Negli anni scorsi abbiamo sottovalutato gli allarmi della comunità scientifica sul rischio di possibili pandemie. Penso che allo stesso modo stiamo sottovalutando i rischi ambientali: il tema della sostenibilità non ha ancora la centralità che merita.
Il governo ha reso noto l’elenco delle aree potenzialmente idonee alla realizzazione del deposito nazionale dove collocare, finalmente in sicurezza, i rifiuti a bassa e media radioattività. Trovo davvero incredibile quanto accaduto subito dopo. Tantissimi amministratori e dirigenti politici, dalla Toscana alla Puglia, dalla Sicilia al Piemonte, hanno detto non qui, non nel mio giardino.
E’ bene ricordare che nel nostro paese già esistono diversi depositi “provvisori”, collocati in varie regioni, dove sono stoccati i nostri rifiuti radioattivi e dove si continuano a deporre i rifiuti radioattivi giornalmente prodotti, a cominciare da quelli degli ospedali.
Nel resto d’Europa i territori competono per ospitare i siti, vissuti al pari di un qualsiasi altro insediamento industriale. In Svezia lo stesso deposito è stato assegnato con un bando di gara che ha previsto un ballottaggio tra le due città che si sono meglio classificate. Mi ha colpito moltissimo vedere che gli svedesi alla prima classificata assegnano il deposito ma è alla seconda che consegnano il premio in denaro più alto come indennizzo per la mancata occasione di crescita.
Penso allora che la sindrome del “not in my back yard”, specialmente da parte di dirigenti politici e amministratori, non aiuti ad affrontare una questione di sicurezza ambientale che ci trasciniamo da decenni e che non possiamo più rinviare senza correre il rischio della bomba ambientale.
Non è certamente questo l’atteggiamento che invocava il Presidente della Repubblica: abbiamo bisogno di costruttori e non dobbiamo cadere nell’errore di soffiare sulle paure alimentate dalla disinformazione per qualche like in più o, peggio ancora, per interessi di parte.
La soluzione è solo quella di avviare al più presto il dibattito pubblico normativamente previsto, con una grande operazione di coinvolgimento e partecipazione, perché costituirà un’opportunità di crescita civile, in cui i cittadini avranno un ruolo attivo nelle decisioni sul modello di sviluppo del proprio territorio. Dovrebbe farci paura arrivare nel silenzio e nel consenso che l’ha caratterizzata per i primi 40 anni a situazioni come quella dell’Ilva di Taranto.
Un Paese moderno e sostenibile non può aver paura di realizzare le infrastrutture utili e necessarie. Al contrario bisogna avere paura della paralisi in cui siamo piombati in questi anni mentre i depositi provvisori sono arrivati a “fine vita” e non sono più in grado di tutelare al meglio la salute di tutti i cittadini e la sicurezza dei territori. “E’ il tempo di costruire e non di inseguire illusori interessi di parte”. Questa è un’occasione per dimostrarlo.