La prima bozza del Recovery Plan non ci piaceva. Lo abbiamo detto a Conte e ai ministri. Ritenevamo sbagliato urlarlo, additando al pubblico ludibrio un prodotto imperfetto per molte ragioni e con molte responsabilità.
Ci è stato detto che sbagliavamo, che avremmo dovuto presentare un contro-piano con numeri e progetti alternativi. Il direttore di un nuovo giornale si è in particolare prodotto in questa accusa.
Noi pensavamo, invece, che questa strada fosse sbagliata per due ragioni.
La prima è che se si sostiene un Governo si prova, prima di alzare le braccia, a dare una mano e non si lavora per metterlo in difficoltà.
La seconda è che non ritenevamo fosse competenza dei partiti sostituirsi agli organi costituzionali preposti. La Costituzione dice che i partiti concorrono a definire l’indirizzo politico, non che scrivono le delibere.
Così, armati di pazienza, abbiamo fatto le nostre osservazioni, generali ma non generiche, chiedendo al Governo tutto una riflessione supplementare.
Che cosa abbiamo chiesto in sintesi nel documento, e che cosa c’è in quello nuovo?
- Che si definissero meglio le catene del valore che l’Italia intende promuovere con le politiche industriali nei prossimi anni. Senza questa scelta era inevitabile la conseguenza di una dispersione delle risorse a pioggia.
È stato previsto un fondo di 2 miliardi sulle politiche industriali per alcune filiere e per il sostegno ai processi di internazionalizzazione. Pensiamo però che gli interventi possano essere resi ancora più selettivi. - Avevamo chiesto più risorse per cultura e turismo, due settori duramente colpiti dalla crisi.
Sono stati previsti 8 miliardi per questi settori. - Abbiamo chiesto di aumentare le risorse per gli investimenti e di ridurre gli incentivi. Tra gli investimenti avevamo indicato quello finalizzato alla decarbonizzazione dell’Ilva di Taranto.
Gli investimenti nel testo iniziale erano il 58% delle risorse stanziate, nell’ultima versione il 70%. Pensiamo si possano fare ancora degli sforzi in questa direzione. Ci sono le risorse per l’Ilva. - Avevamo chiesto più risorse per le politiche attive del lavoro. Alla fine di marzo cesseranno gli effetti del blocco dei licenziamenti e saranno necessari nuovi strumenti per fare incontrare domanda e offerta di lavoro.
Ci sono 7,15 miliardi per questo scopo. Il loro utilizzo dovrà essere sottoposto al confronto con le parti sociali rapidamente, ma questa scelta è di grandissima importanza. - Avevamo chiesto di precisare meglio le modalità e i passaggi della transizione ecologica, eliminando i progetti obsoleti e aumentando le risorse per l’economia circolare.
Sono stati cancellati i progetti scarsamente innovativi e sono state aumentate le risorse per l’economia circolare, in particolare in ambito agricolo, con un fondo che con i progetti sull’idrogeno dispone di 4,5 miliardi e 2,5 sull’agricoltura sostenibile. Ci sono ancora un po’ troppi bonus che possono essere superati a favore di progetti mirati. - Avevamo chiesto, sulla digitalizzazione, una governance unitaria dei progetti e una politica industriale che faccia crescere soggetti imprenditoriali in grado di utilizzare le misure disponibili evitando di rafforzare posizioni dominanti e di utilizzare le risorse per l’acquisto di tecnologie non europee.
C’è una governance che coordina i progetti. Su gran parte delle politiche industriali bisogna fare dei passi avanti nella definizione dell’utilizzo delle risorse che però sono state individuate. - Volevamo più risorse per la scuola colpita dalla pandemia in modo drammatico.
Ci sono più risorse sullo 0-6 e sul tempo pieno. - Ritenevamo necessario investire di più sulla sanità e sulle infrastrutture sociali.
Sulla sanità si è passati da 9 a 18 miliardi, sono stati previsti 7,15 miliardi sulle infrastrutture sociali che non c’erano.
Si tratta di risorse utilizzabili per servizi agli anziani, alle fasce vulnerabili, per la disabilità.
Per la sanità c’è da chiedersi, prima di parlare di risorse aggiuntive, se il nostro Paese sarà davvero in grado di gestire e spendere 18 miliardi in tre anni. - Avevamo chiesto che la parità di genere fosse un obiettivo strategico, trasversale alle diverse missioni, e la parità di genere è diventata una delle tre trasversalità.
Le altre sono giovani e Mezzogiorno. E come chiedevamo ci sarà la valutazione d’impatto ex ante dei progetti.
Che cosa manca?
Avevamo chiesto misure mirate per il commercio. Non ci sono, insisteremo in questo senso.
Cosa va sviluppato?
La riforma della pubblica amministrazione, della giustizia e gli interventi a favore della concorrenza sono indicati come obiettivi necessari ad accompagnare il Piano e come condizione della sua realizzazione.
Noi pensiamo che su questo punto sia importante procedere e nei prossimi giorni avanzeremo le nostre proposte.
In conclusione, avrebbero avuto ragione i nostri critici se non fosse cambiato molto o fosse cambiato poco. È cambiato molto. E allora forse il metodo scelto da noi, quello della critica costruttiva, non era così sbagliato.
Questo piano è molto vicino alle cose che avevamo chiesto. C’è ancora da fare e ci sarà ancora da cambiare dopo il confronto con le parti sociali.
Ci piacerebbe poi che, avendo il piano l’obiettivo di promuovere un nuovo corso a favore delle nuove generazioni, delle donne e dell’ambiente, le consultazioni prevedano l’ascolto di queste istanze.
Il riformismo pensiamo sia questo: promuovere dei cambiamenti nella vita di tutti e di chi ha più bisogno in particolare.
Ci sono stati passi in questa direzione e rivendichiamo questi risultati.