L’Europa ovviamente, con il cambio di passo rappresentato dal Recovery Fund e dalle scelte compiute per rispondere alla crisi del Covid, ma anche un’incursione nella politica interna, con le elezioni regionali alle porte e l’invito ai cittadini chiamati al voto tra qualche settimana a “non allontanarsi dall’Europa, perché sarebbe un danno per tutto il Paese”. È a tutto campo il colloquio con il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, intervenuto ieri alla Festa nazionale dell’unità di Modena.
La prima domanda, d’obbligo, è sulla sua candidatura a sindaco di Roma, di cui si parla insistentemente.
Ringrazio chi ha pensato al mio nome, ma ho iniziato un anno fa una importante battaglia per cambiare l’Europa e per renderla più forte, un lavoro che è appena agli inizi e che è impensabile venga interrotto adesso. Inoltre non sarebbe una scelta rispettosa dell’istituzione che rappresento, l’Europa non è un autobus su cui si sale e alla prima fermata si scende. Per queste ragioni una candidatura per un ruolo diverso sarebbe improponibile e rappresenterebbe una sconfitta.
Torniamo all’Europa e alla risposta eccezionale che ha dato di fronte all’emergenza Covid, che per l’Italia ha significato i 209 miliardi del Recovery Fund.
Quello che è accaduto è che l’Europa ha capito che tutto quello che dobbiamo affrontare, a partire dalla crisi del Covid ma non solo, non possiamo affrontarlo da soli. È un risultato costruito in un anno di lavoro, in cui abbiamo messo al sicuro le istituzioni europee, anche grazie all’apporto fondamentale del Partito democratico. Un assetto politico che andava nella direzione giusta e che ci ha consentito di affrontare un po’ meglio una crisi difficilissima. Mi ricordo della mattina in cui la presidente Von Der Leyen mi avvertì che avrebbe chiuso lo spazio europeo. Ci fu un momento di angoscia per tutti. Ci siamo resi conto pian piano che i punti di vista dovevano necessariamente convergere sempre di più, e così sono arrivati i primi strumenti, come ad esempio l’allentamento del Patto di stabilità e crescita, deciso in poche ore dopo che lo chiedevamo da anni. E poi l’idea di ragionare su un grande piano di rilancio che fosse una possibilità per accompagnare in modo particolare i Paesi più colpiti, e questo solo fino a qualche mese prima sarebbe stato impossibile.
Durante le trattative per il Recovery Fund se ne sono sentite tante sull’Italia, soprattutto dai Paesi cosiddetti ‘frugali’. Qualcosa è cambiato nei nostri confronti?
È vero che abbiamo passato mesi di discussioni anche aspre, ma è bene ricordare che alla fine sull’accordo c’è stata l’unanimità. Questo è accaduto perché con il passare dei giorni tutti si sono accorti della profondità della crisi anche a casa loro. Ricordo quando alcuni Paesi guardavano all’Italia pensando che a loro non sarebbe capitata la stessa cosa, e poi l’Olanda in poco tempo ha finito i posti in terapia intensiva. Tutto questo ha contribuito al risultato, perché si è capito che gli effetti di avvenimenti così sconvolgenti devono vedere un’Europa unita. Oggi, l’Italia è vista come il Paese che può consentire la ripresa, perché se l’industria tedesca vuole ripartire ha bisogno della componentistica italiana.
Intanto le destre ogni giorno di più si intestano la battaglia del negazionismo. Tutto questo la preoccupa?
Mi preoccupa moltissimo. Ma abbiamo uno strumento per sconfiggere questa tendenza, e cioè fare in modo che i risultati arrivino e che incidano sulla vita dei cittadini. Adesso sta ai governi nazionali raccogliere la sfida, gli Stati membri devono essere molto concentrati perché adesso tocca a loro, ad esempio ratificando in fretta alcuni strumenti necessari per il Recovery Fund. Abbiamo bisogno di maggioranze convinte di questo processo e che agiscano in fretta. Per questo a chi scommette sull’instabilità dico che adesso è indispensabile uno sguardo concreto. Non è un atteggiamento che mi aspetto dalla destra sovranista, ma da tutti gli altri sì.
Secondo lei l’Italia deve prendere i soldi del Mes?
Ho sempre detto che il Mes come è stato concepito è uno strumento senza condizionalità che può essere usato per rafforzare la sanità pubblica, ad esempio nei luoghi privi di presidi efficaci come i distretti industriali o le università. Ma in questo momento fare riferimento al Mes è un po’ marginale per le possibilità di investimento aperte con il Recovery Fund, anche sulla sanità. In questo momento non mi concentrerei sul Mes, ma sui piani e sulla capacità di investire ad esempio in infrastrutture e nel Mezzogiorno. Ma resta valida la filosofia di fondo, e cioè un’Europa che ha smesso di imporre il proprio punto di vista e che invece ha messo a disposizione delle possibilità, con il Mes ma anche con lo Sure per la cassa integrazione, senza imporre nulla.
Come si pone rispetto al dibattito sul referendum costituzionale?
Non posso dire quale sia il mio orientamento per un motivo molto semplice: i cittadini sono chiamati a votare una proposta che arriva dal Parlamento, e sarebbe scorretto da parte mia commentare o censurare una proposta che arriva da un Parlamento nazionale. Credo abbia fatto bene Nicola Zingaretti a dire che deve esserci un impegno sulla legge elettorale, perché l’autorevolezza di un Parlamento non si misura dal numero degli eletti, quello che è interessante è come si scelgono. Però mi sono reso conto che tante ragioni del Sì e del No arrivano dal nostro campo, quindi immagino e sono sicuro che un grande partito come il Pd sappia assumere queste ragioni, che sono tutte interessanti e utili, e le sappia tenere insieme e valorizzare.
A settembre si voterà anche per le elezioni regionali, come vede questa sfida dall’osservatorio europeo?
Non voglio entrare nella battaglia politica, però domani (oggi, ndr) andrò a Firenze. E ci vado per dire che le Regioni sono un pezzo importante dell’Europa, sono dentro il sistema istituzionale europeo e il terminale di tante risorse che arrivano per i nostri territori. Possiamo lasciare le nostre Regioni nelle mani di chi vuole dividere l’Europa? Fatevi qualche domanda e datevi qualche risposta. Si tratta di un voto importantissimo. E allora a Firenze e poi ad Ancona andrò a dire questo, che allontanarle dall’Europa sarebbe molto pericoloso. Mi auguro che i cittadini della Toscana non facciano l’errore di allontanarsi dall’Europa, sarebbe un danno non solo per loro ma per tutto il Paese.