Recovery Fund, ora un piano per occupazione femminile e infrastrutture sociali

Le donne sono state in prima fila durante il lockdown, seppure con pochi poteri decisionali, negli ospedali, nei supermercati, nelle cucine, nelle campagne, nell’agroalimentare, nelle RSA, a garantire sopravvivenza e alimentazione per tutti.

Ma proprio le donne rischiano di pagare il prezzo più alto di questa crisi e della recessione che ne deriva, e tra le donne soprattutto coloro che vivono e lavorano nelle aree più svantaggiate; Il divario territoriale e regionale, che ormai taglia trasversalmente l’Italia da Nord a Sud e da Ovest a Est, moltiplica le disuguaglianze di genere.

A 25 anni da Pechino, dalla Quarta conferenza mondiale delle donne delle Nazioni Unite, in cui la comunità internazionale ha adottato la Dichiarazione e la piattaforma d’azione per l’empowerment femminile è la stessa Onu a denunciare il rischio che la pandemia metta in discussione molti dei guadagni raggiunti negli ultimi anni.

Stiamo davvero vivendo un capitolo della storia, mai l’umanità aveva fatto esperienza di una clausura coì diffusa, che ha coinvolto tre miliardi di persone, di una crisi sanitaria, economica e sociale così planetaria.

Eppure questo tempo rimette al centro delle vite e della politica l’essenziale e ripropone a noi la forza di tanta elaborazione delle donne. Di un pensiero che ha visto la vulnerabilità della vita, ha ribadito la necessità di nuovi comportamenti culturali e sociali e prodotto paradigmi che prevedono l’investimento nella cura e nello sviluppo delle persone, un nuovo equilibrio tra tempi cura e di lavoro, un nuovo concetto di cura del vivente, dei beni e dei luoghi in cui abitiamo, del pianeta in cui viviamo. La rinascita per essere tale deve essere contaminata in modo virtuoso da un pensiero femminile e femminista. Le donne devono essere protagoniste della progettazione della società che verrà consegnata alle future generazioni.

In Italia e in Europa la crisi ha prodotto trasformazioni e mutamento delle politiche. Non è avvenuto per caso, grazie alla nostra azione, del governo italiano, delle forze democratiche, dei nostri rappresentanti nel governo e in Europa, una nuova fase si apre.

L’Europa c’è, affronta la crisi prodotta dalla pandemia rafforzando la visione comune, perché si esce insieme dalle difficoltà che stiamo attraversando.

Per l’Italia è l’occasione di un cambiamento radicale. Ci vorranno serietà, velocità e concretezza, che abbiamo dimostrato di avere in questi mesi, ma soprattutto serve una visione del Paese. Orientare l’impatto di genere del Next Generation sarà essenziale.

Il risultato di questa tornata amministrativa consegna al Partito Democratico una centralità e una responsabilità ancora più significative. Adesso bisogna incalzare e orientare l’azione del governo. Serve un’accelerazione sulle riforme. La sfida dell’utilizzo efficace delle risorse imponenti che arriveranno all’Italia attraverso il Recovery Fund e gli altri canali di finanziamento europeo è un’occasione che come donne non possiamo e non dobbiamo perdere.

Abbiamo più volte detto che possiamo finalmente aggredire debolezze e ritardi strutturali del nostro Paese. Ebbene centrale è la disuguaglianza di genere, che deve essere un asse che attraversa le diverse azioni. Non siamo un capitoletto alla voce inclusione sociale, siamo più della metà della popolazione. Sia questa la proposta di cambiamento del Paese di tutto il Partito Democratico.

Siamo il Paese con il tasso di occupazione femminile tra i più bassi d’Europa. L’Istat ci dice che sono appena stati persi ottocento quarantamila posti di lavoro, in gran parte nei servizi, giovani e donne.

Stiamo parlando di una debolezza che tarpa le ali allo sviluppo del Paese. L’aumento dell’occupazione femminile è un interesse pubblico. Determina un impatto positivo più che proporzionale sull’economia perché comporta aumento dei consumi, della domanda di servizi e di altra occupazione femminile. E della natalità.

La prima grande priorità è dunque promuovere l’occupazione femminile, farne un volano della crescita sostenibile. Sappiamo che l’aumento del tasso di occupazione femminile avrebbe ricadute positive sul Pil, così come sappiamo che il ritardo accumulato dall’Italia deriva anche dal suo basso tasso di natalità, a sua volta legato alle difficoltà di conciliare progetti di maternità e lavoro, alla mancata condivisione dei carichi di cura tra donne e uomini, alla debolezza del sistema di welfare.

Abbiamo visto nella pandemia la straordinarietà del cambiamento del lavoro determinato dallo smart working e i suoi effetti di sistema, ma questo va valorizzato nella sua accezione di lavoro per progetti, certo non come improprio strumento di conciliazione destinato alle donne

Promuovere davvero occupazione femminile richiede una visione di sistema, politiche che liberino il tempo delle donne, che trasformino l’organizzazione sociale, e significa ragionare in termini di impatto di genere delle politiche.

È necessario che alle politiche pubbliche nazionali e alla destinazione di risorse conseguenti corrispondano comportamenti coerenti delle imprese nelle assunzioni e nella organizzazione della produzione, delle organizzazioni sindacali nei rinnovi contrattuali, delle amministrazioni pubbliche negli orari delle città e nell’organizzazione sociale e dei servizi, dell’informazione nel veicolare messaggi coerenti, della scuola e di tutto il sistema di istruzione e formazione. A partire dai primi anni di vita.

Per questo la finalità chiave dell’investimento per le donne e per sbloccare il Paese è quello nelle infrastrutture sociali, che devono essere potenziate anche attraverso investimenti in tecnologie digitali. Si tratta di quei servizi che ci permettono di soddisfare interessi e bisogni collettivi e liberare il tempo delle donne: scuole a tempo pieno, asili, strutture per anziani, assistenza sanitaria domiciliare.

Parliamo di un nodo strategico anche di nuovo modello sviluppo paese. Investiamo nell’innovazione e nelle grandi infrastrutture sociali, nell’economia della cura e nella conoscenza, nella ricerca, nella scuola, nei servivi educativi per l’infanzia, nella condivisione del lavoro domestico e di cura. Sosteniamo l’imprenditoria femminile, la parità retributiva e la piena valorizzazione delle donne nel mercato del lavoro. Una maggiore autonomia e indipendenza, economica, sociale e relazionale, rappresentano anche lo strumento più efficace e duraturo per rendere le donne meno esposte alla violenza domestica e di genere.

Portare fuori dall’ambito domestico parte del lavoro di cura crea molta occupazione (femminile, ma non solo), migliora la qualità della vita di chi già lavora e rende possibile accettare un lavoro per chi lo desidera, migliora la qualità della vita delle persone che ricevono questi servizi (bambini, anziani, malati, persone con disabilità). Investire sulla cura e l’assistenza è una lezione fondamentale che dovremmo aver imparato da quello che è successo con Covid-19 nelle RSA.

L’evidenza della necessità per il benessere collettivo dell’aumento dell’occupazione femminile non è stata fin qui sufficiente per attivare le scelte, le risorse e le politiche pubbliche necessarie al superamento delle discriminazioni e degli stereotipi di genere. Alla radice della bassa partecipazione delle donne al mondo del lavoro. Per questo vogliamo aprire un “nuovo corso” e nel contempo “un nuovo patto sociale”, abbiamo parlato di Women New Deal.

Il Piano recupero e resilienza del Governo, NetxGenerationItalia, prevede tre linee di indirizzo: modernizzazione del Paese, transizione ecologica, inclusione sociale e territoriale e parità di genere. Linee che devono tradursi in progetti concreti.

Sia dunque il governo a promuovere l’aumento dell’occupazione delle donne come grande obiettivo nazionale cui richiamare l’insieme del paese e a cui destinare la metà delle risorse del Recovery fund.

Le nostre priorità riguardo alle risorse del Recovery Fund:

impiegare almeno il 50% in progetti che abbiano ripercussioni sulla promozione dell’occupazione femminile e i diritti delle donne;

attivare un meccanismo di valutazione ex ante dell’impatto di genere di tutte le scelte di realizzazione delle 6 aree di intervento individuate dalle Linee guida;

garantire una presenza adeguata di competenze femminili nella governance della gestione del Recovery Fund;

convocare tutti gli attori intorno a proposte concrete per la definizione di un Piano nazionale di misure finalizzato al sostegno e all’incentivazione del lavoro femminile in cui ognuno assuma impegni coerenti.

rendere compatibili i tempi della vita e del lavoro consentendo alle donne che lavorano la possibilità di dedicarsi al lavoro di cura, che va condiviso, senza correre il rischio di perdere il lavoro e senza incorrere in atteggiamenti discriminatori, prevedendo anche il riordino e il potenziamento degli incentivi, anche selettivi, per sostenere l’ingresso o il rientro delle donne nel mondo del lavoro. Un esempio concreto: che l’indennità versata per retribuire l’assenza obbligatoria di 5 mesi sia tutta a carico della fiscalità generale. Oggi lo è all’80 per cento e in virtù dei contratti collettivi al 100 per cento in molte imprese. E l’indennità sia versata alle lavoratrici direttamente dall’INPS sgravando in questo modo di un peso notevole le piccole impreseLa liquidità di quelle più piccole, ma l’Italia è il paese delle imprese sotto i 9 dipendenti, è messa spesso a repentaglio dalla somma dell’anticipo dell’indennità con la retribuzione della persona che sostituisce la lavoratrice in maternità. Si tratterebbe solo di un anticipo di cassa, con un importo limitato dal punto di vista dei costi della Finanza pubblica stimato, molto per eccesso, dalla Ragioneria in 5 milioni;

contrastare il gender gap nelle retribuzioni e nelle carriere, promuovere l’occupazione e l’empowerment delle donne nel lavoro;

istituire un Fondo permanente per l’imprenditoria femminile per promuoverla in maniera diffusa, compiuta ed integrata nell’ambito della politica industriale nazionale;

riformare il congedo di paternità, elevando da sette giorni a tre mesi il congedo di paternità obbligatorio, innalzare la percentuale di retribuzione spettate per il congedo parentale facoltativo, con un ulteriore incentivo per favorire l’alternanza tra genitori;

promuovere un Piano “Nidi”, oggi servizi educativi 0-3 anni, per aumentare i posti fino al 60% colmando così un divario fra l’Italia e il resto d’Europa e in Italia fra Nord e Sud del Paese, fonte di ingiustizia e disuguaglianze. Un grande piano per i servizi educativi 0-3, rafforza il sistema integrato 0-6, riducendo le disuguaglianze fra bambini, sostiene il desiderio di maternità e di paternità, migliora la conciliazione dei tempi di vita, crea occupazione; garantire la copertura 100% scuola dell’infanzia, in tutto il territorio nazionale, e aumentare il tempo della scuola primaria, raddoppiando il tempo pieno;

promuovere un piano nazionale per rendere gratuite le spese sostenute nei primi mille giorni di vita delle bambine e dei bambini;

promuovere le materie STEM tra le ragazze;

attivare misure finalizzate alla riduzione del “digital divide” che ancora oggi penalizza le donne, in particolare nelle aree più svantaggiate del Paese.


Coordinamento nazionale Conferenza delle democratiche