Dalle città un’alternativa etica all’economia dei giganti del web

La notizia dell’indagine della procura di Milano che ha portato al commissariamento di Uber Italy srl deve farci pensare e agire. I magistrati accusano la sussidiaria Italiana del colosso statunitense di sfruttamento dei rider che lavorano per il servizio Uber Eats, distribuendo cibo nelle nostre città; fa impressione che una società figlia del progresso tecnologico e del sogno della “sharing economy” partito dalla Silicon Valley sia sotto la lente degli investigatori per un reato tanto odioso quando antico, quella di caporalato. L’articolo è il 603bis del codice penale, “intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”, e fortunatamente la nostra Repubblica fondata sul lavoro ha delle leggi che non permettono alle narrazioni di imporsi sui fatti. Non saranno delle “story” sui social media a cancellare il valore delle lotte e dei sacrifici per costruire una società basata sulla giustizia sociale.

Nello stesso tempo però io credo che la nostra riflessione debba andare oltre: le leggi sono importanti, ma altrettanto lo sono i modelli produttivi ed economici che garantiscono a quelle leggi di poter incidere e raggiungere gli obiettivi per le quali sono state scritte.

Mi spiego: durante la crisi scatenata dalla pandemia abbiamo imparato a comprendere il valore fondamentale, sociale del servizio  fornito dai rider, o ciclofattorini come ci piace chiamarli a Bologna. Il loro lavoro ha aiutato a tenere insieme le comunità, a rifornire di beni essenziali i più deboli ed esposti come gli anziani, a permettere al resto della popolazione di rispettare l’isolamento in casa.

Questo ci fa capire che la battaglia contro lo sfruttamento delle piattaforme non si vince con una riedizione del “luddismo”, cioè la chiusura verso la tecnologia.

Al contrario: le innovazioni tecnologiche che oggi permettono un sistema di logistica e distribuzione che si avvale di efficienti tecniche di geolocalizzazione sono un patrimonio di cui dobbiamo appropriarci. Non possiamo lasciarlo nelle mani di chi pensa di fare mega profitti sulla pelle dei lavoratori e delle comunità, magari “ottimizzando” anche la propria tassazione con escamotage fantasiosi, impoverendo i territori.

Dobbiamo fare nostre le infrastrutture digitali e utilizzarle seguendo i valori di un’economia giusta, sostenibile, rispettosa dell’ambiente, dei territori e del valore delle nostre comunità .

A Bologna, insieme al mio collega Assessore al Lavoro Marco Lombardo stiamo lavorando per questo con l’ambizione di dimostrare che un’alternativa etica all’economia dei giganti del web è possibile. Dopo la firma della prima Carta dei diritti fondamentali del lavoro digitale, due anni fa, ora l’Amministrazione comunale sta infatti favorendo la collaborazione tra cooperative di rider, riunendole in una piattaforma per effettuare consegne e servizi di pubblica utilità come, ad esempio, la distribuzione di mascherine. Siamo partiti per offrire un’opportunità ai negozi di vicinato per la consegna a domicilio al tempo del Covid. Stiamo coinvolgendo anche altri attori come le grandi imprese che si sono riconvertite temporaneamente nella produzione di mascherine per la popolazione e pensando di affidare ai ciclofattorini le consegne a domicilio delle nostre biblioteche comunali a favore di persone anziane e disabili. Contestualmente un’app sarà presto messa a punto con la collaborazione di Legacoop e Cotabo, la federazione dei tassisti.

La ripartenza in Italia è anche questo. Un’economia locale che si riorganizza creando nuovo lavoro e tutela dei diritti. Un modello municipale in cui il pubblico indirizza, facilita e coordina l’organizzazione dal basso di una forma etica di mutualismo incentrata sugli obiettivi e i valori della sostenibilità, del rispetto del lavoro degno e del bene comune. A guidarci in questa sfida c’è un’idea di cosa debba essere una città nel mondo “globalizzato”: non un luogo di disgregazione sociale che abbassa la qualità della vita e crea ipercompetizione, ma un sistema in grado di offrire infrastrutture a servizio della cittadinanza. Crediamo che un paese come l’Italia che ha fatto delle sue città il nucleo fondante della propria cultura sia in grado di immaginare nuovamente lo spazio urbano per guardare con fiducia al mondo del futuro.

Come ha scritto Italo Calvino: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme”.


Matteo Lepore è assessore al turismo e promozione della città del Comune di Bologna