Nei giorni scorsi l’Istituto Superiore per la Protezione Ambientale e SNPA hanno presentato il rapporto sul consumo di suolo. La tendenza di un Paese che continua inesorabilmente a consumare il proprio territorio, spesso in modo irreversibile, è purtroppo confermata.
I dati attestano addirittura un incremento di consumo di suolo rispetto al trend del 2018, con una velocità pari a 16 ettari al giorno (rispetto ai 14 ha precedentemente registrati), ovvero circa 2 metri quadrati al secondo, ed una voracità che continua ad intaccare in modo consistente tutte le aree vincolate, zone a pericolosità sismica media ed elevata (+2184 ettari nell’ultimo anno), aree protette (+61,5 ettari nell’ultimo anno, ma fortunatamente in netto calo rispetto allo scorso anno), aree sottoposte a vincolo paesaggistico (+1.086 ettari), aree a pericolosità idraulica media (+621 ettari) e aree a pericolosità da frana (+310 ettari). Il fenomeno evidenzia un incrudimento delle pratiche se si guarda al fatto che 8,6 km2 sono passati, nell’ultimo anno, da suolo consumato reversibile a suolo consumato permanente, sigillando ulteriormente il territorio.
Tra le regioni, la densità del consumo di suolo è più alta si conferma ancora in Veneto (4,28 m2 /ha), in Puglia (3,23 m2 /ha), seguite poi da Lombardia (2,69 m2 /ha) e Sicilia (2,38 m2 /ha).
Il fatto che il Paese continui a consumare suolo non è naturalmente sintomo di una follia diffusa tra amministratori e operatori. E’ il modello che lo incoraggia: gli strumenti in vigore, a cominciare da quelli urbanistici, sono quelli realizzati in un’epoca in cui le esigenze erano diverse da quelle di oggi.
Un’epoca in cui il Paese doveva ricostruirsi, in cui la popolazione tendeva, inseguendo il benessere, a spostarsi dalle campagne alle città e in cui queste avevano bisogno di espandersi per accogliere i nuovi abitanti. La predisposizione della legislazione e degli strumenti ha assecondato questa tendenza. E’ più conveniente – per le imprese, per le amministrazioni comunali, per gli abitanti – allora come oggi, realizzare “nuovo” su suoli liberi. Riqualificare è più costoso, e meno attraente.
E’ da tempo che la nostra associazione TES (Transizione Ecologica Solidale) promuove l’urgenza di un cambio di paradigma. Riteniamo che l’esigenza di affermare un nuovo modello di produzione e sviluppo, che alla sostenibilità accompagni la tutela dei più deboli, vada affermato anche per quanto riguarda il governo dello sviluppo delle città e dei territori. Occorre una nuova idea, che all’espansione e alla rincorsa del “nuovo” sostituisca la riqualificazione dell’esistente e il contrasto al cambiamento climatico.
Il primo passo, riteniamo, è una legge quadro nazionale, che abbiamo promosso attraverso il ciclo di incontri sui territori “Zeroismore”, curato da Ludovica Marinaro: una legge di principi, capace di fissare un linguaggio comune, condiviso, e le condizioni per creare nuove economie a sostegno del nuovo sviluppo.
I dati del rapporto ISPRA 2019 non sono che uno dei drammatici testimoni del fallimento e della cecità delle politiche di tutela del territorio e del paesaggio basate unicamente su un regime vincolistico e sanzionatorio come strumento di controllo e gestione. La conservazione intesa come immobilismo è un’utopia stolta. Tutelare significa prioritariamente “prendersi cura”, presiedere ad un processo necessariamente dinamico di evoluzione del territorio e del paesaggio tramandandone i valori, aumentandone il potenziale. Ecco dunque che nel disegno di legge che TES ha contribuito a formulare nel primo anno della sua attività (2018), lo stop al consumo di suolo si associa inevitabilmente ad un processo consistente di rigenerazione urbana.
E’ significativo che dalla nascita di TES i propositi e gli obiettivi dell’associazione siano stati resi più raggiungibili e concreti in primo luogo dalla scelta dell’Unione europea di puntare, attraverso il Green new deal, sulla riconversione graduale del modello di sviluppo dell’economia, e che successivamente, a seguito della pandemia, la reazione finanziaria della stessa Ue appaia ancorata alla promozione di azioni e provvedimenti che nei singoli Stati beneficiari degli aiuti promuovano la sostenibilità.
E’ significativo perché riteniamo che al necessario descritto cambiamento in sede legislativa dovranno affiancarsi adeguate dotazioni finanziarie per rendere la rigenerazione ancora più conveniente dal punto di vista economico. L’ecobonus al 110 per cento per la riqualificazione energetica degli edifici promosso dal governo è un primo, promettente passo: sarà fondamentale assicurarne l’effettiva realizzabilità in sede di interventi (quindi è fondamentale che le norme di attuazione siano di facile lettura e traduzione pratica) e anche, in una fase successiva, studiarne il salto di qualità, da incentivo fiscale affidato alla lungimiranza del singolo a strumento utile per riqualificare, magari con il concorso delle amministrazioni, parti di città.
Michele Fina, Direttore TES e segretario regionale del Partito Democratico abruzzese