Oggi è la Giornata internazione per l’eliminazione della violenza contro le donne. Una giornata dall’obiettivo ambizioso, che ricorda la data dell’omicidio di Patria, Minerva e María Teresa Mirabal, le sorelle dominicane uccise nel 1960 per la loro attività di resistenza contro il dittatore Rafael Leónidas Trujillo. Le sorelle Mirabal sono il simbolo della resistenza democratica e femminile, che mai come in questi tempi attraversa tutto il mondo.
È questo il paradosso della violenza contro le donne, di un fenomeno che trattiene in sé il carattere della durata e quello del mutamento. Ha una radice antica: veniamo da una storia in cui neanche si nominava come tale, solo nel 1996 in Italia è diventata un reato contro la persona. Ma oggi la riconosciamo proprio perché per le donne è diventata insopportabile. La vediamo perché le donne sono diventate più forti, perché tanti anni di lavoro dei centri antiviolenza ne hanno svelato il volto.
Eppure i dati, che illuminano solo una parte di un fenomeno ancora molto sommerso, ci propongono in tutta la sua durezza la realtà: una donna uccisa ogni tre giorni. È una vera e propria guerriglia contro la nostra libertà e autonomia. Una ferita alla nostra convivenza.
Dunque bisogna fare di più, nell’azione delle istituzioni per prevenire, proteggere, e sostenere i percorsi di fuoriuscita delle donne che hanno subito violenza, investendo nella rete dei centri antiviolenza e delle case rifugio, costruendo una sinergia di intervento tra tutti gli attori coinvolti. Di più sul piano della battaglia civile e culturale, per estirpare le radici della violenza che è una fra le più persistenti e devastanti violazioni di diritti umani, ma resta largamente sommersa per lo stigma e le vergogna che ancora la circondano.
Sono tante le tante forme di prevaricazione e violenza di genere che si verificano quotidianamente nelle mura domestiche, nelle strade o sui social network. Così come troppo spesso vediamo all’opera una cultura machista che serpeggia nella società, nella comunicazione, nella politica. Per questo per prevenire, contrastare e sconfiggere la violenza abbiamo bisogno di politiche integrate globali, fuori dal sensazionalismo dell’emergenza, per aggredire un fenomeno strutturale – come ci dice la Convenzione di Istanbul – che ha a che fare con rapporti di potere tra i sessi.
Lo abbiamo visto in questo terribile anno che stiamo vivendo. La pandemia ha fatto precipitare nodi irrisolti, equilibri precari. Per tante donne stare a casa, per il necessario distanziamento, ha significato un’esposizione alla violenza domestica. In questi giorni i dati ci confermano anche la perdita di molta occupazione femminile, l’impoverimento di tante donne. Il tasso di occupazione femminile scende di nuovo sotto la soglia del 50%. Anche in questo caso ci è richiesta una visione di sistema, ragionando in termini di impatto di genere delle politiche, e investendo in quelle che liberano il tempo delle donne, che trasformano l’organizzazione sociale e contrastano gli stereotipi, nelle infrastrutture sociali, nella condivisione del lavoro di cura.
In questa settimana tante sono le iniziative della democratiche in tutto il Paese. Siamo impegnate ogni giorno, fuori e dentro le istituzioni. Questo impegno deve essere di tutto il Partito democratico. Il cambiamento che vogliamo riguarda anche gli uomini. Li chiama in causa in prima persona per sconfiggere la violenza e la cultura che la produce.
È tempo di un salto di qualità, lo abbiamo chiamato Women New Deal. Possiamo e dobbiamo farlo, utilizzando le risorse europee, imprimendo una nuova direzione all’Italia, vogliamo farlo insieme alle donne della società, dei movimenti e dell’associazioni, dei sindacati, alle tante competenze ed esperienze che animano il tessuto sociale di questo Paese.