Una grande sfida ancora da realizzare. Quel discorso di Bob Kennedy che ci indica la strada

Il 6 giugno ricorre l’anniversario della morte di Bob Kennedy. Il popolo americano rincorreva un nuovo sogno, di libertà, giustizia, inclusione, tuttavia quel sogno viene nuovamente spezzato. Il 5 giugno 1968, nella sala da ballo dell’Ambassador Hotel di Los Angeles, Kennedy stava tenendo una conferenza per celebrare il proprio successo conseguito alle primarie della California e del Sud Dakota in funzione della corsa alla Casa Bianca, quando fu colpito a morte, negli angusti corridoi in prossimità delle cucine dell’albergo, da alcuni proiettili esplosi da Sirhan Sirhan, cittadino giordano di origine palestinese. Eppure il 6 giugno è anche il giorno in cui Bob Kennedy consegnò al mondo uno dei discorsi più significativi della sua esistenza.

Due anni prima, nonostante il governo Sudafricano cercò di impedirglielo accettò l’invito del Sindacato degli Studenti a parlare alla loro assemblea che si sarebbe tenuta presso l’Università di Cape Town. Nelson Mandela era già in prigione da quattro anni.

Il National Party era al potere ed aveva appena inasprito le misure di segregazione e repressione contro la popolazione di colore. Quel regime rappresentava tutto quello contro cui Bob aveva combattuto e decise proprio da quel Paese di rilanciare la sfida per il pieno riconoscimento dei diritti civili negli Stati Uniti come nel resto del pianeta.

Quel discorso risuona soprattutto oggi come una sfida ancora da realizzare ma traccia anche la strada di cosa significa Democrazia in Occidente, dove le élites non possono sostituirsi all’ascolto di chi agisce senza tentennamenti per denunciare soprusi e violazioni dei diritti umani.


Università di Capetown, Sudafrica – 6 giugno 1966

Gentile Rettore, Gentile Vice Rettore, Professor Robertson, Signor Diamond, Signor Daniel, Signore e Signori,

Sono venuto qui, questa sera, spinto dal profondo interesse e affetto per un paese colonizzato prima dagli Olandesi nella metà del Settecento, poi occupato dagli inglesi, ed alla fine indipendente; un paese dove gli abitanti nativi furono inizialmente repressi, e dove con gli stessi le relazioni rimangono ancora un problema; un paese che definisce se stesso come una frontiera ostile; un paese che ha reso utilizzabili ricche risorse naturali attraverso l’applicazione di moderne tecnologie; un paese che era importatore di schiavi, e che ora deve lottare per cancellare le ultime tracce del periodo schiavista. Mi riferisco, naturalmente agli Stati Uniti d’America. Ma sono lieto di essere qui, mia moglie ed io e tutto il nostro gruppo, siamo lieti di essere qui in SudAfrica, e siamo lieti di essere venuti a Città del Capo. Mi sto già godendo la visita. Cerco di incontrare e scambiare vedute con persone di ogni tipo, a tutti i livelli della cultura sudafricana, inclusi coloro che rappresentano il punto di vista del governo.

Oggi sono lieto di poter incontrare l’Unione degli studenti sudafricani. Per un decennio, la Nusas si è mossa e ha lavorato per i principi della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, principi che personificano le speranze collettive degli uomini di buona volontà di tutto il globo. Il vostro lavoro, nel vostro paese così come nelle organizzazioni studentesche internazionali, ha portato grande credito a voi ed al vostro paese. So che l’Associazione nazionale degli studenti in Usa sente come particolarmente vicina la relazione con la vostra associazione. E vorrei ringraziare innanzitutto il signor Ian Robertson, che per primo ha posto questo invito per conto della vostra associazione. Vorrei ringraziarlo per la sua gentilezza nell’avermi voluto qui. Sono molto dispiaciuto che non possa essere qui con noi questa sera. Sono molto felice di avere avuto la possibilità di incontrarlo e parlarci qualche ora fa. E gli ho regalato una copia di “Biografia del Coraggio”, un libro scritto dal Presidente John Kennedy autografato per lui dalla vedova, la Signora Jacqueline Kennedy.

Questo è il Giorno dell’Affermazione, una celebrazione della libertà. Noi siamo qui in nome della libertà. Alla base della libertà e della democrazia occidentali c’è la convinzione che ogni individuo, ogni singolo figlio di Dio, sia la pietra di paragone, e tutta la società, tutti i gruppi, tutte le nazioni, esistano a vantaggio della persona. Di conseguenza l’allargamento delle libertà degli essere umani deve essere l’obiettivo supremo e la pratica duratura di ogni società occidentale. Il primo elemento della libertà individuale è la libertà di espressione: il diritto di esprimere e comunicare idee, per distinguersi dalle bestie dei campi e delle foreste; il diritto di richiamare i governi ai loro doveri e obblighi; soprattutto il diritto di affermare la propria adesione e lealtà ad una parte politica, alla società, alle persone con le quali condividiamo la nostra terra, la nostra eredità ed il futuro dei nostri figli.

Alla pari della libertà d’espressione c’è il potere di essere ascoltati, il potere di prendere parte alle decisioni del governo, decisioni che modellano le nostre vite. Tutto ciò che rende la vita degna di essere vissuta – famiglia, lavoro, istruzione, un luogo dove allevare i propri figli e dove trovare riposo – tutto dipende dalle decisioni del governo; tutto può essere spazzato via da un governo che non presta ascolto alle richieste della popolazione, e intendo di tutta la popolazione. Quindi l’essenza stessa dell’umanità può essere tutelata e protetta solamente laddove c’è un governo che deve rispondere non solo ai ricchi, non solo ai fedeli di una particolare religione o agli appartenenti ad una particolare razza ma a tutto il popolo. Ed anche un governo con il pieno consenso dei governati, come nella nostra Costituzione, deve essere limitato nel suo potere di agire contro il popolo così che che non ci dovrebbe essere interferenza con il diritto a professare la propria fede, ma anche nessuna interferenza con la sicurezza personale; nessuna imposizione arbitraria di pene o punizioni contro ordinari cittadini da parte di ufficiali di qualsivoglia rango; nessuna restrizione alla libertà delle persone di ottenere l’istruzione, o cercare un lavoro o qualsiasi opportunità, così che ognuno possa diventare qualunque cosa sia in grado di diventare.

Questi sono i diritti sacri della società occidentale. Proprio questi diritti hanno rappresentato le grandi differenze fra noi e la Germania nazista, così come lo furono fra Atene e la Persia. Questi sono oggi l’essenza delle nostre differenze con il comunismo. Sono fermamente contrario al comunismo perché esalta lo Stato sopra l’individuo e sopra la famiglia, e perché il suo sistema prevede l’assenza delle libertà di espressione, protesta, religione e stampa, assenze tipiche di un regime totalitario. Tuttavia la maniera di opporsi al comunismo non è quella di imitare la sua dittatura, ma di estendere le libertà individuali. In ogni nazione ci sono persone che etichetterebbero come comunista chiunque minacci i loro privilegi. Ma posso dirvi, da ciò che ho visto viaggiando in tutte le parti del mondo, che riformare non è comunismo. E che la negazione della libertà, in nome di qualsiasi cosa, può solo rafforzare lo stesso comunismo che sostiene di combattere.

Molte nazioni hanno stabilito le proprie definizioni e dichiarazioni di questi principi. E ci sono spesso state ampie e tragiche differenze fra promesse e risultati, fra teoria e realtà. E tuttavia i grandi ideali ci hanno costantemente richiamato ai nostri doveri. E, con dolorante lentezza, noi negli Stati Uniti abbiamo esteso ed allargato il significato e la pratica della libertà a tutta la nostra gente. Per due secoli, il mio paese ha combattuto per superare l’handicap, da noi stesso imposto, del pregiudizio e della discriminazione basati sulla nazionalità, sulla classe sociale, sulla razza – discriminazione profondamente ripugnante rispetto alla teoria ed precetti della nostra Costituzione. Anche all’epoca di mio padre, che crebbe a Boston, Massachusetts, c’erano cartelli che dicevano “No Irish need apply “ [gli irlandesi non facciano domanda di lavoro]. Due generazioni dopo, il Presidente Kennedy divenne il primo cattolico irlandese, ed il primo cattolico, a guidare la nazione; ma quanti uomini capaci, prima del 1961, hanno visto negata loro la possibilità di contribuire al progresso della nazione dal momento che erano cattolici, o perché erano di origine irlandese? Quanti figli di italiani o di ebrei o polacchi dormirono in quartieri degradati – non istruiti, non educati, le loro potenzialità per la nostra nazione e per la razza umana perse per sempre? Ancora oggi, quale prezzo pagheremo prima di poter assicurare piene opportunità ai milioni di neri americani?

Negli ultimi cinque anni abbiamo fatto molto di più per assicurare l’uguaglianza ai nostri cittadini neri e per aiutare le persone indigenti, sia bianchi che neri, che negli ultimi cent’anni. Ma molto, molto di più resta da fare. Ci sono milioni di neri non formati per i lavori più semplici, e migliaia sono privati quotidianamente della totalità e uguaglianza dei propri diritti civili di fronte alla legge; e la violenza dei diseredati, degli insultati e dei feriti, si profila per le strade di Harlem e per quelle di Watts e del Southside di Chicago.

Ma allo stesso tempo un nero americano si sta addestrando ora come astronauta, uno dei primi esploratori dello spazio; un altro è capo degli avvocati del governo degli Stati Uniti, e a dozzine siedono sui banchi dei nostri tribunali; ed un altro, il Dr. Martin Luther King, è il secondo uomo di origine Africana a vincere il premio Nobel per la Pace per le sue campagne non violente a favore della giustizia sociale fra tutte le razze.

Abbiamo fatto approvare leggi che proibiscono discriminazione nell’istruzione, nell’assunzione, nell’ambito immobiliare; ma queste leggi da sole non possono superare l’eredità di centinaia di anni di famiglie distrutte e di bambini rachitici, di povertà, degradazione e dolore. Quindi il cammino verso l’uguaglianza della libertà non è facile e ci sono ancora grandi sforzi e pericoli che ognuno di noi dovrà affrontare nel proprio cammino. Siamo impegnati a favore di un cambiamento pacifico e non violento, e questo è importante che tutti lo comprendano – anche se il cambiamento è sconvolgente. Tuttavia, anche nella turbolenza delle proteste e della lotta c’è una maggiore speranza per il futuro, mentre gli uomini imparano a rivendicare e a raggiungere per se stessi i diritti che prima erano rivendicati da altri.

E più importante di tutto, tutto lo sfoggio della forza del governo è stato dedicato all’obiettivo dell’uguaglianza davanti alla legge, come adesso ci stiamo impegnando per il raggiungimento, di fatto, delle pari opportunità. Dobbiamo riconoscere l’assoluta uguaglianza di tutte le persone: dinanzi a Dio, dinanzi alla legge e nel governo della cosa pubblica. Dobbiamo farlo non perché sia economicamente vantaggioso, per quanto lo sia; non perché così vogliono le leggi di Dio e dell’uomo, sebbene lo impongano; non perché così vogliono popoli di terre lontane. Dobbiamo farlo per un’unica e fondamentale ragione: perché è la cosa giusta da fare. Riconosciamo che negli Stati Uniti ci sono problemi ed ostacoli che bloccano della piena attuazione di questi ideali così come riconosciamo che altre nazioni, in America Latina in Asia ed in Africa, hanno i propri problemi politici, economici, e sociali, le proprie barriere all’eliminazione delle ingiustizie.

Alcuni sono preoccupati che il cambiamento cancellerà i diritti delle minoranze, particolarmente dove la minoranza è di razza differente rispetto alla maggioranza. Noi negli Stati Uniti crediamo nella protezione delle minoranze; riconosciamo i contributi che possono dare e la leadership che possono offrire; e non crediamo che qualunque popolo – sia che appartenga alla minoranza o alla maggioranza, o sia che si tratti di singoli individui – sia “sacrificabile” per la causa della teoria o della politica. Riconosciamo inoltre che la giustizia fra uomini e nazioni è imperfetta, e che l’umanità a volte progredisce davvero molto lentamente. Il modello e il ritmo dello sviluppo non sono uguali per tutti. Le nazioni, al pari degli uomini, marciano soventi al ritmo di tamburi diversi e gli Stati Uniti non sono in grado di indicare né di trapiantare soluzioni valide per tutti – e questo non è il nostro intento. Ciò che conta, ad ogni modo, è che tutte le nazioni marcino verso un allargamento della libertà, verso la giustizia per tutti, verso una società sufficientemente forte e flessibile da incontrare le esigenze della propria gente – senza discriminazione di razza – e rispondere alle richieste di un mondo di immenso e sbalorditivo cambiamento che riguarda tutti noi.

In poche ore, l’aereo che mi ha portato qui ha attraversato oceani e paesi che sono stati crogiolo della storia dell’umanità. In pochi minuti abbiamo seguito le tracce delle migrazioni degli uomini nel corso di migliaia di anni; in pochi secondi abbiamo passato campi i battaglia dove milioni di uomini hanno combattuto e sono morti. Non abbiamo visto nessun confine nazionale, nessun vasto golfo o alte mura che dividono le popolazioni; solo la natura ed il lavoro dell’uomo – case, fabbriche, fattorie – che riflettono lo sforzo comune di arricchire la propria vita. Da ogni parte le nuove tecnologie e le comunicazioni portano gli uomini e le nazioni ad essere più vicini tra loro, le preoccupazioni di uno, inevitabilmente diventano le preoccupazioni di tutti. E la nostra nuova vicinanza sta strappando via le false maschere, l’illusione di differenze che sono la radice delle ingiustizie, dell’odio e della guerra. Solo un uomo attaccato alle cose terrene può ancora aggrapparsi alla buia ed avvelenante superstizione secondo cui il suo mondo è delimitato dalla collina più vicina, il suo universo finisce alla rive del fiume, la sua comune umanità è racchiusa nello stretto circolo di quelli che condividono con lui città, vedute e colore della pelle.

È il vostro lavoro, il compito delle persone giovani in questo mondo, di strappare le ultime rimanenze di quella antica, crudele convinzione dalla civiltà dell’uomo. Ogni nazione affronta ostacoli ed obiettivi differenti, plasmati dalla propria storia ed esperienza. Tuttavia mentre parlo con ragazzi di tutto il mondo, sono impressionato non tanto dalla diversità ma dalla vicinanza dei loro obiettivi, dei loro desideri, e delle loro preoccupazioni e speranze per il futuro.

Troviamo discriminazione a New York, l’ineguaglianza razziale dell’apartheid in SudAfrica, e c’è la schiavitù sulle montagne del Perù. Persone muoiono di fame nelle strade dell’India; un ex primo ministro è stato sommariamente giustiziato in Congo; gli intellettuali sono imprigionati in Russia; e migliaia vengono trucidati in Indonesia; la ricchezza è riversata in ogni parte del mondo sugli armamenti. Questi sono mali diversi, ma sono frutto del lavoro comune dell’uomo. Riflettono le imperfezioni della giustizia umana, l’inadeguatezza della compassione umana, la difettosità della nostra sensibilità verso le sofferenze dei nostri compagni; marcano il limite della nostra capacità di usare la conoscenza per il bene comune dei nostri compagni in tutto il mondo. E perciò richiedono qualità comuni di coscienza ed indignazione, una condivisa determinazione a scacciare le sofferenze non necessarie dei nostri compagni a casa così come in tutto il mondo.

Sono queste le qualità che fanno della nostra gioventù la sola vera comunità internazionale. Più che su questo credo che potremmo essere d’accordo su quale tipo di mondo vogliamo costruire. Sarebbe un mondo di nazioni indipendenti, che si muovono verso una comunità internazionale,ognuna delle quali rispetta e protegge le fondamentali libertà umane. Sarebbe un mondo dove ad ogni governo verrebbe richiesto di accettare la propria responsabilità al fine di assicurare la giustizia sociale. Sarebbe un mondo caratterizzato da un progresso economico costantemente in accelerazione – non da un’assistenza sociale materiale fine a sé stessa, ma piuttosto un mezzo per liberare le capacità di ogni essere umano di accrescere i propri talenti e di soddisfare le proprie speranze. Sarebbe, in breve, un mondo che tutti noi saremmo orgogliosi d’aver costruito. Solo un po’ a Nord da quì, ci sono terre di sfida e di opportunità, ricche di risorse naturali, di terra e minerali e di persone. Ma ci sono anche terre caratterizzate dalle più grandi disuguaglianze, da una sconvolgente ignoranza, da tensioni sociali e lotte, e da grandi ostacoli dovuti al clima ed alla posizione geografica. Molte di queste nazioni, come colonie, furono oppresse e sfruttate. Ancora oggi non si sono allontanate dalle pesanti tradizioni occidentali; sono speranzose e stanno scommettendo su progresso e stabilità basandosi sulla possibilità che noi un giorno affronteremo le nostre responsabilità nei loro confronti, per aiutare a sconfiggere la loro povertà.

Nel mondo che ci piacerebbe costruire, il SudAfrica giocherebbe un ruolo eccezionale e un ruolo guida in questo sforzo. Questo paese è senza dubbio il deposito preminente della ricchezza, conoscenza e talento dell’intero continente. Qui troviamo la gran parte dei ricercatori scientifici d’Africa e le più importanti industrie dell’acciaio, la maggior parte delle scorte di carbone e potenza elettrica. Molti sudafricani hanno dato un contributo significativo allo sviluppo tecnico dell’Africa e alla scienza mondiale; i nomi di alcuni sono conosciuti in ogni parte del mondo in cui si cerchi di eliminare le devastazioni delle malattie tropicali e della pestilenza. Nelle vostre facoltà e consigli, anche qui fra questo pubblico, ci sono centinaia e migliaia di uomini e donne che potrebbero trasformare le vite di milioni di persone per tutto il tempo a venire. Ma l’aiuto e la guida del Sud Africa o degli Stati Uniti non può essere accettata se noi, all’interno del nostro paese o nelle relazioni con gli altri, neghiamo l’integrità individuale, la dignità umana, e il senso comune dell’umanità dell’uomo. Se vogliamo essere guide fuori dai nostri confini; se vogliamo aiutare coloro che hanno bisogno della nostra assistenza; se vogliamo incontrare le nostre responsabilità verso il genere umano; dobbiamo prima di tutto demolire le barriere che la storia ha eretto fra uomini all’interno della nostra stessa nazione, barriere di razza e religione, di classe sociale ed ignoranza.

La nostra risposta è la speranza del mondo; è fare affidamento sui giovani. Le crudeltà e gli ostacoli di questo pianeta che cambia così velocemente non porteranno a dogmi obsoleti e slogan desueti. Non può essere mosso da quelli che si aggrappano al presente che è già moribondo, che preferiscono l’illusione della sicurezza all’eccitazione e al pericolo che arriva anche con il più pacifico progresso. Questo mondo richiede le qualità dei giovani: non un periodo della vita, ma uno stato mentale, un temperamento della volontà, una qualità dell’immaginazione, una predominanza del coraggio sulla timidezza; dell’appetito per l’avventura sulla vita tranquilla, un uomo come il rettore di questa università. E’ un mondo rivoluzionario quello in cui viviamo, e perciò, così come ho detto in America Latina e in Asia e in Europa e nel mio paese, gli Stati Uniti, sono i giovani che devono prendere il comando. Perciò voi e i vostri giovani compatrioti, in ogni parte della terra, vi siete trovati sotto il più grande carico di responsabilità di qualsiasi altra generazione che sia mai vissuta.

“Non c’è”, disse un filosofo italiano, “niente di più difficile da prendere in mano, di più pericoloso da condurre, o di più incerto successo che il prendere la guida al fine di introdurre un nuovo ordine di cose”. Adesso questa è la dimensione del compito della vostra generazione e il cammino è cosparso di molti pericoli.

Il primo pericolo è la futilità; il credere che non ci sia niente che un uomo o una donna possa fare contro l’enorme quantità di mali del mondo, contro la miseria, contro l’ignoranza, l’ingiustizia o la violenza. Eppure molti dei più grandi movimenti universali di pensiero e azione sono scaturiti dal lavoro di una singola persona. Un giovane monaco cominciò la riforma protestante, un giovane generale estese il proprio impero dalla Macedonia fino alla fine delle terre conosciute, ed una giovane donna rivendicò i territori francesi. Fu un giovane esploratore italiano che scoprì il nuovo mondo, e un 32-enne, Thomas Jefferson, che proclamò che tutti gli uomini sono creati uguali. “Datemi solo un punto d’appoggio”, disse Archimede, “e vi solleverò il mondo”. Questi uomini mossero il mondo, e noi possiamo fare altrettanto. Pochi avranno la grandezza necessaria a piegare la storia ma ciascuno di noi può operare per modificare una minuscola parte del corso degli eventi e tutte queste azioni formeranno la storia di questa generazione. Migliaia di Peace Corps stanno facendo la differenza in villaggi isolati e nelle periferie degradate di dozzine di nazioni. Migliaia di uomini e donne sconosciuti resistettero all’occupazione nazista in Europa e molti di loro morirono, ma tutti aggiunsero qualcosa alla spinta finale alla libertà dei propri paesi. La storia dell’umanità è il prodotto di innumerevoli atti di coraggio e di fede come questi. Ogni qualvolta un uomo si batte per un ideale o opera per migliorare la condizione degli altri o lotta contro l’ingiustizia, invia un minuscolo impulso di speranza e tutti questi impulsi provenienti da milioni di centri di energia e intersecandosi gli uni agli altri possono dar vita ad una corrente capace di travolgere i più possenti muri dell’oppressione e dell’ostilità.

“Se Atene ti dovesse apparire grande”, disse Pericle, “considera che la sua gloria è stata guadagnata da uomini valorosi, e da uomini che conoscevano i propri doveri”. Questa è la fonte della grandezza in tutte le società, e questa è la chiave per progredire ai giorni nostri.

Il secondo pericolo è quello dell’opportunismo, di coloro che dicono che le speranze e le convinzioni debbano piegarsi di fronte alle necessità immediate. Naturalmente, se dobbiamo agire efficacemente dobbiamo trattare con il mondo così com’è. Dobbiamo realizzare le cose. Ma se c’è una cosa su cui il Presidente Kennedy aveva preso una posizione, una cosa che toccò i sentimenti più profondi dei giovani in tutto il mondo, era la convinzione che l’idealismo, l’alta aspirazione e le profonde convinzioni non sono incompatibili con i programmi più pratici ed efficienti, che non c’è separazione fra i desideri più profondi del cuore e della mente e la razionale applicazione dello sforzo umano ai problemi umani. Non è realistico o è da ostinati risolvere i problemi e agire senza la guida di uno scopo e di sommi valori morali, sebbene noi tutti sappiamo che qualcuno sostiene che sia proprio così. Secondo me, è sconsideratamente folle. Perché ignora le realtà della speranza umana, della passione e della fede; forze che sono in ultima istanza ben più forti di tutti i calcoli dei nostri economisti o dei nostri generali. Naturalmente per conformarsi alle norme, all’idealismo, ad una visione che deve fronteggiare pericoli immediati, c’è bisogno di grande coraggio e fiducia in se stessi. Ma noi sappiamo che solo quelli che azzardano, fallendo molto, possono poi raggiungere risultati straordinari.

È questo nuovo idealismo che è anche, io credo, l’eredità comune di una generazione che ha imparato che mentre l’efficienza può portare ad Auschwitz, o alle strade di Budapest, solo gli ideali di umanità ed amore posso scalare le colline dell’Acropoli.

Un terzo pericolo è la timidezza. Pochi sono pronti a sfidare con coraggio la disapprovazione degli amici, la censura dei colleghi, la vendetta della società. Il coraggio morale è merce più rara del coraggio in battaglia o dell’intelligenza. Tuttavia è la qualità essenziale, vitale per coloro che cercano di cambiare il mondo – mondo che cede dolorosamente al cambiamento -.

Aristotele ci dice che “nelle Olimpiadi sono incoronati non i più belli e i più forti, ma quelli che partecipano alla gara”. “Così nella vita chi agisce giustamente vince il premio divenendo partecipe del bello e del buono”. Sono convinto che in questa generazione coloro che avranno il coraggio di partecipare alla lotta troveranno compagni di strada in ogni angolo del mondo.

Per i fortunati attorno a noi, il quarto pericolo è l’agiatezza; la tentazione di seguire il facile e famigliare cammino dell’ambizione personale e del successo economico così ampiamente diffuso fra quelli che hanno il privilegio dell’istruzione. Ma questa non è la strada che la storia ha segnato per noi. Una maledizione cinese dice: “Che possa vivere in tempi interessanti”. Che ci piaccia o no, viviamo in tempi interessanti. Sono tempi di pericoli e di incertezze ma sono anche tempi che danno spazio, come mai prima d’ora, alle energie creative dell’uomo. E ciascuno sarà giudicato e giudicherà se stesso per il contributo che avrà saputo dare alla costruzione di una nuova società mondiale e per la misura in cui avrà saputo plasmare il suo sforzo sulla base di alti ideali e obiettivi.

Ora ci lasciamo, io torno al mio paese e voi rimanete qui. Noi siamo – se un quarantenne come me può avere questo privilegio – membri della più giovane generazione. Ognuno di noi ha il suo proprio lavoro da fare. Lo so che ci sono momenti in cui vi sentite davvero soli con i vostri problemi e difficoltà. Ma voglio dirvi quanto sono impressionato per quello che cercate di raggiungere e per lo sforzo che state compiendo, e lo dico, non solo per me, ma per tutte le donne e gli uomini di questo mondo. E spero che voi possiate spesso prendere giovamento dalla consapevolezza che vi state unendo con i vostri compagni in ogni paese del mondo – loro lottano con i propri problemi e voi con i vostri, ma siete tutti uniti da un unico fine; come i giovani ragazzi del mio paese e di tutti i paesi che ho visitato, tutti voi siete molto più uniti con i fratelli della vostra generazione che ogni altra precedente generazione; siete determinati a costruire un futuro migliore. Il Presidente Kennedy stava parlando ai giovani degli Stati Uniti, ma oltre che a loro a tutti i giovani del mondo, quando disse “L’energia, la fede, la devozione che portiamo per questo sforzo illuminerà il nostro paese e tutti quelli che lo serviranno, ed il bagliore di quel fuoco potrà davvero accendere il mondo.

Con una buona coscienza come nostra sola sicura ricompensa, con la storia come giudice finale delle nostre azioni, andiamo avanti e guidiamo il paese che amiamo, chiedendo la Sua benedizione ed il Suo aiuto, ma sapendo che qui su questa terra, il lavoro di Dio deve essere il nostro lavoro.

Vi ringrazio.

Roberto F. Kennedy