conto, mettendo in piedi comitati di esperti, avvisi per gli utenti e un’intensa attività di debunking.
Contromisure che hanno avuto il meritorio effetto di portare il fenomeno all’attenzione dell’opinione pubblica anche meno informata, contribuendo a far nascere una nuova consapevolezza, insieme a una sana diffidenza verso notizie dall’origine incerta o, peggio, sospetta.
Un dato senz’altro positivo, ma che di fronte al dispiegamento di forze, in termini sia strategici che economici, dei produttori di fake news, appare ben poca cosa.
L’allarme del Copasir
È l’allarme che risuona forte leggendo la relazione su Covid e disinformazione del Copasir (il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica), depositato due giorni fa e che abbiamo potuto visionare per Immagina.
Un quadro preoccupante, quello descritto nella relazione, che parla in premessa di una “nuova guerra fredda globale” in atto, che vedrebbe Cina e Russia affiancate nell’obiettivo di contendere la capacità d’influenza su scala mondiale agli Stati Uniti, la cui leadership globale appare appannata da errori e tentennamenti.
Un obiettivo che nel caso della Cina – un regime autocratico che è parte di un sistema di valori lontano da quello dell’Occidente – si spingerebbe fino alla volontà di dimostrare al mondo l’efficacia del proprio modello politico.
Il palcoscenico del Covid
È dunque questo il contesto in cui l’emergenza Covid si sarebbe innestata, diventando il palcoscenico perfetto che i regimi autocratici aspettavano per mostrare di essere più efficaci a contrastare il virus. Un quadro nel quale l’Italia, per storia, posizione – e in ultimo per il tipo di esposizione al virus – è diventata uno degli obiettivi principali di quella che il rapporto definisce una “campagna infodemica” legata alla disinformazione.
La premessa d’obbligo è che difficilmente i comportamenti messi in atto sul web, per loro stessa natura, possono essere ricondotti con assoluta certezza a questo o a quell’attore. Ma se più indizi fanno una prova, non c’è dubbio che quelli disseminati nel rapporto del Copasir lasciano poco spazio ai dubbi.
Chi? Come? E perché?
Dunque chi, come, e soprattutto perché? Sono queste le domande a cui il rapporto prova a rispondere, attraverso l’analisi di fonti sia aperte che riservate.
Innanzitutto chi: per il Copasir è chiaro che ad agire sono attori Statuali, che utilizzano i media digitali per attività di propaganda interna ed estera, nonché per inquinare il dibattito in Stati esteri, influenzando l’opinione pubblica; a cui si aggiungono attori strutturati come think tank, movimenti politici, professionisti della comunicazione e gruppi industriali; e infine speculatori, come mitomani o portatori di interessi personali.
Soggetti che portano avanti una strutturata attività di disinformazione utilizzando social media, applicazioni di messaggistica istantanea e siti web, spesso ricorrendo a sistemi automatici di generazione e rilancio dei contenuti, come i Bot.
Infine gli obiettivi, che mettono nel mirino sia il dibattito politico interno ai singoli Paesi, con lo scopo di screditare l’operato dei governi, che il dibattito internazionale, tra le altre cose provando a gettare discredito sull’Unione europea.
A tale proposito, un documento interno dello European External Action Service (agenzia diplomatica dell’Unione Europea) del 16 marzo scorso avrebbe rilevato “una significativa campagna di disinformazione condotta dai media di stato russi e dalle fonti pro Cremlino” attraverso la diffusione di fake-news in inglese, spagnolo, tedesco e francese, allo scopo di ostacolare la comunicazione ufficiale europea di risposta alla crisi del Covid.
Tra gli esempi riportati dell’intensa attività di alcuni media filo-russi volta ad amplificare le divisioni sociali e seminare diffidenza e panico soprattutto in Occidente, vi sono alcuni contenuti diffusi dal canale all news di Mosca Sputnik, con alcune notizie che sono entrate nella classifica pubblicata da EuObserver delle fake news russe più lette. Tra queste la teoria secondo la quale il Coronavirus sarebbe stato creato in laboratorio come strumento per portare avanti la guerra ibrida, o quella secondo cui il Covid sarebbe molto probabilmente un attacco biologico condotto dagli Stati Uniti per colpire prima la Cina, poi l’Iran e successivamente il resto del mondo.
Quanto alla Cina, singolare il caso del tweet storm che si è scatenato dopo l’arrivo in Italia di nove medici cinesi e di trenta tonnellate di materiale sanitario. Tra l’11 e il 23 marzo, infatti, l’hashtag #ForzaCinaeItalia ha avuto un enorme numero di retweet, a partire dalla campagna lanciata dall’account dell’ambasciata cinese in Italia, che secondo l’analisi di Alkemy è stata generata quasi per la metà da Bot.
Per Enrico Borghi, membro del Copasir incaricato di svolgere l’approfondimento sulle fake news, “il lavoro svolto conferma che l’Italia è un obiettivo, sia di soggetti esterni che di soggetti interni, che hanno l’interesse di utilizzare il Covid-19 da una parte per sostenere un’indimostrabile superiorità degli Stati autocratici rispetto ai modelli democratici e dall’altra per cercare di soffiare sulle difficoltà di parte dell’opinione pubblica per far passare messaggi destabilizzanti”.
Trump vs Twitter
Un quadro non confortante, a cui si aggiungono notizie come quella dello scontro tra Twitter e Trump, con il presidente che nella democratica America minaccia la chiusura dei social network, dopo essersi visto bollare un tweet come fake.
Sempre secondo Borghi “l’idea di chiudere i social da parte degli Stati non appartiene all’universo delle democrazie liberali. Non è la prima volta che Trump indulge a cadute di stile tipiche di un Orban o un Bolsonaro. Per fortuna la tradizione democratica statunitense ci mette al riparo da questa deriva, in attesa che a novembre Biden possa ripristinare una dimensione realmente democratica alla Casa Bianca”.
A noi non resta che incrociare le dita, sperando che le democrazie occidentali prima o poi tornino ad essere all’altezza della loro fama. Il modo migliore, aldilà di bot e click bait, di contrastare una narrazione che vorrebbe sostituirsi al modello democratico.