Europa, un accordo che fa la storia

Il vertice più lungo della storia dell’Unione, 90 ore, per dire a tutto il mondo e ai singoli stati membri, che l’Europa c’è. E, per dirla con le parole del commissario Paolo Gentiloni, è riuscita a portare a casa “la più importante decisione economica dall’introduzione dell’euro”. Se si pensa alle condizioni in cui il summit era iniziato, ormai cinque giorni fa – per non parlare del dibattito interno sulle questioni economiche di qualche mese fa – non è esagerato parlare di un capolavoro politico.

E’ stato difficile, ma è fatta dunque. L’intesa raggiunta al vertice europeo sul Recovery Fund ed il Bilancio Ue 2021-2027 è il sintomo che “l’Europa è solida, è unita”, ha esultato il presidente del Consiglio europeo Charles Michel. All’Italia l’intesa porta in dote la somma di 209 miliardi. Il premier Giuseppe Conte è riuscito a strappare un piatto ancora più ricco (82 miliardi di sussidi e 127 di prestiti) rispetto alla proposta della Commissione di maggio, che destinava al nostro Paese 173 miliardi (82 di aiuti e 91 di prestiti). “Avremo una grande responsabilità: con 209 miliardi abbiamo la possibilità di far ripartire l’Italia con forza e cambiare volto al Paese. Ora dobbiamo correre”, ha commentato molto soddisfatto il presidente del Consiglio, rimarcando di aver conseguito questo risultato “tutelando la dignità del nostro Paese”.

Il presidente francese Emmanuel Macron e la presidente della commissione Ursula Von der Leyen hanno parlato di “giornata storica per l’Ue”, che per la prima volta mette in comune il suo debito per rafforzarsi e reagire alla crisi seminata dal Covid-19. Un “ottimo segnale” per Angela Merkel, il cui cambio di posizione rispetto a qualche mese fa è stato decisivo per la buona riuscita dell’accordo.

L’annuncio dell’intesa è arrivato intorno alle 5.30 del mattino, dopo che i leader hanno trascorso ore e ore a ricontrollare tutti i documenti concordati. L’ultimo tema più controverso – il rispetto della condizionalità sullo stato di diritto, a cui i Paesi di Visegrad erano particolarmente sensibili – invece, è stato risolto per acclamazione contraddicendo le più fosche previsioni. La soluzione è stata individuata dopo un meticoloso lavoro di cucitura, a piccoli gruppi, svoltosi nella giornata di lunedì, per modificare la proposta presentata sabato.

Un punto fermo sulla madre di tutte le battaglie, il Recovery Fund, era già stato messo nel pomeriggio di ieri. La dotazione complessiva del piano per sostenere i Paesi più colpiti dal passaggio del Covid-19 è rimasto fissato a 750 miliardi. E dopo varie oscillazioni (da 500 a 450, a 400) l’asticella della quota di sussidi si è fermata a 390 miliardi di euro, con la Resilience e Recovery Facility, il cuore del Fondo per il rilancio economico, allocato direttamente ai Paesi secondo una precisa chiave di ripartizione, a 312,5 miliardi. La sforbiciata ha ridotto invece i trasferimenti spacchettati tra i programmi, 77,5 miliardi (rispetto ai 190 mld pensati dalla Commissione). In particolare, è stata azzerata la dotazione di Eu4Healt, il nuovo programma europeo per la sanità.

A farne pesantemente le spese, anche il Just Transition Fund e il Fondo agricolo per lo sviluppo rurale. Il bilancio europeo 2021-2027 è rimasto a 1.074 miliardi di impegni. Ma sono stati accontentati i cosiddetti Paesi Frugali – capeggiati nella trattativa dal premier olandese Mark Rutte – con succulenti rebate, i rimborsi introdotti per la prima volta su richiesta del Regno Unito ai tempi di Margaret Thatcher, che con la Brexit molti leader Ue avrebbero voluto cancellare. In alcuni casi sono stati raddoppiati. Alla Danimarca sono andati 322 milioni annui di rimborsi (rispetto ai 222 milioni della proposta di sabato); all’Olanda 1,921 miliardi (da 1,576 miliardi); all’Austria 565 milioni (da 287), e alla Svezia 1,069 miliardi (da 823 milioni).

Risolta anche la spinosa questione della governance sull’attuazione delle riforme dei piani nazionali che dovranno essere presentati dai Paesi per avvalersi delle risorse. La chiave di volta è stato un super-freno di emergenza emendato, oggetto di un negoziato durissimo tra Conte e Rutte durato fino all’ultimo minuto, del quale il coriaceo olandese alla fine si dice soddisfatto. In sostanza, i piani presentati dagli Stati membri saranno approvati dal Consiglio a maggioranza qualificata, in base alle proposte presentate dalla Commissione. La valutazione sul rispetto delle tabelle di marcia e degli obiettivi fissati per l’attuazione dei piani nazionali sarà affidata al Comitato economico e finanziario (Cef), gli sherpa dei ministri delle Finanze.

Se in questa sede, “in via eccezionale”, qualche Paese riterrà che ci siano problemi, potrà chiedere che la questione finisca sul tavolo del Consiglio Europeo prima che venga presa qualsiasi decisione.

Molto soddisfatto per l’esito della trattativa il ministro per gli Affari Europei Enzo Amendola: “Egoismi e veti stavano mettendo a rischio il futuro dell’Europa, ma l’Italia è stata determinata. Ora tocca a noi, alla nostra capacità di impiegare queste risorse con serietà, rigore ed efficacia. Non abbiamo più scuse, non possiamo più aspettare. Riformeremo il nostro Paese e daremo una nuova speranza all’UE dopo la grave crisi di questi mesi”.