Lo specchio della pandemia: la necessità di un sistema più equo

La pandemia per l’Italia è stata una sorta di severo stress test che ha messo in luce i suoi punti di forza e quelli di debolezza. Mi limito a far riferimento ad uno degli esempi più citati, in questi mesi: abbiamo compreso una volta per tutte che è irrinunciabile disporre di una sanità pubblica funzionante, che sappia offrire servizi di analoga efficienza in tutte le aree del Paese. Abbiamo infatti apprezzato e riconosciuto l’abnegazione e la professionalità dei nostri medici e dei nostri operatori sanitari, i primi ad avere avuto il merito di arginare una situazione di emergenza che avrebbe potuto essere molto più dolorosa di quella, tragica, che ha causato tanti lutti e di cui a lungo sconteremo le conseguenze. Tanto l’abbiamo apprezzato che abbiamo smesso di darli per scontato, e ci rendiamo conto della necessità di investire per rafforzare e migliorare la sanità, ad esempio in uno dei “nodi” che, ove trascurato, ha consentito l’esplosione del contagio, ovvero la medicina del territorio.

Credo che lo stesso approccio – pandemia come fattore rivelatore – si possa adottare per quella che è, in linea generale, la condizione dei più deboli del nostro Paese. Funziona il nostro sistema di protezione, o invece ha bisogno di una profonda revisione? I dati Istat recentemente diffusi ci confermano quanto già sapevamo (e quanto ovviamente sa bene chi soffre), cioè che l’Italia è un Paese profondamente diseguale.

Nella tragica conta dei decessi l’Istat ci dice che a pagare il prezzo più alto sono stati i meno abbienti e istruiti; in particolare a marzo, il mese più difficile, nelle aree a maggiore diffusione dell’epidemia. E’ più alta infatti la probabilità che i meno istruiti siano anche quelli più esposti a patologie come il diabete e l’obesità, che quindi rischiano maggiormente di rimanere vittime del virus; che vivano in abitazioni più piccole, e che quindi abbiano difficoltà a mettere in atto l’isolamento e le quarantena; che lavorino in settori dove non è stato possibile l’impiego a distanza. Fa impressione che non si parli solo di anziani: restando al mese di marzo, e alla categoria delle donne di età compresa tra i 35 e i 64 anni, con basso tasso di istruzione, si è registrato al Nord un aumento dei decessi del 28%.

Passando alla fase successiva alla prima emergenza, e analizzando i tassi di occupazione, si scopre che per coloro che hanno tra i 25 e i 34 anni il tasso è inferiore di dieci punti rispetto al periodo che ha seguito la grande crisi del 2008. In questo caso, è facile dedurre, pagano dazio i precari.

Istruzione: nel Paese il 12% dei bambini non ha accesso a un pc o almeno a un tablet, e quindi ha avuto serie difficoltà ad avvalersi della didattica a distanza. Ma, attenzione, questa percentuale al Sud sale al 20%, e se poi la famiglia di provenienza oltre a risiedere nel Mezzogiorno è povera, si arriva al 30.

Sia che lo si legga dal punto di vista dell’istruzione, che della qualità del lavoro, del divario tecnologico o dell’area geografica, appare chiaro che esiste un messaggio chiaro che ci arriva dal coronavirus o, per essere più precisi, dalla crisi che ha scatenato. Nel nostro Paese sopravvivono fortissime diseguaglianze, e una crisi così travolgente le ha accentuate e ha drammaticamente influenzato le condizioni di ciascuno. Chi era più debole, ne è uscito ancora più debole, quando non ne è rimasto vittima. Il divario si è quindi ulteriormente ampliato.

A ridosso di quello che appare come il consesso decisivo per la costruzione di uno strumento efficace di livello europeo, di sostegno finanziario ai Paesi più colpiti dalla crisi (il nostro è in testa), quando una parte significativa del dibattito e della trattativa è concentrata sui tempi di erogazione delle risorse, credo sia fondamentale che il Partito Democratico assuma un ruolo di forte iniziativa per mettere a fuoco che la capacità delle nostre società e dei nostri sistemi di ripartire dipende anche dalla costruzione di meccanismi di ripartizione delle risorse e delle azioni che siano più equi, che sappiano cioè prendersi cura in modo più efficace dei più deboli, di qualsiasi debolezza si parli.