Smart working per sempre? Un punto di vista differente

Nel mondo del lavoro, a tutti i livelli, ha preso vita il dibattito che parte dalla tesi che lo smart working debba diventare il modello da preferire al lavoro tradizionale caratterizzato dal lavorare insieme ad altri all’interno di un luogo fisico: uffici, studi professionali, laboratori, ecc.

Sono totalmente contrario a questa tesi.

Il cosiddetto smart working, che in Italia è diventato un tele-lavoro con tecnologia più accessibile, è stato fondamentale durante l’emergenza. Attraverso il lavoro a distanza è stato possibile mantenere in vita posti di lavoro, funzioni fondamentali per la gestione dell’emergenza e ha mantenuto in attività milioni di persone costrette nelle proprie case. È stata, appunto, una soluzione imposta dall’emergenza, non può diventare la normalità.

Il lavoro da casa incrementa la dose di individualismo presente nella nostra società. Se ognuno di noi analizza i vantaggi dal punto di vista personale: non c’è alcun dubbio lo smart working ha i suoi innumerevoli vantaggi. Meno ore passate nel traffico, tutte le comodità dell’ambiente casalingo e una presunta migliore gestione dei tempi lavoro/tempo libero.

Un’altra parte del dibattito che va molto di moda, sono i risparmi. Lo smart working è visto come l’eldorado del risparmio: meno trasporto di persone, meno consumo energetico degli uffici, meno cravatte, meno carta, meno caffè. I lavoratori consumano meno, le aziende risparmiano.

Il discorso finisce qui, vantaggi per i lavoratori e risparmi per le aziende. Credo che invece il tema debba essere guardato da un altro punto di vista, bisogna avere una visione più ampia, analizzando gli effetti generali sull’economia, sulla produttività e anche sulla qualità della vita dei singoli.

Ognuno di noi è portatore di un circuito economico: grazie al lavoro di ogni singola persona esistono altre persone che ci permettono di lavorare, lavorando anch’esse. È sufficiente analizzare quanto il singolo spende per le attività accessorie al lavoro che svolge.

Il caffè la mattina prima di andare in ufficio, il tragitto casa lavoro in qualsiasi modo avvenga. I vestiti per ogni occasione, il pranzo in mensa. L’aperitivo a fine giornata con i colleghi, i viaggi di lavoro. Un’economia, nemmeno tanto micro, che scomparirebbe con l’uso massiccio del tele-lavoro, basta pensare al mercato dei buoni pasto: con l’obiettivo di risparmiare sparirebbe. La scomparsa del lavoro fuori casa significa rischiare, nel medio periodo, la scomparsa di posti di lavoro. Il lavoro genera altro lavoro, è una banalità dirlo, ma è meglio ricordarselo in questo periodo.

Uno dei temi dei fautori dello smart working, che spesso diventano veri e propri fans, è il tema della produttività. Il leitmotiv è l’idea che il singolo conciliandosi con i suoi tempi, decidendo autonomamente quanto tempo dedicare al lavoro e quanto alle attività personali diventi maggiormente produttivo e orientato al risultato lavorativo. Questo è vero se, quanto sta accadendo in Italia, fosse un vero smart working. Invece, stiamo assistendo allo smantellamento del lavoro in sede (ufficio o laboratorio) non spostando il principio orario/salario su obiettivo/salario, ma semplicemente spostando l’attività a casa ampliando al massimo l’orario in cui sei a disposizione dell’azienda. Presi dal panico della crisi post Covid, la soluzione è quella di risparmiare sui costi di struttura e avere più tempo dei lavoratori a disposizione, il tutto condito con un richiamo al futuro del mondo del lavoro, ovviamente in inglese, smart.

Trovo incredibile come da questo dibattito sia del tutto scomparso il tema della creatività di cui ogni lavoro necessita. Anche il lavoro più burocratico e monotono, se fatto insieme fisicamente ad altri, restituisce ai lavoratori un senso di concretezza inimmaginabile se svolto al computer da solo a casa.

Il dialogo con i colleghi, soprattutto quello che avviene al di fuori della scrivania, è il momento dove la creatività viene esaltata a vantaggio di tutti. Siamo passati, senza pensarci troppo, dal coworking e dai loft agli spazi aperti di condivisione e alla corsa all’isolamento.

Il cuore pulsante del lavoro da casa è l’insieme delle piattaforme di videoconferenze. Abbiamo passato le nostre giornate durante la pandemia su zoom, entusiasmati dalla facilità di utilizzo, dal riuscire a cucinare durante una riunione, dal fare consigli di amministrazione dal letto e colloqui di lavoro dal bagno, abbiamo immaginato di chiudere uffici e di risolvere ogni attività di lavoro comune con una videoconferenza.

All’inizio era tutto così performante, tutti partecipavano dopo un dieci minuti di doveroso: “mi sentite? Io vi sento!”. Con il tempo, la tendenza è diventata quella di essere (tele) spettatori, mi collego spengo cam e microfono e forse ascolto. Quanti di noi terminata una sessione di lavoro in videoconferenza hanno percepito una sensazione di distacco dalla realtà, una sorta di malinconia che ti assale appena il monitor si spegne: sei improvvisamente da solo, ma lo eri anche prima seppur collegato con altri a loro volta soli nelle proprie case.

Il lavoro, che piaccia o meno, è il modo con cui le persone si realizzano e si identificano, spogliarlo del movimento e dell’interazione tra persone a favore di una presunta agilità informatica e casalinga significa mettere a rischio il senso profondo del lavorare.

Ben venga l’utilizzo delle tecnologie per lavorare da casa, ma solo se usate con parsimonia e quando realmente serve, come nel caso dell’emergenza Covid. Organizzare il lavoro di un azienda guardando alla modalità smart come sostitutiva significa anche mettere a rischio diritti e redditi dei lavoratori. L’obiettivo dell’impresa capitalista è quello di massimizzare i guadagni riducendo i costi. Lo smart working offre la soluzione su un piatto d’argento.

Sono stupito dalla richiesta dei sindacati di voler normare il lavoro da casa, rivendicando il diritto alla disconnessione. Dal momento in cui ti siedi ad un tavolo di trattativa sul tema, abiliti lo smart working al suo utilizzo al di fuori delle emergenze. Il diritto alla disconnessione verrà concesso in cambio di un riduzione del reddito. Il datore di lavoro rivendicherà nel giro di poco tempo che il lavoro da casa deve costare meno del lavoro in ufficio: l’obiettivo è il risparmio non la vita smart.

Ripensare il mondo del lavoro è doveroso per il post-Covid, ma senza atteggiamenti manichei ed emergenziali: utilizzare le nuove tecnologie per agevolare la vita delle persone non può andare a discapito dell’economia generale. Preferisco uscire di casa ed andare in ufficio consapevole del fatto che in questo modo la mensa aziendale non chiuderà e continuerà a offrire lavoro.


Andrea Laguardia, Resp.nazionale Settori Multiservizi, Ristorazione e Servizi Ambientali di Legacoop Produzione e Servizi”