Le stime ci dicono di molte persone che in Italia perderanno il lavoro e di altre che non lo potranno trovare, a causa degli effetti della pandemia. Ci vorrà tempo per ripartire, ma le aziende saranno chiamate subito a incrementi di produttività per sopravvivere, con probabili effetti negativi sull’occupazione, almeno nel breve periodo. Senza dimenticare gli effetti derivanti dall’irreversibile sviluppo del telelavoro.
Il Governo e il Parlamento stanno facendo l’impossibile, anche per costruire le condizioni per la ripartenza. Servono tuttavia anche politiche che possano allargare la base occupazionale a tempo indeterminato, a parità di ore di lavoro complessivamente svolte in Italia. In questa prospettiva, ho recentemente avanzato una proposta di legge (la n. 2327, Camera dei Deputati) che indica disposizioni per redistribuire il lavoro. Tra le diverse misure, c’è quella che prevede una riduzione degli oneri contributivi sulle prime trenta ore settimanali per i nuovi contratti a tempo indeterminato.
Poiché nella Legge di Bilancio sembra probabile una fiscalizzazione degli oneri contributivi per le assunzioni a tempo indeterminato degli under 35, ecco dunque la proposta: si applichi il taglio al cento per cento, per tre anni, solo per le nuove assunzioni non superiori a trenta ore settimanali e non inferiori a venti. Le assunzioni a tempo pieno avrebbero invece un taglio dimezzato. In questo modo – senza vincolare le scelte degli imprenditori – si perseguirebbe l’occupazione dei giovani in modo stabile, ma anche l’obiettivo di aumentarne il numero.
Dall’incentivo così rimodulato, si potrebbe ottenere fino a un sesto di giovani occupati in più. Dopo i tre anni, i datori di lavoro (a ripresa economica avvenuta) potrebbero valutare di aumentare le ore settimanali. Sarebbe una proposta che non costa più di quanto oggi già previsto, che non intacca la competitività delle imprese e dignitosa per i lavoratori.