Quarant’anni dal terremoto in Irpinia: fragilità e rinascita

Oggi ricorre il quarantesimo anniversario del terremoto che devastò l’Irpinia. Il più terribile degli ultimi decenni, con il conto delle vittime che si avvicinò a tremila.

Il terremoto dell’Irpinia determinò anche la nascita della moderna Protezione civile: fu infatti la presa di coscienza della imprescindibile necessità per il nostro Paese di dotarsi di una struttura di coordinamento nazionale per interventi in caso di disastri e di situazioni di emergenza. L’anniversario di un evento così tragico, e allo stesso tempo centrale nella storia del Paese, può essere l’occasione per affrontare la questione, sempre attuale per un territorio vulnerabile come quello italiano, della manutenzione e della protezione dai rischi, il sismico e l’idrogeologico.

Fa impressione rilevare che, dicono le stime, il nostro Paese abbia speso negli ultimi cinquant’anni oltre 150 miliardi di euro per fare fronte alla ricostruzione e agli interventi nelle aree colpite da terremoti. Che in questo arco di tempo quelli più distruttivi (Belice, Friuli, Irpinia, Umbria – Marche, L’Aquila, Emilia-Romagna e Centro Italia) abbiano causato quasi cinquemila vittime e 670mila sfollati. A queste cifre terribili va aggiunta naturalmente la cruda contabilità che riguarda gli eventi estremi, come le frane e le alluvioni, la cui incidenza è in continuo aumento a causa del cambiamento climatico. Ai dati poi si affianca la percezione che deriva dalla cronaca, da cui regolarmente, rimanendo alla casistica dei terremoti, si apprendono delle lentezze e delle difficoltà dei processi di ricostruzione. Il caso più recente riguarda il Centro Italia, dove in quattro anni il grado di avanzamento è piuttosto modesto, tanto da spingere il commissario recentemente insediato, Giovanni Legnini, a farsi promotore nella prima fase del suo mandato, nonostante le ulteriori difficoltà causate dall’emergenza pandemica, di una meritoria opera di semplificazione e snellimento normativi.

Lo stesso Legnini ha esposto al governo l’opportunità, ricevendo un primo consenso, di includere i processi di ricostruzione tra i progetti da finanziare attraverso il Recovery Plan. Si tratterebbe di una scelta pertinente, in quanto una ricostruzione di qualità non potrebbe che rispettare i criteri di innovazione e sostenibilità che sono tra i cardini del nuovo strumento predisposto dall’Unione europea dopo la pandemia, oltre che del “nuovo Bauhaus” lanciato dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.

E’ fondamentale la richiesta che il governo si accinge a fare all’Ue di finanziare la proroga oltre il 2021 del nuovo superbonus per la riqualificazione energetica e la prevenzione antisismica con i fondi del Recovery Plan, ma ritengo che si debba andare oltre, progettando una stabile connessione tra quelle linee di finanziamento e un complesso di politiche che includa oltre alla ricostruzione del Centro Italia, la messa in sicurezza del territorio italiano, in larga parte fragile: una scelta troppo spesso invocata come necessaria e conveniente (la protezione salva vite e costa molto di meno della ricostruzione) ma mai attuata in modo sistematico. È chiaro che la questione non riguarda solo e tanto le risorse ma, ribadisco, l’efficienza di un sistema. Un piano, una riforma, la si definisca come si preferisce; in ogni caso una politica che parta dalla fragilità dei territori del nostro Paese, dalla ricostruzione dove serve, dalla manutenzione e dalla prevenzione, per farne opportunità di rinascita e sviluppo è quanto mai auspicabile. Il momento è decisamente quello giusto.