Da emergenziale ad essenziale, nuove forme di Smart Working

Gli artt. 90 e 263 del d.l. n.34 del 19 maggio 2020 ( c.d. Decreto Rilancio) convertito con modificazione con la l. 77 del  17 luglio 2020, arricchiscono di nuove disposizioni l’esperienza di smart working per i dipendenti pubblici e privati. Vengono introdotte novità rilevanti che confermano il lavoro agile emergenziale fino al 31 dicembre 2020, fissando una percentuale pari al 50 per cento di personale che le PA dovranno mantenere in lavoro agile nelle attività individuate come effettuabili, integrando tale modalità con elementi che rendono lo Smart Working essenziale per continuare a promuovere la piena partecipazione delle persone al processo lavorativo. 

Per questi motivi è stata prevista l’organizzazione del lavoro e dell’erogazione dei servizi con flessibilità oraria e con diversa segmentazione giornaliera e settimanale, utilizzando in maniera sempre più costante software e piattaforme digitali. E tanto rende l’istituto dello S.W. più coerente con le caratteristiche che la legge istitutiva (la n. 81 del 2017) lo aveva connotato (“misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”).

La modalità di lavoro in S.W. significa anche più coinvolgimento, maggiori obiettivi da raggiungere, valorizzazione del tempo oltre il lavoro. 

Ricordo quando in periodo pre-covid per raggiungere le sedi delle agenzie governative per le quali collaboro su Roma utilizzavo in maniera massiva l’applicazione che “ti legge i libri” per smaltire il traffico capitolino. Per buona pace della stupenda app e dei suoi illustri narratori, dal lockdown in poi il tempo per noi smart workers si è dilatato e contratto al tempo stesso, scandito ora da beep di remainder di Calendar, videochiamate, eventi e altro. 

L’Osservatorio Smart Working ci mostra dati in constante crescita, quasi raddoppiati sui progetti sviluppati in modalità di lavoro agile, dato che rispecchia anche la mia esperienza personale. 

Ma adesso si profila un evidente cambiamento di rotta, che con la legge citata diviene definitiva, con l’adozione degli strumenti che vanno sotto il nome di POLA, quello della bella città dell’Istria italiana, oggi croata.  

POLA è invece l’acronimo di (Piano Operativo per il Lavoro Agile) che prevede entro il 31 gennaio di ogni anno la dotazione di risorse umane che le Amministrazioni dovranno far rientrare nel piano di Smart working.

Il POLA quindi deve permettere che almeno il 60 per cento del personale che svolge attività rientranti in tale modalità lavorativa possano avvalersi dell’istituto, garantendo che gli stessi lavoratori non subiscano penalizzazioni ai fini del riconoscimento di professionalità e della progressione di carriera. Inoltre in mancanza dell’adozione del Piano almeno il 30 per cento del personale potrà avvalersi comunque dell’istituto del lavoro agile, e senza che il personale, che se ne avvarrà, possa in alcun modo venire penalizzato.

Il POLA deve quindi individuare, delineare le misure organizzative con i relativi requisiti tecnologici, come quelli della digitalizzazione dei processi e della qualità dei servizi, definire i percorsi formativi del personale addetto (impiegati, funzionari e dirigenti) ed effettuare monitoraggio e accertamento dell’azione amministrativa, quali l’efficacia, efficienza ed economicità, nell’ottica anglosassone del PDCA (plan-do-check-act)  del miglioramento continuo. 

Ma la novità è caratterizzata dal fatto che tale piano andrà inserito nel quadro del Piano delle Performance, dove si definiscono gli indicatori per la misurazione e la valutazione della performance dell’amministrazione nonché gli obiettivi individuali assegnati al personale dirigenziale e non (art.10 co.5 D.Lgs 150/2009) e quindi avranno riverberi sul piano della Retribuzione di risultato dei dirigenti e sulle valutazioni che eserciteranno gli OIV in sede di performance individuale e collettiva.  

La visione privatistica se non aziendalistica del rapporto di lavoro che va sviluppandosi nelle scelte dalla pubblica amministrazione condizionandone l’andamento, ora incontra un essenziale, ulteriore ed epocale cambio di paradigma. 

Ma la visione dovrà essere lunga, ben oltre il termine contrassegnato dal periodo emergenziale, favorendo i processi che agevolino le Amministrazioni a adottare il lavoro agile come modalità ordinaria di svolgimento della prestazione di lavoro, limitando la presenza negli uffici al solo personale impegnato nelle attività indifferibili da svolgere di presenza.

Dal lavoro a casa in fase emergenziale si deve passare ad una più strutturata forma di lavoro, che prevede tempi di disconnessione, di “engagement”, di raggiungimento di obiettivi e di ripensamento del luogo del lavoro. 

E va facendosi largo anche la prospettiva di South Working, dove si rivaluta il sud, i paesini oramai deserti, si parla di fibra FTTH (Fiber to the Home) diffusa e capillare sul territorio, di co-working e di occasione di lavoro condiviso, insomma si parla di nuove forme di lavoro connesso e produttivo da remoto. Lewis diceva che non si può tornare indietro e cambiare l’inizio (Il protagonista di Tenet la pensa diversamente…) ma puoi partire da dove sei e cambiare il finale. 

Spetta a noi professionisti del digitale, digital by default, segnare e accompagnare questo percorso di cambiamento, magari mutuando elementi del marketing 2.0 ovvero la versione “phigital” del lavoro tanto cari anche a pilastri dei fondi europei “Next generation Eu”, dove elementi significativamente digitali di incontro, confronto e collaborazione si mescolano con meeting fisici per scambio di idee e networking (a distanza e con mascherina!) per ritornare ad indossare anche qualche camicia in più e qualche t-shirt in meno. 


Michele Leone è un Digital Media Specialist e socio di Eutopian, osservatorio europeo sull’innovazione democratica.