L’Europa alla guida della transizione ecologica. Le città pilastri della rivoluzione verde

Alla fine i capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea sono riusciti a trovare l’accordo sul Green Deal continentale: l’Europa aumenta così le sue ambizioni sulla strada della lotta al cambiamento climatico e porta dal 40 al 55 per cento la riduzione delle emissioni, entro il 2030. Una tappa fondamentale per arrivare al taglio totale entro il 2050 delle emissioni climalteranti. Con la speranza di trascinare, con quel che rimane del suo peso geopolitico, Cina, India, l’Africa e gli Stati Uniti di Joe Biden. C’è da esserne orgogliosi! Un successo che arriva proprio nei giorni in cui ricorre l’anniversario dei cinque anni dagli Accordi di Parigi assunti nella capitale francese in occasione della COP21. E un risultato importante ottenuto anche grazie al negoziato parallelo sulle ingenti garanzie finanziarie per la transizione verde date alla Polonia, stato storicamente dipendente dal carbone e che sino a ieri sera ostacolava con l’Ungheria, anche per l’annosa questione dei diritti civili, l’intesa. Un segnale chiaro al dibattito nostrano sulla grandissima posta in gioco con le enormi risorse previste dal piano “Next Generation Eu”.

Ora le azioni concrete si spostano sulla “legge europea sul clima”: per la prima volta l’Europa ha infatti posto come obiettivo ineludibile l’inserimento nel proprio assetto legislativo la neutralità climatica e con essa il fondo per la giusta transizione, finalizzato ad affrontare le ripercussioni socioeconomiche della transizione ecologica del XXI secolo.

Alla luce di questi risultati politici indubbiamente positivi, è oltremodo utile oggi ragionare sul fatto che il Green Deal europeo pone finalmente sullo stesso piano crescita economica verde e la sua stessa sostenibilità sociale. Proprio perché il cambiamento climatico e la crisi ecologica rappresentano una minaccia di cui è facile valutare le conseguenze anche nelle nostre società, dobbiamo con urgenza fare delle scelte politiche, sociali ed economiche davvero rivoluzionarie. Non solo a livello governativo o addirittura intergovernativo come accade in ambito comunitario ma anche locale: ogni collettività è sin da subito invitata a ripensare il proprio futuro; a portare un nuovo sguardo sulle pratiche presenti e passate che permettano una maggiore autosufficienza; a trovare da sola le soluzioni più appropriate, in funzione delle risorse che ha a disposizione – molte verranno proprio dall’Europa – e delle sfide che vuole affrontare, in collaborazione con le attività esistenti e per quelle che verranno con l’innovazione digitale. Vale per l’Europa, vale per l’Italia.

Al centro di questa rivoluzione ambientale possiamo porre le città. Il Covid19 ha infatti cambiato tutto. In questa situazione drammatica le città hanno però dato segnali su come debbano evolversi per consentire alle comunità che le abitano non solo di essere più pronte a fronteggiare un’emergenza sanitaria, ma, più in generale, di avviare un cambiamento evolutivo sociale e sostenibile.

Se una città è distrutta da un incendio o da un terremoto, probabilmente sarà ricostruita con materiali ignifughi o con criteri antisismici. Così con la pandemia le città devono rinascere su basi diverse. Nell’emergenza le città sono diventate rete, connessione, servizi, soccorso, solidarietà e da queste occorre ripartire. L’inquinamento si è manifestato, anche sul piano sanitario, come fattore di rischio. Da nomadi stanziali, col nemico invisibile sulla soglia di casa, abbiamo acquisito maggiore consapevolezza di quanto sia essenziale migliorare la qualità delle nostre città, che tornano ad essere ancora una volta luogo antropologico e fisico per una nuova idea di sviluppo.

Se si vuole quindi delineare questo nuovo corso sociale ed economico, non possiamo prescindere dalla sostenibilità dall’innovazione che essa porta con sé. Solo evolvendo in maniera sostenibile e circolare le nostre città potranno ancora una volta confermare la loro funzione essenziale di sviluppo e protezione delle comunità. In tal senso, è essenziale promuovere competitività economica, inclusione sociale e rispetto per l’ambiente, senza considerare tali obiettivi come alternativi o contrapposti ma sinergici, in una visione che coniughi innovazione e sostenibilità e di cui l’economia circolare rappresenta l’espressione più efficace. E su questa partita l’Italia può giocare con i “primi della classe”. L’economia circolare in Italia rappresenta infatti ancora oggi il nostro primato e i dati dell’ENEA lo confermano. Continuiamo ad essere sul podio tra le grandi nazioni europee quando si tratta di uso efficiente delle risorse, superando persino Germania e Francia, e siamo, ad esempio, fra le economie con il maggiore valore economico generato per unità di consumo di materia (per ogni kg di risorsa consumata si generano 3,5 € di PIL), registrando anche i minori consumi di materia.

Basta citare questi pochi dati per lanciare l’ambizione italiana di guidare, almeno in Europa, la transizione verde. Facciamolo con coraggio per il futuro nostro e di chi verrà dopo di noi.

Matteo Favero è vice responsabile nazionale Coordinamento Programma del Partito Democratico