Una rivoluzione culturale per combattere il divario retributivo di genere

Smettiamo di pensare che il divario retributivo tra uomini e donne sia un problema solo delle donne, perché è ormai chiaro che sia un tema chiave per lo sviluppo economico.

Non sono quindi più sufficienti provvedimenti estemporanei, ma sono urgenti e necessari interventi a sistema, coordinati tra tutti i livelli istituzionali, come il Partito Democratico ha negli ultimi mesi sollecitato, perché sia raggiunta la parità retributiva e per la piena valorizzazione delle donne nel mercato del lavoro.

In Italia il divario retributivo di genere complessivo, cioè la differenza tra salario annuale medio percepito dalle donne e dagli uomini, è molto alto perché somma tre fattori negativi: basso tasso di occupazione femminile, meno ore di lavoro retribuito, stipendi inferiori. Questo perché le donne hanno percorsi lavorativi e carriere discontinui, spesso a causa di impegni familiari di cura, contratti  e forme di lavoro precari, e perché sono occupate più di frequente a part-time e in settori con retribuzioni più basse. 

Per Regione Lombardia, la regione in Italia con il maggior numero di donne occupate dove comunque persiste una significativo differenza, ho proposto un Progetto di Legge per la parità retributiva, scaturito da un percorso partecipato con istituzioni, accademia, associazioni datoriali e organizzazioni sindacali, che hanno contribuito a modulare azioni concrete per superare il divario.

Azioni articolate in diverse linee di intervento per l’emersione del fenomeno, per il potenziamento della formazione STEM delle ragazze, a sostegno di Enti Locali e reti di imprese che promuovano la parità di genere, completate dall’introduzione di finanziamenti integrativi alla contribuzione previdenziale, alla formazione e all’aggiornamento. Infine si raccomanda l’istituzione di un Tavolo di lavoro permanente, partecipato da Regione Lombardia con tutti gli stakeholder, per sviluppare azioni di monitoraggio, verifica e promozione.

La soluzione del divario retributivo sta nell’azione coordinata di più livelli istituzionali, che devono attivarsi sia sull’adeguamento normativo, sia nella promozione di un costante confronto con le associazioni datoriali e le organizzazioni sindacali.

Questa azione coordinata non può prescindere dall’adesione e promozione di un cambiamento culturale.

Cambiamento culturale, che superando lo stereotipo della donna come soggetto ‘naturalmente’ preposto a occuparsi della cura di casa e famiglia, promuova una visione fondata più che sulla conciliazione – interpretata ancora come risposta ai bisogni delle sole donne – sulla ‘condivisione’, delle responsabilità di cura, delle decisioni, e del potere.

Se il Gap persiste è perché non ci sono ancora norme sufficientemente efficaci e perché le prassi non agiscono in profondità sulla riduzione del divario, migliorando la condizione reddituale femminile. Condizione palesemente disuguale per le donne in tutto il loro percorso nel mondo del lavoro: in entrata, nel mentre e anche in uscita, contribuendo al persistente divario pensionistico.

Incidono sul divario retributivo non solo le norme, ma anche la cultura d’impresa e del lavoro: da una parte le imprese dovrebbero orientare verso un’equità di genere le politiche salariali, l’organizzazione dei tempi del lavoro, le premialità, i servizi complementari, il welfare aziendale, dall’altra anche le parti sociali dovrebbero avere la riduzione del divario tra gli obiettivi prioritari della contrattazione collettiva.

A livello nazionale è ovviamente indispensabile che il Governo intervenga a sistema per promuovere l’occupazione femminile e la parità retributiva, insieme a un piano articolato di potenziamento dei servizi di welfare diffuso sul territorio, recependo le direttive europee in materia, e allo stesso tempo è fondamentale che il Parlamento monitori l’efficacia della legislazione attuale e la aggiorni, cominciando ad approvare le proposte di legge in materia, avanzate di recente, che sollecitano una maggiore trasparenza da parte delle imprese, e una revisione in senso paritario degli strumenti di conciliazione, quali i congedi parentali e genitoriali.

Il contrasto al divario retributivo di genere, riguarda tutta la Politica: è una questione di diritti e di lavoro, del diritto del 50% della popolazione di questo Paese ad avere una piena e buona occupazione, senza fardelli e senza disuguaglianze.

È questione di futuro, di cultura e formazione.

E di rivoluzione perché se vogliamo cambiare questa società, tutti dobbiamo sentirci coinvolti in quella che è una vera e propria rivoluzione culturale di cui il Partito Democratico deve essere il motore del cambiamento, in primo luogo attraverso l’azione della Conferenza Nazionale delle Donne Democratiche, che ha la grande opportunità di coinvolgere nella sfida paritaria l’intera comunità del partito, elette ed eletti, dirigenza e militanza, elettrici e elettori.


Paola Bocci è consigliera del Pd in Regione Lombardia