Perché così tante persone credono alla disinformazione online? Quali possono essere i rimedi e quanto il fenomeno delle cosiddette fakenews può penetrare nelle nostre democrazie?
Di questo si è parlato ieri sera alla Festa nazionale dell’unità di Modena, nell’iniziativa organizzata da Immagina che si è tenuta al palco centrale.
Gianni Riotta in collegamento da New York, il sottosegretario con delega all’Informazione e all’Editoria Andrea Martella e Alessandro Capelli, docente di Sociologia della Comunicazione e tra i coordinatori di Immagina, hanno discusso di esempi e proposte per arginare un fenomeno che nei mesi del lockdown ha avuto una tale recrudescenza, da spingere gli esperti a coniare il termine ‘infodemia’.
La disinformazione online ha raggiunto 3,8 mld di visualizzazioni su Fb nell’ultimo anno, con un picco durante l’emergenza. Quattro volte di più delle visualizzazioni ottenute dai siti ufficiali come l’OMS o, in Italia, il ministero della Salute. Sono i numeri, presentati in un report dall’associazione no profit statunitense Avaaz, emersi durante il dibattito. Cifre che, seppur contestate da Facebook che ha invece rivendicato di aver rimosso, durante la crisi, 7 milioni di contenuti ritenuti inattendibili, danno l’idea di un fenomeno sempre più preoccupante.
Un problema – ha ricordato dal palco di Modena il sottosegretario Martella – che il governo italiano ha affrontato con tempestività con la costituzione di una task force di esperti che tra aprile e giugno ha messo a punto un piano per il contrasto alle fake news. Una strategia che punta, ha spiegato Martella, alla messa a punto di strumenti che avvicinino i cittadini alle fonti di informazione ufficiali e attendibili, tra cui la creazione di un sito ad hoc e una spinta e un supporto alla comunicazione istituzionale.
Ma perché le persone credono alle fake news? Pur essendo in realtà sempre esistito il problema delle notizie false, per Alessandro Capelli sono tre i fattori che rendono il nostro tempo più facilmente permeabile a questo tipo di fenomeno, e cioè il concetto di egemonia culturale: le non verità che le persone diffondono oggi alimentano e sono parte del clima culturale e sociale del Paese, la crisi dell’autorevolezza e, infine, la solitudine sociale nella quale oggi le persone assistono ai fatti del mondo.
Ma guai a pensare, ha avvertito Gianni Riotta, che quello delle fake news sia un fenomeno naturale, o inevitabile. Per questo è importante che anche la politica sana, quella cioè meno incline alla strumentalizzazione del fenomeno – come ad esempio anche negli Stati Uniti ha fatto in questi anni per primo il presidente Trump – riesca a trasmettere il messaggio che la verità esiste. Certo nessuno, ha precisato Riotta, deve pretendere di avere la verità in tasca, ma far comprendere ai cittadini che però la verità esiste è la chiave per arginare la potenza di penetrazione che i fenomeni infodemici possono avere nelle nostre democrazie. Sistemi che si sono scoperti fragili di fronte a un problema che rischia di minarne le fondamenta.
E un’altra, infine, la chiave per non lasciare sole le persone davanti a chi, con sistemi più o meno organizzati, prova ad approfittarsi di paure e luoghi comuni, e cioè l’educazione e l’alfabetizzazione digitale. Un tasto su cui hanno battuto Andrea Martella e Gianni Riotta. Da New York, il giornalista ha ricordato sia il lavoro fatto in questo senso a livello europeo, sia il ruolo fondamentale che può avere il servizio pubblico. Ed è stata accolta dagli applausi della sala la proposta del sottosegretario Martella, che oltre a ricordare i progetti già in cantiere per far entrare a pieno titolo l’educazione alla buona informazione nelle scuole, ha lanciato la proposta di un ‘Maestro Manzi 2.0’, e cioè una presa in carico da parte del servizio pubblico dell’alfabetizzazione digitale anche degli adulti, per aiutarli a muoversi con maggiore consapevolezza, e dunque maggiori protezioni, in un mondo nel quale ormai tutti, giovani e non, siamo inesorabilmente immersi.