Non c’è nulla di peggio di una crisi sprecata. Sulla mobilità ci giochiamo il futuro

“Non possiamo permetterci di sprecare una crisi come questa, è un’opportunità di fare cose che non si pensava di poter fare prima”. Questa frase fu pronunciata da Rahm Emanuel, capo di Gabinetto di Obama alla Casa Bianca, dopo la grande crisi economica del 2008 e ciclicamente, con varie sfumature, torna in auge ogni qualvolta c’è da immaginare e costruire una società diversa. Possibilmente migliore di quella che l’ha preceduta.

In questi primi mesi di crisi economico-sociale provocata dal Covid-19, uno dei settori più colpiti è senza ombra di dubbio quello del trasporto collettivo di persone. Il motivo è facile da intuire ed è insito nella definizione stessa di “trasporto collettivo” ossia di un sistema in grado di offrire un servizio regolare, con percorsi e orari predeterminati, a gruppi di utenti. Un sistema, quindi, nato per trasportare da una certa origine ad una certa destinazione, in un certo modo, tante persone in uno spazio limitato.

Le infrastrutture di trasporto e i servizi di trasporto non sono fini a sé stessi, ma sono lo strumento per soddisfare i reali fabbisogni di mobilità delle persone e delle merci e contribuiscono in larga parte al benessere economico e alla qualità della vita. Da un lato, influenzano la crescita economica e la dislocazione delle attività economiche sul territorio, in quanto ne determinano l’accessibilità, dall’altro risultano decisivi per il successo delle politiche ambientali e sociali, per la riduzione delle emissioni inquinanti, per la qualità dell’aria, nonché per le politiche di coesione sociale, sviluppo urbano e sicurezza.

Tutti abbiamo potuto testare in prima persona cosa significa avere pochissime autovetture lungo le strade. Tutti abbiamo potuto respirare l’aria più pulita, percorrere a piedi percorsi altrimenti inaccessibili per il traffico, recuperare tempo e spazio urbano.

È una sensazione di libertà che rischia, però, di durare meno del battito d’ali di una farfalla se, come purtroppo si comincia a scorgere, non si vorranno ridisegnare gli orari nelle città, l’urbanistica, le infrastrutture e i servizi di trasporti urbani.
Puntare sulla mobilità collettiva in questa fase è oggettivamente complicato poiché le preoccupazioni degli utenti nell’utilizzo di un bus, un treno, un aereo o una nave sono molto alte. Proprio per questo motivo, è necessario pensare già da adesso come intendiamo migliorare la mobilità nel futuro. Come immaginiamo cambiare le strade, le metropolitane, gli orari, i percorsi, i mezzi per farci trovare pronti quando tutto sarà finito.

Non basta tracciare una linea gialla a terra che delimiti una ipotetica pista ciclabile o un percorso per monopattini se mancano le condizioni di sicurezza per percorrerla.
Non basta l’intervento estemporaneo, a macchia di leopardo, sul territorio comunale, ma c’è bisogno di un piano complessivo che riguardi il ruolo delle stazioni ferroviarie come hub dell’intermodalità, la realizzazione e il completamento delle linee metropolitane (penso al caso di Roma, capitale europea con solo due linee metropolitane e mezza a servizio di una popolazione di 2,8 milioni di abitanti su una superficie di quasi 1.300 kmq. Per intenderci, la città di Milano è grande più o meno quanto il quartiere Eur), la ridistribuzione degli uffici e degli insediamenti produttivi per evitare ingorghi dalla periferia al centro, puntare finalmente sulle gare per l’assegnazione dei servizi di TPL riconvertendo il parco autobus verso alimentazioni a emissioni zero.

Dobbiamo restituire ai cittadini gli spazi urbani sottratti dall’attuale mobilità privata, non dimenticando che 200 auto a benzina occupano lo stesso spazio di 200 auto elettriche mantenendo inalterato il rischio di incidenti e congestione.

Non limitiamoci a immaginarlo. Facciamolo.


Antonio Angelino, Circolo PD Donna Olimpia, Roma