Un piano nazionale straordinario per l’occupazione

Creare lavoro, contrastare la disoccupazione di massa, sarà, insieme con l’emergenza sanitaria che ci auguriamo possa prima o poi essere superata definitivamente, la vera urgenza per il nostro paese.

Il calo delle ore lavorate secondo l’Ocse in Italia, nei primi tre mesi della crisi, è stato del 28%, mentre le domande per la Naspi sono aumentate del 40% rispetto allo stesso periodo del 2019. Quando prima o poi avremo la fine del blocco dei licenziamenti, il problema esploderà in tutte le sue dimensioni. I primi a pagarne le conseguenze saranno giovani e donne, ma riguarderà anche le fasce più adulte del mercato del lavoro. Sempre secondo l’Ocse entro fine 2020 avremo livelli record di disoccupazione nelle economie occidentali raggiungendo il tasso del 9,4% ed in Italia raggiungeremo il 12,4%, cancellando quattro anni di miglioramenti. Entro la fine del 2021, nella migliore delle ipotesi, senza nuove ondate di epidemia, scenderà all’11%. Eppure, il dibattito sulle soluzioni possibili per creare occupazione segna il passo, e ciò a mio avviso può essere spiegato in due modi. Si ritiene che non ci sia niente da fare oppure troppo ottimisticamente si ritiene che, superata la crisi sanitaria, l’economia tornerà a crescere come prima e con essa l’occupazione. In entrami i casi, c’è un errore di analisi.  Non sappiamo esattamente quanti anni ci serviranno per uscire dalla pandemia a livello globale e quanto tempo occorrerà all’economia mondiale per assorbire lo shock. L’economia, almeno quella europea ed italiana, prima del covid19 non cresceva affatto, anzi eravamo in piena fase di stagnazione deflattiva: infatti, non siamo solo dentro la peggiore crisi economica mondiale dal dopoguerra, ma essa si cumula alla seconda crisi più grave dal dopoguerra, senza che ne fossimo usciti.

Perché serve un piano pubblico

Non è, altresì, vero che la politica non può fare nulla. È anzi verosimile ritenere che di fronte ad una depressione economica globale, causato da una contrazione drammatica della domanda, solo un robusto intervento pubblico, sul modello del New Deal rooseveltiano, può determinare nel breve periodo, e non nel lungo quando per dirla con Keynes “saremo tutti morti”, una ripresa dei livelli occupazionali. Si tratta di impedire l’esplosione di una “bomba” sociale, che ridarebbe fiato alle destre populiste, e soprattutto sarebbe pericolosa per la tenuta delle democrazie.

Tra l’”assistenzialismo” dei bonus e del Rdc e l’idea velleitaria di affidarsi alle magnifiche e progressive sorti del mercato, esiste una via inesplorata e che è invece la sola che realisticamente si può percorrere in queste condizioni. Sia la mano pubblica a creare lavoro, sia sostenendo le imprese e sia direttamente, attraverso l’intervento dello Stato e delle istituzioni pubbliche. L’altra strada, quella di incentivare fiscalmente le imprese in modo generalizzato, sarebbe inadeguata, perché è evidente che non basta incentivare l’offerta quando hai invece il problema della mancanza di domanda. Altro sarebbe invece puntare ad incentivi fiscali mirati, rivolti alle imprese che investono ed innovano, ma dentro un programma più ampio di investimenti pubblici a sostegno dell’occupazione e della domanda. Sconsiglierei invece di seguire la vecchia via ripetutamente battuta degli sgravi contributivi finalizzati alle assunzioni, magari concentrati nel sud, che non hanno mai fatto crescere più di tanto i tassi di occupazione. Ricordiamo che il governo Renzi nel 2015-2018 varò un programma robusto di sgravi, pari a circa 18 miliardi nel triennio, al termine del quale l’aumento del tasso di occupazione, piuttosto modesto, fu in gran parte dovuto alla crescita dei contratti precari, poiché le imprese alla fine del programma di sgravi licenziarono quasi la metà dei nuovi assunti e tornarono ad utilizzare i contratti a termine.

Servirebbe invece riscoprire e attualizzare, nel contesto odierno dell’economia ai tempi del covid, l’intuizione di Luciano Gallino di un piano nazionale straordinario per l’occupazione* finalizzato alla green economy, idea rimasta purtroppo fino ad oggi inascoltata, se non dalla Cgil che provò, a sua volta inascoltata, a fare sua quella ispirazione elaborando una sua proposta di piano, finalizzata all’occupazione di giovani e donne, durante il governo Renzi.**

La proposta

Provo qui a indicare alcune linee generali di un piano di questo tipo (prendendo a riferimento le proposte prima citate).

  1. Il piano nazionale straordinario per l’occupazione dovrebbe andare di pari passo ad un programma poderoso di investimenti pubblici e di politica industriale, quale quello che il Pd ha già avanzato, finanziato ovviamente dal Recovery Plan.
  • Il piano dovrebbe ovviamente consistere anche in un vasto programma di formazione professionale continua e permanente (quindi lo potremmo ribattezzare piano nazionale straordinario per l’occupazione e la formazione), per formare milioni di giovani e per riqualificare lavoratori adulti espulsi dal ciclo produttivo.
  • Il piano dovrebbe comprendere anche una svolta decisiva nelle politiche attive del lavoro, con un programma vasto di assunzioni a tempo indeterminato di personale formato che ci porti ai livelli degli altri grandi paesi europei (in cui abbiamo un orientatore ogni 40 disoccupati, in Italia uno ogni 400!). Portare i nostri servizi per l’impiego, anche nel sud, ai livelli europei sarebbe molto più efficace per contrastare la disoccupazione giovanile di qualsivoglia programma di sgravi contributivi per le assunzioni.
  • Del piano farebbe parte anche un programma di assunzioni di giovani nella pubblica amministrazione, potenziando quello che il governo sta già mettendo in cantiere, finalizzato alla sua modernizzazione, fino a 100 mila nuove assunzioni nel triennio, di cui almeno il 50% giovani e donne.
  • Assunzione di almeno 20 mila ricercatori con contratti a tempo indeterminato, di cui almeno il 50% giovani e donne, nei settori delle energie rinnovabili e dell’economia circolare.
  • Assunzione di almeno 300 mila persone con contratti straordinari di 3 anni + 3 (che danno diritto a crediti formativi e titoli per concorsi pubblici successivi) nei settori della prevenzione antisismica, manutenzione del territorio e bonifiche, cura delle coste e delle spiagge, cura sociale, formazione, rigenerazione urbana.
  •  Assunzione con contratti triennali (che danno diritto a crediti formativi e titoli per concorsi pubblici successivi) di 100 mila persone nei settori dei beni culturali ed archeologici, economia digitale, insegnamento della lingua italiana ai migranti.
  • 60 mila occupati in nuove cooperative, composte per almeno il 50% da giovani, donne e disoccupati di lungo periodo, con sostegni a fondo perduto, facilitazioni amministrative e di accesso al credito, nei settori dell’agricoltura biologica, agriturismo, produzione culturale, tutela del territorio e della forestazione, assistenza familiare.
  • 20 mila occupati in nuove imprese giovanili con facilitazioni amministrative e di accesso al credito, sostegni a fondo perduto, nei settori del risparmio ed efficienza energetici, innovazione tecnologica, housing sociale.
  •  Le risorse di questo piano dovrebbero essere destinate in quota maggioritaria al mezzogiorno e alle aree interne, stabilendo come criterio di ripartizione i livelli di disoccupazione giovanile, femminile e strutturale.
  • Il piano dovrebbe essere coordinato e monitorato da un’Agenzia nazionale e realizzato dalle regioni e dagli enti territoriali, con la costituzione di cabine di regia con il coinvolgimento delle parti sociali.

Il quadro economico della proposta

Il piano, con un impegno di spesa pubblica nel triennio di circa 30 miliardi di euro per 520 mila posti di lavoro nel pubblico e 80 mila nel privato,  potrebbe generare un crescita complessiva di circa 1,4 milioni di occupati in più, compresi quelli che si generebbero indirettamente, determinare  un  tasso di disoccupazione più che dimezzato al 5%,  ed una crescita del Pil cumula di circa 5,7 punti di Pil reale, nonché una riduzione del debito pubblico, sia per la nuova crescita nominale del Pil e sia per le entrate tributarie aggiuntive, nonché un aumento sensibile dei redditi famigliari e una riduzione delle diseguaglianze sociali e territoriali.

Come finanziare il piano? Ovviamente con il Recovery Plan e i fondi della nuova programmazione europea, per una quota importante; con i risparmi che si potrebbero ottenere sul Rdc e sulla cassa integrazione; con la revisione degli sgravi contributivi e fiscali alle imprese; nonché con un contributo da parte delle grandi ricchezze a cui forse non è eresia chiedere in un simile contesto di farsi carico della solidarietà generale verso il paese. Altre risorse potrebbero venire dal coinvolgimento di Cassa depositi e prestiti, Fondazioni, sistema bilaterale (enti bilaterali, scuole edili, ecc.).

Nell’attuazione del Piano dovrebbe esserci inoltre un coinvolgimento oltre che dei sindacati e delle associazioni di imprese, del terzo settore, delle associazioni culturali e ambientaliste, delle associazioni professionali, del mondo della ricerca e dell’università.

Naturalmente, possono esserci altre proposte diverse da questa, più efficaci, ma credo sia difficile immaginare in un contesto di depressione economica mondiale, dovuta ad uno shock della domanda, soluzioni che non prevedano un ruolo diretto dell’intervento pubblico.

Ciò che è certo è che creare lavoro e avanzare una politica incisiva per l’occupazione di giovani, donne e disoccupati di lunga durata non può che essere la priorità per il governo, ed il Pd ha il dovere di promuovere su questo una sua proposta.


Andrea Catena è Resp. Centro studi per la Rinascita del Pd Abruzzo /Resp. Nazionale aree montane del Pd

*Un’agenzia per l’occupazione, obiettivo un milione di posti pubblici”, L.Gallino, Il Manifesto 29/04/2012

**https://www.rassegna.it/articoli/tutti-al-lavoro-la-proposta-della-cgil