Per una politica alimentare europea è il tempo del salto di qualità

Non tutti sanno che l’Europa è un gigante del cibo. Dei primi dieci paesi esportatori, ben sei sono del Vecchio Continente con oltre il 26 per cento del cibo movimentato nel pianeta.

Tutto bene dunque? Non diremmo. Non si possono sottovalutare le difficoltà che tante filiere hanno sofferto per le restrizioni alle esportazioni, l’altalena dei prezzi e le storture della logistica. La vecchia politica agricola comune non basta più, la nuova politica alimentare europea non c’è ancora. Ma è adesso il tempo del salto di qualità.

Lungo quali direttrici? La Commissione ha presentato la strategia “Farm to Fork” (dal produttore al consumatore) nel quadro del Green Deal. Prevede una riduzione dei pesticidi del 50% e un aumento delle produzioni biologiche del 25%. Gli obiettivi sviluppano la massima sostenibilità, anche abbattendo i fertilizzanti almeno del 20% e le vendite di antibiotici del 50%. L’obiettivo è anche quello di introdurre un’etichettatura obbligatoria che informi il cittadino degli aspetti nutritivi, climatici, ambientali e sociali del cibo Made in Europe.

Se Farm to Fork sarà un successo o un flop, dipenderà da come la Politica Agricola Comune verrà modificata in funzione di questi obiettivi. Su molte politiche si rinvia di due o tre anni l’attuazione. Per altre, a fronte di richieste ambientali molto impegnative, non si individuano strumenti di integrazione al reddito adeguati. La transizione, senza misure di accompagnamento, rischia di restare sulla carta. O peggio, di scaricarsi sugli anelli deboli realizzando un cortocircuito tra sostenibilità ed equità già vissuto coi gilet gialli francesi.

Un segnale importante tuttavia è arrivato grazie al Recovery Fund che destina 24 miliardi di euro aggiuntivi alla Politica Agricola e al Programma di Sviluppo Rurale. A tutto questo però va aggiunto un impegno decisivo. È probabile che si accelereranno processi di diversificazione degli approvvigionamenti e le filiere si concentreranno su scala regionale. Il fronte europeo sarà nevralgico. Gli Stati membri dovrebbero garantire l’autonomia europea negli approvvigionamenti. E le forniture alimentari, al pari di quelle tecnologiche, comunicative, energetiche, biomedicali e farmaceutiche sono di primaria importanza.

Il rischio è quello che esploda la competizione tra paesi e non possiamo permettercelo. Garantire la sovranità europea davanti alle strategie dei principali soggetti globali è questione essenziale che sta già modificando temi come le discipline sugli aiuti di stato e sulla concorrenza.

Per l’Italia è un passaggio delicato soprattutto per le nostre piccole e medie aziende che rischiano di essere prede di gruppi stranieri. L’estensione del Golden Power a diversi settori e al comparto alimentare è un passo giusto per avere la possibilità di intervenire.

Ha ragione chi dice che si è aperta una stagione di ridefinizione degli equilibri tra Stato e mercato. Ora va decisa anche una strategia per un moderno ed equo sistema alimentare europeo. Perché, non dimentichiamolo, una delle missioni dell’Europa è garantire cibo sano, sicuro e sufficiente ai suoi cittadini.


Maurizio Martina è parlamentare, è stato segretario del Pd e ministro dell’Agricoltura