Europa, ora basta con il gioco al massacro degli interessi dei singoli Stati

Diciamocelo chiaramente: la proposta della Commissione europea di un “Recovery Fund” da 750 miliardi non ha precedenti nella storia dell’Unione Europea. Poi sicuramente verrà modificato in sede di approvazione, ma il dato politico di oggi è chiarissimo: con questa proposta la Commissione europea si è assunta una responsabilità inedita, che a mio parere merita pieno appoggio, non solo perché all’Italia conviene più di tutti; ma soprattutto perché dimostra che di fronte a situazioni enormi che riguardano tutta Europa, l’Europa unita è in grado di offrire risposte altrettanto enormi.

Ora la palla passa alla fase delicata delle trattative, che sicuramente saranno lunghe, e finiranno per abbassare inevitabilmente l’asticella posta così in alto dalla Commissione. Infatti, prima ancora che la discussione arrivi al cospetto del Parlamento Europeo, la proposta deve essere approvata all’unanimità dal consiglio europeo che rappresenta i governi dei 27 stati membri. E qui abbiamo un problema che mi preme sottolineare: le procedure decisionali della UE, nelle fasi cruciali e sulle tematiche più importanti (come le manovre straordinarie di bilancio) richiedono l’approvazione dell’unanimità dei governi degli stati membri. Questo crea e creerà inevitabilmente dei compromessi al ribasso, in modo che i vari accordi possano essere accettati anche dagli stati membri più recalcitranti. Il difetto di questo sistema è evidente: quello che è, e che sarà, sotto i riflettori della discussione sono sempre e solo gli interessi contrapposti dei singoli stati; contrapposizioni che spesso dal mondo politico e dai media vengono esasperati in tutto e per tutto.

Quello che passa in secondo piano è invece l’aspetto che dovrebbe rimanere centrale: l’interesse comune dell’Europa. E questo interesse comune, che c’è ed è particolarmente evidente proprio in periodi di emergenza come questo, trova la sua sede plastica nel Parlamento Europeo, l’organo della UE eletto da tutti i cittadini di tutti gli Stati, in cui gli europarlamentari si suddividono per gruppi politici e non per Stato di appartenenza.

Allora nel mio piccolo mi permetto di dire una cosa: in questa fase di trattativa sul Recovery che si annuncia lunga e complessa, la politica si dimostri matura (o almeno un po’ più matura del solito): metta al centro dei propri obiettivi l’interesse comune dell’Europa e non pretenda di mettere sempre e comunque l’interesse dei singoli stati prima di tutto, in un continuo gioco al massacro in cui alla lunga perdiamo tutti, specialmente le realtà economiche e sociali più fragili.

In altre parole: il Parlamento Europeo non sia succube dei governi europei e rivendichi il proprio ruolo di rappresentanza democratica. Il Parlamento europeo abbia l’ultima parola.


Mattia Franceschelli è segretario PD di Cento (FE) e Componente Assemblea nazionale PD. Articolo pubblicato da La Nuova Ferrara il 2 giugno 2020