Polonia e Ungheria temono la nuova Europa. Siamo a un bivio, non facciamoci intimidire

Quanto accaduto nell’ultima riunione informale del Consiglio europeo non è un fulmine a ciel sereno. Già da giorni le minacce di veto da parte del governo ungherese e del governo polacco si facevano spazio nel dibattito tra i leader europei. Ulteriore conferma è arrivata in queste ore e per l’accordo siglato sul Next Generation EU la strada sembra in salita. Sono già allo studio da parte dei governi nazionali e della Commissione misure tecniche percorribili per consentire comunque la sua efficacia e operatività, ma è del tutto evidente che il precipitare degli eventi va scongiurato. Non ad ogni costo, però.

Di cosa staimo parlando?

Per noi europeisti l’accordo del 21 luglio è stato particolarmente significativo, perché ha segnato una risposta che consideriamo adeguata alla crisi di questi difficilissimi mesi e ai bisogni dei cittadini europei. I passi in avanti compiuti sono stati sono stati di portata storica, certamente per la quantità di risorse impegnate e per la temporanea sospensione di alcuni vincoli, come quelli rappresentati dal Patto di Stabilità e dalle norme che regolano gli aiuti di Stato. Ma soprattutto la portata storica è stata determinata dalla rapidità con cui queste misure sono state indicate e dagli strumenti messi a disposizione. L’Unione Europea si è mostrata capace di reagire, allo stesso modo e più, degli altri grandi attori globali, con una operatività statuale ed economica sorprendente per tutti gli osservatori internazionali e i cittadini europei.

Bisogna partire da qui per capire il senso delle attuali difficoltà. Per alcuni, evidentemente, l’accordo del 21 luglio è una minaccia, come per i governi di Polonia e Ungheria. Lo rendono esplicito minacciando quel diritto di veto, che molti hanno giudicato “obsoleto”, proprio perché anche quei governi che non hanno mai investito il proprio consenso sul processo di integrazione, anzi devono le loro fortune proprie a una dimensione sovranista e nazionalista delle forze politiche che lo sostengono, si rendono perfettamente conto che questa crisi ha reso urgente un processo di integrazione più solido ed efficace.

Lo temono, non è un caso, su uno degli aspetti più significativi del comune sentire europeo: lo stato di diritto, cioè l’insieme di regole e costumi democratici che è centrale nella identità europea e che è sancito dal Trattato sull’Unione Europea, fondativo del suo diritto. Il Parlamento Europeo si è espresso chiaramente in merito: nessuna risorsa per chi non rispetta lo Stato di Diritto. Ora i due governi, in particolare quello ungherese, stanno spostando il tiro anche sull’immigrazione, ma ormai è un gioco scoperto, un diversivo: il cuore del problema è che quei governi hanno una concezione dello Stato di Diritto piuttosto labile, se così possiamo dire, come dimostra anche la lotta delle donne in Polonia sull’aborto e la reazione punitiva e violenta che ne è conseguita. Ed è altrettanto chiaro che vedono minacciato il proprio potere e controllo nazionale da eventuali, ulteriori, passi verso una vera integrazione.

Sono convinta che proprio nel momento di maggiore difficoltà bisogna tenere fede ai propri principi pur lasciando aperte tutte le porte ad ipotesi di negoziati, così come saggiamente ha provato e sta provando a mettere in atto la presidenza tedesca del Consiglio. Nel momento di maggiore difficoltà, inoltre, non bisogna dimenticare un’ulteriore lezione che ci viene impartita dalla storia d’Europa: più pressante è il tentativo di riportare indietro le lancette della storia, più grande deve essere lo sforzo di guardare avanti, al futuro. Lo sforzo del Presidente Sassoli di elaborazione e proposte da offrire al dibattito pubblico europeo va in questo senso .

Non lasciamoci intimidire da minacce di veti, in particolare sullo Stato di Diritto. Forse altri ostacoli ancora ci separano dal raggiungimento dell’obiettivo, ma vanno saltati con coraggio, non ci si può permettere di aggirarli. Significherebbe voltarsi indietro. La storia dell’integrazione europea è a un bivio. Il Next Generation EU non è solo un accordo finanziario, è la porta della nuova Europa. Richiuderla sarebbe fatale, anche per il presente.