La transizione energetica deve passare anche dall’ascolto dei territori

Si sente molto parlare di transizione energetica.  L’Europa vuole fermare il cambiamento climatico tagliando le emissioni di gas serra in modo radicale e va in questo senso anche l’ultima proposta di alzare ulteriormente l’obiettivo della loro riduzione dal 40% al 55% entro il 2030.

Ogni singolo Stato membro dovrà raggiungere la neutralità sotto il profilo delle emissioni climalteranti avviando un percorso veloce verso la decarbonizzazione. Il capitolo dell’energia è chiaramente fondamentale.

Il governo italiano ha dichiarato i suoi intenti nel PNIEC che alla luce dei nuovi target dovrà essere revisionato. Un piano che attualmente prevede la sostituzione progressiva del carbone con il gas. Pur capendone la necessità in funzione della sicurezza del sistema energetico del Paese non si comprende l’eccessivo investimento su nuove infrastrutture che funzioneranno sempre con fonti fossili e quindi con grandi impatti sul clima. Abbiamo centrali a gas sul territorio nazionale che stanno funzionando a regime ridotto.

Dal rapporto “Vision or division?” realizzato da Ember, think tank indipendente, specializzato negli studi sull’evoluzione del settore energetico, emerge come per il periodo 2018-2025 l’Italia abbia in programmazione un importante utilizzo di gas naturale per la produzione di energia elettrica tale da renderla responsabile di circa il 10% delle emissioni totali del settore elettrico europeo, al terzo posto dietro Germania (30%) e Polonia (22%).

Un sostegno a questa fonte fossile è stata data in modo importante dal Governo precedente con il Capacity Market, uno strumento economico di mercato che remunera gli impianti che si rendono disponibili a garantire la produzione energetica qualora sia necessaria, una remunerazione annua fissa per l’impegno anche senza reale produzione. Un sistema di aste a lungo termine (15 anni) così favorevole per le imprese che ha avuto il risultato di veder brulicare progetti di nuovi impianti turbogas. In Liguria sono già due le richieste in tal senso: la centrale della Spezia di Enel e quella di Vado Ligure della Tirreno Power. Aste da cui le fonti rinnovabili sono state escluse.

Il tema della transizione energetica non è però solo un tema europeo o nazionale ma è un tema che riguarda da vicino molti territori che lo vivono direttamente e spesso lo subiscono. Alla Spezia per 60 anni ha funzionato una delle più grandi centrali a carbone d’Italia. Dal 2015 questa centrale non è più essenziale per Terna e non più redditizia per Enel che la inserisce fra le 23 centrali in dismissione del progetto Futur-E.
Un rapporto con la città sempre conflittuale con impatti importanti sull’ambiente (fumi, ceneri sepolte in diversi comuni della Provincia, temperatura dell’acqua del mare, metalli pesanti nel terreno…) e sulla salute dei cittadini come si evince dalla lettura dell’ultimo studio epidemiologico “Sentieri” dell’Istituto Superiore della Sanità.

Un rapporto con la città finalmente concluso o almeno così si è pensato fino al 2018 quando Enel a sorpresa ha deciso di costruire una nuova centrale a turbogas al posto dell’esistente. Una decisione per nulla partecipata di cui si è appresa la notizia da un giornale locale (l’iter autorizzativo era già stato depositato da mesi preso il Ministero dell’Ambiente).

Un impianto di potenza superiore al pre-esistente ma che dovrebbe gestire solo i picchi di corrente elettrica; un impianto a ciclo aperto (più inquinante e meno efficiente) che solo nella seconda fase diverrà chiuso, se mai lo diverrà, visto che nel progetto stesso viene lasciato spazio al dubbio.

Una bonifica del terreno dove sorge la centrale che viene continuamente rimandata. Una centrale costruita fra le abitazioni e in un luogo già fragile per la sommatoria di fonti inquinanti che vi sono. Una presa in giro anche dal punto di vista occupazionale: la centrale darà lavoro a circa 20 persone, a voler essere ottimisti. Un mondo intorno accelerato verso le rinnovabili, nuovi orizzonti e opportunità e La Spezia ferma con un progetto già vecchio ancor prima di essere costruito come ringraziamento per essere stata asservita per 60 anni alla produzione di energia per il paese.

Sono molte le domande ma anche le certezze che nascono da questa narrazione. E’ davvero necessario costruire nuove centrali a gas? In questi processi complessi è di certo necessario l’ascolto dei territori. Come partito, come possiamo fare al meglio gli interessi di quella Comunità che ci ha scelto per essere rappresentata? Perché non valorizzare le competenze raggiunte fino ad ora realizzando, nei siti come La Spezia, un salto di qualità verso la ricerca e la produzione di energia da fonti rinnovabili? Quale politica energetica vogliamo fare e quale idea di sviluppo vogliamo avere?


Renata Angelinelli, Forum Ambiente PD La Spezia