Pochi giorni fa è uscito il rapporto Istat sull’andamento dell’occupazione nel primo mese di “vero” lockdown (aprile): come ci si poteva attendere la situazione è molto pesante. Il calo complessivo è nell’ordine dei 280mila occupati rispetto a marzo.
Dato il blocco dei licenziamenti imposto dal Governo (misura pur necessaria), le imprese come “valvola di sfogo” per le perdite subite hanno dovuto lasciare a casa soprattutto lavoratori a termine (che appunto non vengono tecnicamente “licenziati” ma non rinnovati): su 200mila occupati dipendenti in meno, 130mila sono lavoratori a termine (più del 60%; e si tenga presente che parliamo delle variazioni complessive, i contratti effettivamente non rinnovati sono probabilmente molti di più).
Di fatto, spesso a essere lasciati a casa sono i giovani (perché appunto spesso assunti con contratti precari): rispetto a marzo, le classi che più hanno sofferto il calo dell’occupazione sono quella 15-24 anni (-3,4%) e 24-34 anni (-2,2%), anche se nessuno è stato risparmiato purtroppo (35-49 anni, -1,3%; over50, -0,4%).E parliamo solo di aprile. E non stiamo valutando i disagi subiti dai giovani per il blocco delle lezioni e le difficoltà per molti di accedere agli strumenti necessari per usufruire della didattica a distanza (l’Istat stima che almeno il 12,3% dei ragazzi tra 6 e 17 anni non abbia un tablet o un pc a disposizione in casa) a quanti, soprattutto maturandi e studenti universitari, ancora a volte non hanno certezza di come si svolgeranno i loro esami (va detto che ogni università è un mondo a sé ma i disagi sono diffusi).
In questo scenario, qualcosa si muove: ad esempio, pare che si vada verso un allargamento della No Tax Area per gli studenti universitari e per la scuola nel DL Rilancio sono stanziati 1,4 miliardi. Tutti interventi per i quali va riconosciuto al PD di essersi battuto. Ma paiono pur sempre misure di “tamponamento”, non siamo ancora ad una vera fase di progetto di lungo periodo, quella di cui ora avremo bisogno (anche banalmente per poter accedere alle risorse europee auspicabilmente in arrivo nel fondo “Next Generation”).
Cosa si può fare? Visto che abbiamo mostrato quanto i giovani stiano prima di tutto pagando la crisi occupazionale innescata dal Covid e contando che la situazione pre-Covid non era certa comunque idilliaca, si potrebbe partire da un pesante intervento di riduzione del costo del lavoro giovanile: come suggerito dal senatore Nannicini, si può pensare a decontribuzione totale di tre anni per i giovani assunti con contratti stabili (costo circa 10 miliardi), misura non dissimile da quella approvata nel 2018 dal Governo Gentiloni. Altro tema (comunque legato all’inserimento nel mondo del lavoro) può essere quello della fiscalità: il ministro Gualtieri ha indicato in modo chiaro la necessità di rivedere l’attuale impianto dell’Irpef.
Un suggerimento può essere quello di valutare una sorta di “No Tax Area” per i giovani, ad esempio con un azzeramento delle imposte personali per gli under 25 e un dimezzamento per gli under 30 (il costo di questa misura non è lontano dal costo del taglio del cuneo che andrà in vigore a luglio ed è in parte finanziabile con una revisione delle imposte successorie, ad esempio sulla falsa riga delle indicazioni dell’Osservatorio sui Conti Pubblici di Carlo Cottarelli).
Altro punto può essere il problema dell’accesso alle professioni: a parere di molte associazioni dedicate al tema, è ormai anacronistico continuare a mantenere un esame scritto per fornire l’abilitazione allo svolgimento della professione, contando che i giovani aspiranti medici, psicologi, infermieri, avvocati, commercialisti ecc… non solo hanno studiato per anni la materia (trasformando spesso di fatto l’esame scritto in un doppione) ma svolgono appositi tirocini (il cd “praticantato”) per imparare il lato “pratico” del loro futuro lavoro. Il tutto sorvolando sul tema contingente del caos in cui sono precipitati con l’emergenza alcuni esami, a cui si spera una soluzione si possa velocemente trovare (a titolo di esempio, molti attendono i risultati delle prove scritte dell’esame di avvocato da sei mesi e spesso sono ancora ignote le date di svolgimento delle prove orali).
Un primo gesto di attenzione sarebbe coinvolgere in modo chiaro i giovani in questi cd “Stati Generali” (o in qualsiasi forma di consultazione si voglia scegliere, magari coerentemente partendo da una seria consultazione dei giovani interna al PD), ad esempio rispondendo all’appello lanciato dalla piattaforma “Officine Italia”. Quasi simbolico in sé come atto, ma per una volta non solo si parlerebbe di giovani, ma si farebbero parlare i giovani.
Si potrebbe andare avanti. Il punto cruciale è che i giovani a questa crisi ci sono arrivati già stremati (disoccupazione comunque stabilmente sopra il 30%, quasi il 25% di NEET, una delle spese per istruzione tra le più basse d’Europa), e sono tra le categorie che anche questa volta rischiano di pagare il conto. Ridare a loro priorità non può essere un vuoto slogan, ma una scelta chiara perché le risorse non sono infinite, come qualcuno pensa, e bisogna scegliere dove indirizzarle.