La crisi innescata dalla pandemia avrà delle profonde ripercussioni sulla marginalità dei territori. I divari geografici, dove la competitività economica è condizionata sempre più dalle localizzazioni produttive, rendono necessario ripensare le politiche di filiera. Il territorio diventa il fulcro di interconnessioni tra diverse realtà organizzative. Non è più concepibile uno sviluppo inteso come sommatoria di attività industriali autosufficenti, concentrate principalmente sulla propria esistenza. L’economia atomistica sta cedendo il posto all’economia integrata, dove sono gli ecosistemi imprenditoriali a fare la differenza.
L’economia 4.0 è questo: l’emergere di ecosistemi formati da cluster industriali e distretti dell’innovazione. E’ una nuova logica imprenditoriale, che chiama in causa le forme di governance dei processi economici. L’idea di base è quella già espressa da Aristotele migliaia di anni fa: “Il tutto è superiore alla somma delle parti”. Un concetto forte, questo, sopratutto per un Paese come il nostro caratterizzato dal particolarismo imprenditoriale. La logica dell’ecosistema è quella della sinergia, dell’integrazione molecolare di tante organizzazioni inserite nella medesima catena del valore. Le agglomerazioni economiche 4.0 sono i luoghi dove si combinano attività strategiche finalizzate allo sviluppo, dove grandi e medie imprese convivono con piccole realtà produttive, col mondo delle istituzioni e degli organi di rappresentanza.
La comunanza d’azione contraddistingue le reti imprenditoriali di successo. Essa è l’essenza di un ecosistema: qualcosa che va oltre il semplice essere in relazione nella direzione dell’essere in comune. L’agire in comune è l’ethos della conduzione dei processi economici, anche in risposta alla crisi odierna. E’ possibile superare le crisi solo attraverso le “comunità di destino”, come le chiama il sociologo francese Edgard Morin. Si integrano le proprie energie per superare l’imprevedibilità e gli shock dei mutamenti economici. Qualsiasi risposta isolata al cambiamento, oggi, significa marginalità. E’ per tale ragione che le politiche perequative significano anche poter promuovere gli ecosistemi produttivi.
La politica economica attuale è in grado di affrontare le nuove sfide della competitività? Nel piano di rilancio presentato agli Stati Generali di Villa Panphili, in questi giorni, sono state presentate diverse proposte a favore degli ecosistemi industriali. Tra le principali ne possiamo individuare tre, riguardanti altrettanti ambiti dell’economia: i trasporti, gli incentivi fiscali e la ricerca. Si tratta della creazione di Smart districts, del rafforzamento delle Zes, ovvero le Zone economiche speciali e i Poli di innovazione tecnologici. Gli Smart discrict, distribuiti sul territorio, rappresentano delle interconnessioni tra i principali poli infrastrutturali esistenti (porti, aeroporti, grandi basi, arsenali e stabilimenti/poli manutentivi). Essi possono favorire la mobilità e i legami tra aree differenti, riducendo il grado di perifericità spaziale. Le Zone economiche speciali, invece, sono in grado di stimolare il reshoring, ovvero il ritorno di molte attività dislocate all’estero da molte imprese, con notevoli risvolti positivi sul fronte occupazionale e dell’attrazione di investimenti. I Poli di innovazione tecnologici, creando un sistema nazionale di open innovation, favorirebbero infine la diffusione della conoscenza tecnico-manageriale sul territorio, al fine di combattere il gap dei livelli di istruzione che spesso condannano molte aree alla marginalità.
Gli ecosistemi dello sviluppo svolgono un importante funzione di coesione territoriale. Essi riducono le condizioni di svantaggio che contraddistinguono le aree meno sviluppate, divenute interstiziali rispetto ai principali centri dove si sono concentrate risorse e ricchezza. Esistono diverse ricerche di sociologia economica che testimoniano un’elevata presenza di diseguaglianze territoriali. E’ una spirale che può spezzarsi attraverso la connessione tra attori interdipendenti, capaci di agire localmente e globalmente, attraverso legami multipli. In futuro sarà sempre più importante pensare aristotelicamente, scegliendo un approccio sistemico che privilegi la complessità alla linearità.