Le ultime settimane sono state quelle decisive per l’emanazione da parte dei Ministeri e degli uffici competenti delle regole e delle indicazioni tecniche per l’attuazione del cosiddetto superbonus: gli incentivi fiscali per la riqualificazione energetica e l’adeguamento sismico delle abitazioni private. Si tratta di una quota che arriverà, per chi ne farà uso, a rimborsare una cifra addirittura superiore al costo dell’intervento, pari al 110 per cento, a patto che siano rispettate alcune condizioni, tra cui le soglie di costo e l’effettivo, certificato miglioramento dell’efficienza energetica e/o della condizione antisismica dell’immobile.
Lo strumento è pressoché pronto per essere utilizzato, e le aspettative sono elevate. Non può che essere così. Una serie di ragioni induce a ritenere che il superbonus si possa rivelare un incentivo potente, con il pregio di mettere assieme più livelli. Tra questi gli effetti sull’economia reale, in particolare nel settore dell’edilizia. Per avere un’idea degli impatti, si possono prendere a riferimento gli effetti degli incentivi fiscali per il recupero edilizio e la riqualificazione energetica delle abitazioni che hanno interessato il nostro Paese dal 1998 al 2019 (i dati sono stati diffusi dal Cresme alla fine dello scorso anno), con un’intensità crescente: le ultime versioni arrivavano al 50 per cento per il recupero, e il 65 per la riqualificazione energetica. Sono stati innescati oltre 19 milioni di interventi e 322 miliardi di euro di investimenti. Relativamente al 2018, l’ultimo anno in cui i dati sono completi, si parla di oltre 28 miliardi di investimenti. Rilevante l’effetto sull’occupazione: nel 2019 la stima è di 432mila occupati, di cui 288mila diretti. Per il periodo 2011 – 2019 di oltre 2,3 milioni di occupati diretti nel settore del recupero edilizio e della riqualificazione energetica e oltre 1,1 milioni di occupati indiretti nelle industrie e nei servizi collegati.
I numeri sono importanti, ed è lecito aspettarsi moltissimo di più dal superbonus: sia perché l’incentivazione fiscale è maggiore, sia perché esso comprende anche un tipo di intervento aggiuntivo rispetto a quelli misurati dal Cresme, ovvero l’adeguamento sismico, anche in questo caso particolarmente importante in un Paese come il nostro, in cui una porzione rilevante di territorio è ad elevato rischio sismico. Si arriva così a mettere in evidenza un beneficio ulteriore rispetto a quelli misurati dal Cresme, ovvero lo svecchiamento del patrimonio edilizio italiano (che ne ha generalmente molto bisogno), che comporta maggiore efficienza energetica e sicurezza antisismica, risparmi in bolletta (di fatto, quindi, un sostegno al reddito delle famiglie), miglioramento estetico degli edifici. Il superbonus è di fatto un importante passo sulla strada della transizione a un nuovo modello di produzione e sviluppo, che si dovrà fondare sulla dimensione del recupero e del riuso piuttosto che del consumo.
Per questo il superbonus va collegato al piano nazionale che dovrà essere messo a punto per ottenere le risorse del Recovery Fund: è pienamente coerente, con i suoi obiettivi di sostenibilità, alla filosofia con cui è stato predisposto il nuovo strumento europeo. I fondi che arriveranno dall’Europa da un lato potranno servirne a prorogarne la durata (attualmente il superbonus scade nel 2021) e dall’altro a renderlo una misura cardine, strutturale, che alle iniziative dei singoli cittadini sappia ad esempio unire il contributo di programmazione e intervento delle amministrazioni pubbliche. In un quadro coerente. Per questo, l’approvazione di una legge che limiti a livello nazionale il consumo di suolo per incentivare la rigenerazione urbana non può più attendere.
Michele Fina è Direttore TES e segretario regionale del Partito Democratico abruzzese