Emergenza climatica, sostenibilità, economia circolare, ecologia. Tematiche considerate per anni di nicchia su cui aziende, politica e cittadini non prestavano attenzione. Oggi, invece, l’ambientalismo è diventato tema popolare, diffuso e invocato da più parti. Tra coloro che in Italia hanno avuto sempre la sensibilità di captare la necessità di un cambiamento radicale dei processi produttivi in un’ottica green c’è Ermete Realacci tra i padri dell’ambientalismo italiano, tra i fondatori del Kyoto club, presidente onorario di Legambiente, esponente del Partito Democratico e presidente di Symbola – la Fondazione per le qualità italiane, con cui abbiamo analizzato i dati sulla green economy italiana di Symbola e Unioncamere.
E’ già da molto che in Italia la coscienza verde è cresciuta e ora la green economy si propone come una risposta forte alla crisi economica e sociale prodotta dalla pandemia. A che punto ci troviamo?
“L’Europa in questa drammatica crisi ha saputo guardare oltre superando rigidità ed egoismi, ritrovando la sua anima e rinnovando la sua missione sia nel fronteggiare la pandemia che nel pensare un’economia più a misura d’uomo e per questo più capace di futuro. Certo l’Italia deve fare la sua parte. Possiamo farlo se, oltre ad affrontare i problemi aperti, partiamo dai nostri punti di forza. Siamo ad esempio il campione europeo nell’economia circolare e nell’efficienza dell’uso delle risorse. L’Italia, ci dice Eurostat, è in assoluto il Paese europeo con la più alta percentuale di riciclo sulla totalità dei rifiuti: 79%, il doppio rispetto alla media europea (solo il 39%) e ben superiore rispetto a tutti gli altri grandi Paesi europei (la Francia è al 56%, il Regno Unito al 50%, la Germania al 43%). E questo ci fa risparmiare ogni anno 23 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio e 63 milioni di tonnellate di emissioni di CO2. Non è fuori luogo, di fronte ai 209 miliardi che il Recovery Fund assegna all’Italia (e più in generale al Next Generation EU), ricordare il Piano Marshall: un riferimento che mette in evidenza l’entità della crisi in corso e che può essere di buon auspicio perché anche a quel piano oggi colleghiamo l’orgoglio di aver saputo mostrare al mondo di che pasta siamo fatti, quali sono i nostri punti di forza. ‘È nella crisi – ha scritto Albert Einstein – che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze’”.
E noi questo vento lo stiamo sfruttando bene?
“Il punto chiave dei dati che abbiamo raccolto sta nella conferma che le imprese più votate al green sono quelle che vanno meglio: crescono di più, esportano e innovano di più, producono più posti di lavoro. Tutto questo avveniva prima della crisi da Covid-19, a cui comunque hanno reagito meglio.
Secondo l’indagine svolta da Symbola e Unioncamere nel mese di ottobre 2020 (1.000 imprese manifatturiere, 5-499 addetti) chi è green è più resiliente. Tra le imprese che hanno effettuato investimenti per la sostenibilità il 16% si aspetta di aumentare nel 2020 il proprio fatturato, contro il 9% delle imprese non green. Ciò non significa che la crisi non si sia fatta sentire, ma comunque in misura più contenuta”.
Quali altri parametri potrebbero fare la differenza?
“Dall’indagine emerge chiaramente che green e digitale insieme rafforzano la capacità competitiva delle nostre aziende. Le imprese eco-investitrici orientate al 4.0 nel 2020 si aspettano un incremento di fatturato nel 20% dei casi, quota più elevata del citato 16% del totale delle imprese green e più che doppia rispetto al 9% delle imprese non green. Inoltre la transizione verde passa anche per un nesso tra imprese e istituzioni territoriali: le aziende che hanno investito o investiranno nel green hanno dichiarato infatti di aver instaurato/rafforzato collaborazioni con soggetti come le Regioni, i Comuni e le Camere di commercio nel 17% dei casi, a fronte di un 5% rilevato per tutte le altre”.
Ma ci sono dei limiti e delle resistenze che non ci fanno volare in alto?
“Molti dei progetti di cui si sente parlare per il Recovery Fund sono vecchi e non corrispondono alle indicazioni dell’UE, manifestazione evidente dell’incapacità di liberarci dal paradigma delle elargizioni a pioggia fatte senza indicare una rotta per il futuro del Paese, senza essere ispirati da una visione. A dispetto di questo, come hanno più volte rimarcato il commissario europeo Paolo Gentiloni e l’insieme della Commissione, la direzione è già stata tracciata dalle chiare priorità indicate dalla Commissione: sanità e coesione sociale, transizione verde e contrasto alla crisi climatica, digitale e innovazione. La stessa presidente Von der Leyen ha più volte indicato nel 37% la quota di risorse che va sicuramente destinata per affrontare la crisi climatica. Si tratta per l’Italia di circa 80 miliardi di euro a partire dal 2021. C’è molto da fare per il ministro Amendola ma sono sicuro che sará all’altezza.”
Il nostro Paese è all’altezza di questa sfida?
“Non c’è nulla di sbagliato in Italia che non possa essere corretto con quanto di giusto c’è in Italia. Il Recovery Fund e il Green Deal sono l’occasione per farlo. Un’Italia che fa l’Italia è la sperimentazione in campo aperto di un paradigma produttivo fatto di cura e valorizzazione dell’ambiente, dei territori e delle comunità e ci può aiutare ad uscire dalla crisi migliori di come ci siamo entrati. Bisogna superare i mali antichi del Paese: non solo il debito pubblico ma le diseguaglianze, l’illegalità e l’economia in nero, una burocrazia spesso inefficiente e soffocante. Un paradigma che ci può portare, come recita il Manifesto di Assisi, promosso dalla Fondazione Symbola e dal Sacro Convento, senza lasciare indietro nessuno e senza lasciare solo nessuno, verso una nuova economia più a misura d’uomo, per questo più resiliente e competitiva, che può diventare la missione del Paese e dell’Europa”.