La responsabilità del Pd oggi è guidare il cambiamento dell’Italia

I positivi risultati elettorali – sia del referendum sia delle regionali – mettono il PD di fronte ad una nuova responsabilità. Una responsabilità, mi viene da dire, opposta a quella che tante volte abbiamo dimostrato negli ultimi anni sapendo garantire il nostro sostegno a governi nati in condizioni di difficoltà.

Ancora lo scorso anno, nelle scelte che hanno portato alla formazione del governo, è prevalso questo senso di responsabilità rispetto al Paese, che spesso ha significato rinunciare per un po’ ad alcune nostre convinzioni e proposte.

Ora la sfida che abbiamo di fronte è nuova, o forse semplicemente è nuova la prospettiva con cui la viviamo, dopo aver con fatica gestito le litigiosità e le rigidità della compagine di alleati, dopo aver lavorato duramente per affrontare al meglio l’emergenza della pandemia, dopo aver messo un freno all’onda della demagogia sovranista, dopo aver ottenuto uno straordinario cambiamento delle politiche europee, e infine dopo aver riscosso la fiducia di tanti cittadini, riuscendo a confermare, grazie anche alla qualità delle leadership messe in campo, la rielezione di candidati democratici in tre regioni importanti e non scontate e a riattivare grazie al referendum una possibilità di riforma del sistema istituzionale. 

È una sfida nuova, sempre sotto il segno della responsabilità, ma questa volta intesa in senso meno contingente e più storico: la responsabilità di dare una visione e una prospettiva di cambiamento forte e concreto al governo e al Paese. 

Solo noi, solo il Partito democratico può farlo, smettendo di essere solo la ruota generosa che da stabilità al cammino, e attivando invece una funzione motrice, di guida e direzione politica coraggiosa e intraprendente. Solo noi che siamo l’unica forza democratica e partecipata, non affidata a un capo o a società private, attenta a costruire una vera rappresentanza degli interessi, dei bisogni, degli ideali e delle aspirazioni delle italiane e degli italiani, in una logica dinamica, di continua lettura e governo del cambiamento che caratterizza le società contemporanee.

Per garantire che ogni trasformazione porti uguaglianza, equità, pari opportunità, diritti per tutte e tutti, benessere diffuso.

La sfida è allora quella di usare la contingenza storica, il momento favorevole in cui ci troviamo, per provare a giocare una funzione storica, di prospettiva reale per il futuro dell’Italia, sapendo costruire e realizzare quel rilancio che che già credevamo necessario prima della pandemia ed oggi appare indispensabile.

Abbiamo finora visto con tutta evidenza il travolgente e luttuoso impatto sanitario del Covid, stiamo imparando a convivere con nuove regole e nuove incertezze, ma abbiamo percepito solo in parte l’impatto economico e sociale della pandemia. Ci aspettano mesi duri per il lavoro, per le imprese, per il commercio, per intere filiere di produzione e distribuzione, per tante famiglie spaventate e a rischio povertà.

Non basta aspettare che le cose ripartano, la crisi è stata già sufficientemente lunga – e ancora durerà – per non lasciare tracce profonde che modificheranno in molti modi e per molto tempo le nostre abitudini, i nostri comportamenti personali e sociali, il modo con cui condividiamo opportunità e minacce intorno a noi e costruiamo il senso di comunità.

Nelle scelte su come indirizzare le risorse del Next generation EU e del Mes, che va attivato, come nelle priorità di governo, ora è il momento di agire, di dire la nostra, di dimostrarci capaci fino in fondo del compito che ci siamo dati quando il PD è nato.

A quella vocazione riformista e maggioritaria non dobbiamo mai rinunciare. E se anche oggi non ci sono le condizioni per viverla come autonomia elettorale del Partito, non possiamo rinunciare a farla vivere come attitudine egemonica nei confronti del governo, sulla base di valori, letture sociali, risposte, soluzioni e prospettive capaci di aggregare speranze e consensi.

Dobbiamo battere il populismo demagogico e sovranista con quello che Giorgio Tonini in un articolo sul Foglio di qualche giorno fa richiamava come un progressivismo populista, un populismo democratico e riformista.

Dobbiamo allora saper costruire un racconto di cambiamento e di futuro credibile e praticabile, saperlo rendere inclusivo e partecipato, saper accettare la sfida di un rapporto diretto con le persone, ma declinandolo il modo onesto – cioè non demagogico – e aperto – capace cioè di affrontare e gestire la complessità di un mondo globale, rifiutando le semplificazioni sovraniste.

Dobbiamo lavorare per innovare profondamente tutto il paese, saper cogliere e indirizzare i vettori di cambiamento sociali, economici e tecnologici, ridurre i gap infrastrutturali e di accesso, investire sul digitale, consapevoli di quanto possa essere, se ben governato, un potente fattore di democrazia, di sviluppo, di cambiamento delle nostre vite – dalla didattica a vere regole per lo smart working, dai servizi sanitari e alla persona all’industria e alla cultura.

Per fare questo credo dobbiamo partire e puntare su tre risorse: le energie che oggi sono inespresse, le energie di domani, le energie del pianeta. Partire e puntare su donne e giovani, per attivare subito energie fondamentali. Partire e puntare sulla filiera della conoscenza, per indicare l’idea di futuro che abbiamo in mente e garantire il massimo dell’uguaglianza possibile. Partire e puntare sulle energie del pianeta per attivare percorsi di sviluppo sostenibile, seguendo quanto indicato dalla piattaforma di cambiamento costruita dall’ONU con l’Agenda 2030. 

Giovani e donne devono essere il perno su cui far ripartire l’organizzazione sociale e la crescita. Questo significa saper stimolare la ripresa economica individuando incentivi efficaci, significa maggiore facilità di carriera e rottura dei soffitti di cristallo, significa parità salariale, significa servizi alle famiglie e condivisione dei compiti familiari, significa contrasto a ogni forma di discriminazione sul lavoro come nella vita sociale. Solo questo è un programma largo di cambiamento dell’Italia. Complesso chiaramente e graduale, ma per il quale servono segnali forti da subito.

La filiera della conoscenza è in prospettiva la visione di competitività del paese e di ogni singolo cittadino che può dare forza al cambiamento. Significa garantire un’istruzione di qualità a tutte e tutti, a partire da servizi educativi 0-6, da rendere accessibili a ogni bambino in ogni territorio, fino alla scuola e poi all’università. Significa aumentare drasticamente gli investimenti su tutto il sistema formativo. Significa puntare sulla conoscenza come potentissimo fattore di crescita individuale e collettiva, capace di garantire un lavoro di qualità e la soddisfazione dei propri progetti di vita. E insieme garantire anche al Paese la capacità di ricerca, innovazione e invenzione del futuro che sono certa sarà dote utile alle prossime generazioni. 

Lo sviluppo sostenibile è infine l’unico approccio al cambiamento oggi possibile e giusto, rispettoso del pianeta, di intere generazioni di giovani e giovanissimi, di un modo di fare politica che ha davvero a cuore il futuro.

Fare tutto questo, attivare questo percorso di cambiamento, significa anche cambiare i connotati della società, i punti di vista prevalenti e le attitudini, tornando a valorizzare solidarietà, impegno, coesione, accoglienza, inclusione, comunità, rispetto, e marginalizzando ogni forma di odio, intolleranza, razzismo, fascismo.

Abbiamo ancora un’opportunità, una grande opportunità per noi democratiche e democratici, per onorare la responsabilità del fare politica in questo momento storico, con l’ambizione di indicare una strada che l’Italia potrò percorrere a lungo. Facciamo sentire e capire chi siamo.

Se non ora quando!, come dicemmo alcuni anni fa.