Tutti contro Trump, piccolo leader che sta mostrando tutta la sua inadeguatezza

“Pace non significa silenzio” e inoltre: “Nessuna giustizia, nessuna pace”. Al funerale di George Floyd, la vittima del brutale ed immotivato assassinio da parte di quattro agenti di polizia di Minneapolis, il Reverendo Al Sharpton tuona contro l’ingiustizia del sistema giudiziario e contro Trump, senza mai fare il suo nome. “C’é qualcuno che si fa foto con una Bibbia in mano. In tutta la mia vita non ho mai visto nessuno tenere una Bibbia in quel modo. Ecco, inviterei questa persona ad aprirla, quella Bibbia, invece di brandirla”.

“Per la prima volta nella storia degli Stati Uniti la nostra comunità afroamericana ha avuto un presidente, Barak Obama, a dimostrazione del fatto che se studia o si impegna, anche uno di noi può diventare presidente. E cosa si è fatto? Gli si é chiesto il certificato di nascita, si é cercato di delegittimarlo”. E Sharpton continua “E’ giunto il momento di rialzarci. Qualcuno ha un orologio che va in ritardo, come accade quando cambia l’ora legale e non ce ne accorgiamo. Qualcuno vuole militarizzare il paese, piuttosto che ascoltarci. Ma il tempo è finito, il tempo delle scuse, delle parole vuote, dell’ostruzionismo. Non ci fermeremo fino a quando non cambieremo l’intero sistema giudiziario”.

Sono presenti anche personaggi della musica e dello spettacolo impegnati nella lotta per i diritti civili, come Ludacris, Tiffany Haddish, Tyrese Gibson,  T.I, Master P. Il reverendo Sharpton dà appuntamento a tutti coloro che vorranno manifestare in nome della giustizia al 28 agosto, davanti al Lincoln Memorial a Washington.

“I have a dream”, disse Martin Luther King dal palco sovrastante il parco e il monumento, il 28 agosto del 1963, a pochi passi della Casa Bianca. C’erano circa 250mila persone quel giorno, e al termine di una marcia di protesta per i diritti civili, King fece un discorso che cambiò la storia del paese. O forse non la cambiò abbastanza. Neanche nel giorno del funerale di Floyd, infatti, le proteste si placano. Neanche l’aggravarsi delle imputazioni a carico dell’agente Chauvin, da omicidio preterintenzionale a volontario, o il fatto che siano stati arrestati anche gli atri tre agenti per concorso in omicidio, placa la sete di maggiore giustizia ed uguaglianza. La lista di chi ha perso la vita durante un arresto o un controllo della polizia é infinita, ma quella lista non ha responsabili, perché un agente non finisce praticamente mai in galera. Paradossalmente solo un agente fu condannato a 12 anni e mezzo per l’uccisione di una donna nel 2017, Justine Damon, di origini australiane e questo agente si chiama Mohamed Noor, di origini somale. Apparentemente ci furono molte pressioni internazionali su questo caso.

Più recentemente nel 2014 a New York, un altro afro americano, Eric Garner, viene strangolato da un agente, Daniel Pantaleo. L’agente usa una presa che si chiama “chockehold” usata anche nello Judo, che in pratica soffoca o limita cosi tanto il passaggio del sangue nel collo da poter portare alla morte. Anche lui rantola “Non riesco a respirare”. Cosa aveva fatto Garner? Stava vendendo delle sigarette sciolte. Un caso recente e assurdo è quello della ventiseienne Breonna Taylor. Breonna era nel suo appartamento, serena, quando improvvisamente la polizia irrompe nella sua casa e le spara, durante un raid per droga. Peccato che fossero nell’appartamento sbagliato. Ma Breonna intanto non c’è più. Cosa è accaduto a chi l’aveva uccisa? Nulla, ancora non sono stati imputati di alcun reato. E’ storia di questi giorni ad esempio un altro caso che ha fatto molto clamore, ma solo perché è stato diffuso il video dell’omicidio. Il linciaggio in Georgia di Ahmaud Aubery, rincorso per strada e ucciso da due suprematisti bianchi, padre e figlio e da un altro loro amico, che li seguiva in un’altra macchina riprendendo la scena. I due assassini non erano neanche stati imputati, per più di due mesi ben due procuratori distrettuali avevano rifiutato il caso per conflitto di interessi. Dal 23 febbraio, il giorno dell’omicidio, fino a maggio, i due sono rimasti tranquilli a casa, cercando di giustificare il linciaggio con la “legittima difesa”. Una difesa però che faceva acqua da tutte le parti, visto che loro erano armati fino ai denti, mentre Aubery era disarmato. Perché avrebbero iniziato la “caccia al nero”? Perché Aubery assomigliava a qualcuno che si pensasse essere il ladro che aveva fatto dei furti nel quartiere. Peccato che era l’una di pomeriggio e che Aubrey fosse uscito a fare una corsa in tenuta da jogging, come era solito, non un furto.

E cosa fa nel frattempo il leader della nazione, durante questa crisi sociale, cosa dice al suo popolo per cercare di placare gli animi e offrire una visione di futuro? Minaccia di mandare l’esercito contro i manifestanti. Poi ordina alla polizia e alla Guardia Nazionale di far disperdere – lanciando gas lacrimogeno e granate – i manifestanti che cadono, corrono e vengono travolti. Per quale motivo? Ovvio, per farsi una foto davanti alla Chiesa di Saint John’s, di fronte alla Casa Bianca, dove si fa fotografare mentre brandisce una Bibbia a mo’ di bandierina. Il pastore della chiesa e altri religiosi si dichiarano oltraggiati da quel gesto ed esprimono tutto il loro disappunto rilasciando dichiarazioni al vetriolo contro il presidente. Anche il capo della polizia di Houston si scaglia in tv contro Trump, dicendo che se non ha nulla di costruttivo da dire allora è meglio che stia zitto. Aggiungendo che il presidente non conosce neanche quali siano le basi della leadership. Un vero leader unisce, non divide.

Ma non è tutto per il povero Trump, già provato dalla crisi Covid, quando il dottor Fauci lo contraddiceva spesso, suscitando le sue ire. Ora subisce addirittura un duplice attacco dal Pentagono. Non era mai accaduto prima che un presidente fosse criticato cosi duramente da un Segretario della Difesa. Prima viene smentito dall’attuale Capo del Pentagono, Mark Esper, che si è detto contrario all’uso dell’esercito contro i manifestanti, perché non ne ravvisava i presupposti”.

E poi, tanto per rincarare la dose, è stato attaccato molto duramente anche dall’ex Capo del Pentagono, il pluridecorato Generale Mattis. Il Generale non usa mezzi termini e definisce Trump “una minaccia per la costituzione”. Intanto, per ironia della sorte, Trump fa costruire nottetempo una specie di muro, ma non quello che voleva ergere ai confini con il Messico, bensì una pesante barriera di metallo anti sommosse, alta circa tre metri, per proteggere la Casa Bianca dai manifestanti. Cosi almeno non dovrà più andare nel bunker, come era accaduto venerdì, rischiando di apparire debole e spaventato di fronte ai suoi sostenitori. Dopo che si era sparsa la notizia del bunker infatti, si era subito schernito dicendo che era sceso “solo per ispezionarlo”.

Continua la saga di un piccolo leader, che nei momenti di crisi svela tutta la sua inadeguatezza, che ha bisogno di continui nemici per potersi legittimare e nel contempo fare la vittima, la cui arma è solo schernire i propri avversari in modo da apparire migliore, in un gioco infantile fatto di nomignoli, di fantomatici complotti (obamagate) e di cure miracolose fai-da-te. Non sarebbe facile neanche fare una lista di tutte le cialtronerie inanellate dal presidente in questi ultimi mesi.

La cattiva notizia è che la sua base crederebbe anche agli asini che volano, mentre la buona notizia é che chi non risulta accecato dal fanatismo sta finalmente iniziando ad aprire gli occhi, facendo calare i suoi indici di gradimento. Un’altra buona notizia è che i repubblicani potrebbero perdere la maggioranza in Senato, visto che si sta votando in molti Stati. Inoltre ci sono sempre più repubblicani che han deciso di non votarlo a novembre, aderendo al Lincoln Project, fra i cuoi fondatori ci sono gli ex presidenti Bush. Il Lincoln Project, che avversa fortemente Trump, sta diffondendo spot molto forti contro di lui su molti canali tv.

Uno degli slogan del momento è “VOTE” , come ha invitato a fare anche il fratello di George Floyd: andate a votare per cambiare le cose, mio fratello avrebbe voluto così.


Isabella Weiss di Valbranca è giornalista e regista, ha vissuto a Singapore e ora risiede a San Francisco, dove è segretaria del circolo del Pd